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Strange Colours - Recensione (Venezia 74 - Biennale College)

L’opera prima di Alena Lodkina in cui la preoccupazione maggiore sembra essere la misura

Leggi nella presentazione “outback australiano”, “mondo folle” e il pensiero corre immediatamente a Wake in Fright. Con il film cult firmato da Ted Kotcheff agli inizi degli anni Settanta, il lungometraggio diretto dalla giovane Alena Lodkina condivide in realtà poco e niente. E anche l’ambientazione è più quella del bush, con la sua vegetazione arbustiva, che vero outback desertico.
Qui la protagonista trova una piccola comunità di minatori che cercano di sfruttare i giacimenti di opale. Tra questi c’è il padre che la ragazza è venuta a trovare, dopo tanto tempo, perché l’uomo si è ammalato. Prima di morire quest’ultimo sembra voler riallacciare il rapporto con la figlia, ma la distanza che li separa forse è incolmabile.
La preoccupazione maggiore della regista sembra essere la misura. Tutto è contenuto. Dalla recitazione ai movimenti di macchina fino all’accompagnamento sonoro. Le stesse emozioni dei personaggi sono trattenute, si specchiano disperdendosi in quel territorio inospitale quanto affascinante. Da ultima frontiera.
Alla fine tutto scivola in modo troppo monocorde per lasciare il segno, ma considerando che si tratta di un’opera prima la visione spinge a tenere d’occhio il futuro della regista.

Il nostro giudizio:

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