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Pieces of a Woman - Recensione

Primo film in lingua inglese per Kornél Mundruczó, uno dei più interessanti e affascinanti registi europei contemporanei. Presentato in concorso alla Mostra del Cinema di Venezia 2020 che ha conferito la Coppa Volpi come miglior attrice alla protagonista Vanessa Kirby, la pellicola delude molto in quanto per circa due ore si assiste al tentativo di raccontare una storia

È settembre. Martha lavora in un ufficio, mentre Sean, il suo compagno, è un operaio che sta costruendo un monumentale ponte a Boston. La madre di lei ha appena regalato loro un'auto, necessaria perché la coppia a breve sta per avere una bambina. Entrambi sono particolarmente eccitati per la futura nascita, la loro prima figlia. La notte del parto, però, qualcosa va storto; si svolge in casa, secondo le volontà della coppia, e la giovane donna è assistita da un'ostetrica che non sa bene come comportarsi di fronte ad alcune complicanze. La situazione, così, sfugge e l'intervento in extremis dell'ambulanza, chiamata con disperazione da Sean, non permette di risolvere l'irreparabile. La vita di Martha e del compagno è quindi sconvolta. Da un lato l'uomo si dispera, si rifugia in un suo antico demone, l'alcool e in una relazione extraconiugale, mentre la giovane madre pare raggelata di fronte a quanto accaduto. È pungolata dalla madre, affinché reagisca e intenti una causa per negligenza nei confronti dell'ostetrica. Arriva, così, ad aprile il processo e solo nell'aula di tribunale Martha capisce realmente come si sente e riesce a mettere a fuoco quanto ha provato, quanto è accaduto da settembre fino a quel momento.
Kornél Mundruczó è un regista con una ben chiara cifra registica e autoriale. Nei suoi precedenti lavori, come Delta, White God, Una luna chiamata Europa, ha proposto, sommariamente parlando, un cinema molto ambizioso, eccessivo a volte, con uno sviluppo della storia mai troppo lineare, ai limiti dell'incoerenza. In Pieces of a Woman (uscito su Netflix il 7 gennaio 2021) tutto questo giunge a una trasformazione, a un cambio apparente (non ci auguriamo a una netta trasformazione). La pellicola, che annovera, tra gli altri, in veste di produttore esecutivo Martin Scorsese, si discosta, infatti, dai lavori precedenti, per proporre una visione cinematografica ferma, cristallizzata, congelata come la neve che nell'inverno della narrazione filmica imbianca Boston. La meraviglia, la sorpresa che spesso ha caratterizzato il cinema di Mundruczó scompare, per lasciare il posto a una ricerca, a tratti fastidiosa, troppo insistente, sicuramente retorica, dell'espressione contrita e affranta di Vanessa Kirby, Martha. La giovane, però, è davvero, triste, amareggiata, sconsolata e addolorata a seguito della perdita della figlia? La risposta non è consegnata allo spettatore, come, probabilmente, non risiede nemmeno nella mente del regista e quindi, dell'attrice. Il regista segue, così, il personaggio, inquadrandola in azioni retoriche e scontate come lo sguardo tenero (?) che si palesa in lei nell'osservare i figli degli altri o dispotico e arrabbiato quando conversa con la madre, Ellen Burstyn, o per meglio dire si scontra contro le sue idee. In questo modo l'interpretazione della Kirby e, conseguentemente la caratterizzazione di Martha, si perdono nel vuoto, nella non definizione, e lasciano la scena al delirio, alla rabbia, alla tragedia, maschia e sicuramente più tenera di Sean a cui Shia LaBeouf consegna un corpo sommesso, ricoperto di mille vestiti (come se si volesse difendere dal gelo della moglie) e uno sguardo realmente perso e disorientato di fronte al lutto.
L'osservazione della pellicola, dunque, pone negli occhi dello spettatore solo il lungo piano sequenza della scena del parto, forse il momento più significativo in cui il malessere e la tragedia prendono corpo attraverso l'affanno della Kirby, e davvero poco altro. Il finale giunge prevedibile e molto poco naturale e considerando quello che c'è stato in mezzo, ossia quasi nulla, è lecito domandarsi se la scrittura del film prevedesse un'evoluzione del personaggio principale, Martha, e se Pieces of a Woman sia un film che parla di dolore collettivo, di aiuto reciproco di fronte alla difficoltà, di visioni capovolte o semplicemente un tentativo di narrare tutto questo attraverso dei personaggi abbozzati.

Sicuramente la volontà da parte del regista e della moglie Kata Wèber, in veste di sceneggiatrice, di esprimere artisticamente un episodio di vita personale è giusto. Forse però da parte di entrambi c'è stata la volontà di non forzare troppo, di non essere retorici, ottenendo, così, però, l'esatto opposto, il nulla. L'augurio è che questo film rappresenti solo una piccola flessione nell'onorevole e ambiziosa carriera del regista ungherese.




Il nostro giudizio: Il nostro giudizio è 2

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Davide Parpinel

Del cinema in ogni sua forma d'espressione, in ogni riferimento, in ogni suo modo e tempo, in ogni relazione che intesse con le altri arti e con l'uomo. Di questo vi parlo, a questo voglio avvicinarci per comprendere appieno l'enorme e ancora attuale potere di fascinazione della settima arte.

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