Recensioni film in sala

Ti trovi qui:HomeCinema e dintorniIn salaThe Tree of Life

The Tree of Life

La locandina di The Tree of LifeL’Uomo, la Natura, il Tempo. Il cinema dei massimi sistemi di Terrence Malick torna con un’elegia per fotogrammi che, attraverso le vicende di una famiglia texana degli anni ’50, si interroga sulla vita dal momento della sua origine a quello della sua fine, tra passato, presente ed oltre. Tanti interrogativi: la risposta alle immagini
Stati Uniti, anni Cinquanta. In una piccola cittadina del Texas vivono gli O’Brien, una famiglia piccolo-borghese, composta da un padre ambizioso che cerca il successo nel mondo degli affari, da una madre casalinga e da tre figli piccoli. Jack, il più grande dei fratelli, deve affrontare il difficile passaggio dall’innocenza dell’infanzia all’età adulta, in un momento in cui si trova diviso tra due modelli diversi di comportamento: da una parte quello di un padre autoritario ed inflessibile che educa i figli secondo una rigida disciplina, dall’altra parte quello di una madre amorevole e protettiva, sempre pronta a dargli un affetto incondizionato. Trascorrono molti anni e Jack, diventato un professionista affermato in un mondo moderno dominato dall’avidità, si sente come un’anima perduta che cerca di riconciliarsi con il suo passato, segnato da un lutto tremendo e da incomprensioni familiari. La riappacificazione con se stesso passa attraverso una rinnovata consapevolezza che affonda le radici nella sua infanzia…

Cominciamo subito col dire che The Tree of Life, l’ultima fatica di Terrence Malick, presentata in concorso al 64esimo Festival di Cannes, dopo una lunga lavorazione che sembrava non finire più, è un’opera con un alto valore filosofico e cinematografico, non c’è dubbio, ma non è il capolavoro assoluto che malickiani (e non) si aspettavano – e che i media avevano più o meno annunciato. Non siamo ai livelli di La sottile linea rossa, e nemmeno a quelli del sottovalutato The New World – Il nuovo mondo, tanto per restare alla cinematografia recente di Malick: mancano il portentoso senso di meraviglia che permeava il primo e la contagiosa vertigine poetica che risucchiava il secondo. Ciò non toglie che The Tree of Life sia un film di rara bellezza in perfetto stile Malick, quindi di gran lunga superiore a tutto quello che è transitato nelle sale da molti anni a questa parte.
Una scena del filmLa prima mezz’ora è un lungo prologo che è una dichiarazioni d’indenti di quello a cui assisteremo nei minuti successivi: una sinfonia per fotogrammi, un flusso inarrestabile di immagini con voci fuori campo che fanno da contrappunto a dettagli visivi e sonori, senza unità di tempo e di luogo, in cui è forte la sensazione di disorientamento ma anche d’incanto. Poi Malick prova a dipanare la sua (esile) matassa narrativa tra passato, presente ed oltre: la storia di una famiglia che anela il sogno americano negli anni ’50, di un padre severo (con il volto di Brad Pitt), di un figlio che, crescendo, si scontra con la personalità del capofamiglia e con la difficoltà di controllare i propri istinti primordiali. Finale riconciliatorio, dopo aver elaborato un lutto già annunciato nei primi frangenti.
Malick riflette sul significato della vita come se avesse davanti a sé l’immagine di un albero: parte dalla sua radice per poi arrivare alla cima. Sullo schermo prendono forma quattro momenti dell’esistenza (nascita, adolescenza, maturità, morte), più un ipotetico aldilà, in un trip a tratti astratto a tratti abbacinante, con immagini che vanno dalla genesi dell’universo all’oggi, dove l’attenzione è tutta rivolta ad esplorare l’origine della vita, la perdita dell’innocenza, la scoperta del posto che si vuole occupare nel mondo e l’oltretomba. Cose già viste? Sì, certo, ma non con gli occhi di Malick, il che fa ancora la differenza, per fortuna. Non si può, infatti, non rimanere stupiti da come il suo stile naturalistico ed il suo credo cinematografico profondamente panteistico sembrino dare nuova linfa ad una materia scivolosa e trita e ritrita, al punto che le quasi due ore e mezza di visione non riescono ad esaurire la forza delle riflessioni poste dal regista: ci sono suggestioni che rimangono impresse sulla retina anche dopo l’uscita dalla sala.
Una scena del filmC’è solo un aspetto che non ci ha convinto pienamente: per la prima volta Malick pare voglia confrontarsi con una dimensione ‘sovrumana’. Ci riferiamo alle scene del limbo dell’oltretomba in cui finisce Sean Penn (che interpreta Jack da grande) nella parte finale o alle riprese dello spazio che evocano profondità insondabili, riprese che hanno comportato l’uso di effetti speciali. Ecco, questo tentativo di scrutare ‘realtà metafisiche’ è il tassello che non si incastra alla perfezione nel mosaico elaborato da Malick: come se il suo cinema perdesse la bussola fuori dai confini che gli sono più familiari, e cioè quelli della Natura. Ma il resto è oro che luccica, a cominciare dal montaggio ardito (a cui hanno lavorato ben cinque persone), che ci regala alcune intuizioni da pelle d’oca per mostrare l’inesplicabile con la lingua del cinema.
Un consiglio per chi si accinge a dare una chance al film: lasciatevi trasportare dalle immagini!

Vai alla scheda del film




Lascia un commento

Assicurati di inserire (*) le informazioni necessarie ove indicato.
Codice HTML non è permesso.

Questo sito utilizza cookie per il suo funzionamento. Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie. Se vuoi avere maggiori informazioni, leggi la Cookies policy.