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Dheepan - Una nuova vita - Recensione

Esce in Italia Dheepan - Una nuova vita di Jacques Audiard, vincitore della Palma d'Oro al Festival di Cannes 2015: il lavoro meno riuscito nella carriera del regista francese che poggia su basi narrative molto poco credibili e grossolane nonostante non manchino gli aspetti positivi

Quando nello scorso maggio la giuria del Festival di Cannes, presieduta dai 'furbacchioni' fratelli Coen, assegnò la Palma d’Oro a Dheepan - Una nuova vita di Jacques Audiard, molti rimasero interdetti, a partire dalla critica internazionale al completo che aveva decretato per il film un ben poco onorevole settimo posto con la media di 6.31 tra quelli in competizione.
Ora che il film arriva in Italia abbiamo la possibilità di appurare che tale sconcerto era del tutto legittimo. Liberandolo dal peso che la Palma d’Oro gli impone, il film di Audiard è un lavoro senza lode e senza infamia, senza dubbio il più debole tra quelli del regista francese che pure aveva saputo in ogni sua prova offrire buoni risultati, a volte anche eccellenti. Proprio alla luce di ciò rimane forte la convinzione che quest’anno la giuria di Cannes abbia rivaleggiato fino allo spasimo con quella veneziana per aggiudicarsi il ben poco ambito riconoscimento di palmares più incomprensibile.
Dheepan è film tutto sommato convenzionale, nonostante si focalizzi sugli esiti di una guerra e della successiva diaspora in un Paese dimenticato, lo Sri Lanka, dove la lotta tra governo e guerriglieri Tamil ha prodotto distruzioni enormi.
Il protagonista della storia è un ribelle Tamil, che dopo l’ultimo massacro subito dal suo gruppo decide di porre fine alla sua guerra personale e di fuggire in Occidente. La copertura per l’espatrio la danno i documenti di una famiglia morta per cui l’uno deve fingersi marito e padre di altre due profughe, di nome Dheepan appunto. All’arrivo in Francia, lasciata alle spalle la guerra, c’è la difficoltà di inserimento, ma ben presto la famigliola fittizia trova alloggio e lavoro in una delle cittadine della periferia di Parigi. Se i tre si sono lasciati definitivamente alle spalle gli orrori della guerra, l’Occidente evoluto e ricco ha riservato per loro un altro terreno di battaglia, una guerra, quella di una civiltà allo sbando, non meno tragica di quella vissuta in casa.
Dheepan soprattutto nella prima parte, quando i tre personaggi si ritrovano a metter in atto la pantomima della famiglia, ha indubbi pregi: la trasformazione che porta dall’imbroglio per la copertura ad una consapevolezza di avere forse una famiglia, seppur artefatta, regala i momenti migliori. Pian piano nei tre si crea quello spirito di unità che li fa sentire meno soli e che dà un minimo di calore umano. Qui Audiard evita totalmente tutti i luoghi comuni sulla xenofobia e sull’integrazione difficile, ma per fare questo e creare comunque il campo minato sul quale debbono muoversi i protagonisti esuli costruisce un'assurdità narrativa imperdonabile: una periferia parigina che sembra un enclave della violenza e del malaffare dove regnano incontrastati teppisti facinorosi e delinquenti, tra sparatorie, macchine che esplodono, appartamenti utilizzati come covi e come locali di smercio della droga, pestaggi e persino posti di blocco messi in piedi dalle truppe della malavita, il tutto senza che si veda non dico l’ombra di un poliziotto ma neppure di un’ambulanza. In questo ambiente si muove Dheepan creando un sottile connubio tra zone di guerra e zone di degrado urbano, con addirittura l’assimilazione tra profugo e proletario della malavita. Che la situazione delle periferie parigine non sia rosea lo sappiamo, ma che possa essere credibile uno scenario come quello descritto da Audiard, da paese in preda all’anarchia assoluta, francamente appare una esagerazione fragorosa, ancor più grave nel momento in cui questo diventa il tessuto connettivo su cui è costruita larga parte della storia.
Insomma Audiard voleva evitare lo stereotipo del profugo discriminato da atteggiamenti xenofobi che vive la sua nuova esistenza come un inferno, ma costruisce un'ambientazione molto poco credibile al limite del risibile per dimostrare che dalla guerra è difficile scappare; in più aggiungiamo un finale tanto scontato quanto frettoloso ed ecco il ritratto di un film che non convince più di tanto.
Al di là di questo impianto che mostra crepe fin troppo visibili, il film i suoi pregi li ha: il ritratto dei protagonisti è vivido, soprattutto quello di Dheepan, costretto a dover fare i conti con il suo passato di guerrigliero che sogna gli elefanti nella giungla, la regia si avvale di frequenti immagini in dissolvenza e di riprese sfocate che accentuano il disorientamento dei personaggi e soprattutto l’efficace racconto di una falsa famiglia per necessità che si trasforma lentamente in un nucleo di affetti e vicinanza. Tornando però alla premessa, Dheepan è lavoro che nel complesso fatica ad imporre tematiche credibili, forse, come detto, sul giudizio pesa troppo la Palma d’Oro, senza la quale avremmo probabilmente detto che il film era di quelli che passava senza lasciare traccia.

Rimane il fatto quasi grottesco che un regista che non ha mai sbagliato un colpo nella sua carriera ventennale si vede assegnato un riconoscimento di tal portata con il suo lavoro decisamente meno riuscito, nel giudizio del quale non può prevalere l’aspetto emotivo riguardante la storia dell’attore e scrittore protagonista Jesuthasan Antonythasan, che fu egli stesso guerrigliero Tamil e che visse una esperienza simile al protagonista del film.


Il nostro giudizio: Il nostro giudizio è 2.5

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Massimo Volpe

"Ma tu sei un critico cinematografico?" "No, io metto solo nero su bianco i miei sproloqui cinematografici, per non dimenticarli".

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