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Un altro giro - Recensione

Tra commedia e dramma personale Un altro giro di Thomas Vinterberg esplora la solitudine, il fallimento umano e il tentativo di riscatto di quattro amici di mezza età

Finn Skarderud, psicologo e psicoterapeuta norvegese, conosciuto soprattutto per i suoi studi sui disturbi dell'alimentazione, sostiene che l'organismo umano è in difetto dello 0.05% di alcool, carenza che impedirebbe all'uomo di raggiungere i migliori risultati nella vita personale e di relazione: in sostanza un paio di bicchieri di vino ogni tanto nella giornata, giusto per tenere il tasso alcolemico al livello fatidico e la vita ci sorriderà.
Partendo da questa teoria, quattro insegnanti di mezza età delle scuole superiori, tutti in una fase della propria vita piuttosto delicata, decidono di mettersi alla prova sperimentando la teoria dello psicologo norvegese. Martin insegna storia, e sente su di sé il peso degli anni e la brillantezza che lo contraddistingueva sta scemando facendone un personaggio noioso e privo di sprint, non solo nella sua professione ma anche e soprattutto nella sua vita famigliare; Tommy è un single che ha come affetto solo il vecchio e malandato cane e un ragazzino un po' imbranato della squadra di calcio che allena; Peter insegna filosofia, anch'esso single; Nikolaj ha una bella famiglia nella quale è però quasi un corpo estraneo con una moglie che lo ritiene un mezzo scemo e che lo comanda a puntino. Quattro vite insomma ben lungi dall'essere nel pieno del loro fulgore, ma quando l'esperimento ha inizio le cose in effetti sembrano migliorare sotto tutti i punti di vista, dando in qualche modo conferma alla teoria di Skarderud; i quattro prendono la cosa molto sul serio dal punto di vista scientifico, tant'è che decidono di tenere una sorta di relazione sull'evoluzione dell'esperimento. Quando però qualcuno di loro pensa sia il caso di passare ad un livello superiore dell'esperimento, cioè aumentare l'introito dell'alcol fino al punto di desiderarne di bere senza sosta, gli eccessi iniziano a creare i problemi e a far ripiombare le loro vite nelle tenebre.
Thomas Vinterberg, autore tra i più rigorosi del cinema nordeuropeo, dichiara in molte interviste sin da subito che il suo film non vuole essere un'elegia o peggio una istigazione al bere, sottolineando che invece Un altro giro è più un'opera che parla del controllo di se stessi, che, come ben sappiamo, è uno dei principali temi che emergono dal perbenismo scandinavo di stampo luterano, in riferimento soprattutto a quello che a tutti gli effetti è uno dei problemi nazionali maggiori, comune a tutti paesi scandinavi, l'alcolismo soprattutto tra i giovani.
Un altro giro si dibatte tra tonalità da commedia e dramma esistenziale, nel senso che il regista riesce, soprattutto nella prima parte, a stemperare i problemi personali di solitudine e di depressione che attanagliano i protagonisti con una buona dose di brillantezza e di autentico divertimento, salvo poi abbracciare in pieno il dramma nella seconda parte, quella nella quale i demoni personali vengono a galla a chiedere il conto ai quattro amici.
Quello della solitudine è uno dei temi che maggiormente si affacciano nel film, una solitudine interiore che si esplica in una sorta di inadeguatezza e di depressione che conduce la vita sui binari del dramma personale. L'applicazione della  teoria di Skarderud diventa per i quattro una ultima occasione per cercare una coesione che li faccia sentire meno soli, un ultimo tentativo di salvare la propria esistenza dal buio della solitudine, addirittura un estremo tentativo, costi quel che costi, per mettere una pezza al proprio mondo. Ma soprattutto Un altro giro è una profonda riflessione sul fallimento umano seguendo le teorie filosofiche di Kierkegaard, per il quale l'uomo affronta la nozione di fallimento in un modo tale che si generi l'ansia e la soluzione si trova nel prendere coscienza che l'uomo è essere fallibile per potere accettare la vita e gli altri.
I quattro amici ad un passo dal fallimento cercano nella bizzarra teoria il gesto estremo, salvo rischiare poi di cadere ancora più in basso, anche se il finale pieno di gioia e di colore sembra regalare qualche speranza e un po' di ottimismo.

Vinterberg dirige un'opera che per alcuni aspetti si discosta non poco dalla sua idea filmica, anche se poi nel fondo rimane quel forte senso ideologico ed etico che contraddistingue le sue pellicole. Il film è divertente, in alcuni momenti commuove ed emoziona, si carica di tragedia senza però diventare pesante e racchiude ben riconoscibile il messaggio sul riscatto e su quanto si è disposti pur di raggiungere la felicità.
Capitanati da uno splendido Mads Mikkelsen (Martin), certamente in una delle sue prove più belle della sua carriera, il gruppo di attori protagonisti è in evidente stato di grazia: Thomas Bo Larsen (Tommy), Magnus Millang (Nikolaj) e Lars Ranthe (Peter) regalano una prova corale ed individuale di grande spessore sottolineata, tra l'altro, dal premio collettivo come migliori attori protagonisti al Festival di San Sebastian 2020, uno tra i tanti riconoscimenti raccolti dal film di Vinterberg nel circuito dei Festival.




Il nostro giudizio: Il nostro giudizio è 3.5

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Massimo Volpe

"Ma tu sei un critico cinematografico?" "No, io metto solo nero su bianco i miei sproloqui cinematografici, per non dimenticarli".

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