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Bilancio Venezia 76: una Mostra alla ricerca di un difficile equilibrio

Il Leone d’Oro a Joker e gli altri film premiati. Tracciamo un bilancio sull’edizione appena conclusa che rinnova la domanda sulla linea presa negli ultimi anni dalla Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica e la ricerca dell’equilibrio tra scelte autoriali e cinema industriale

Dopo aver conquistato le sale, lasciando le briciole agli altri (basta vedere le classifiche degli incassi), i cinecomic si prendono pure i festival. Il festival. Il più antico, di cui è bene ricordare il nome esatto perché non è un dettaglio: Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica. Certo Joker è, e ci mancherebbe, un’altra cosa rispetto ad Avengers e compagnia, ma il trionfo del film di Todd Phillips (che salto quadruplo il suo da Una notte da leoni al Leone d’Oro) a noi lascia perplessi per non usare altri aggettivi. Quelli che si sono sprecati per questa vittoria definita da più parti, anche da parte della stampa specializzata va detto, sacrosanta e rivoluzionaria. Noi, e non si tratta di semplice plurale maiestatis perché il pensiero è sostanzialmente condiviso dai redattori presenti a Venezia, non siamo d’accordo. Non riusciamo a capire questo livello di entusiasmo per un film certo piacevole, ma sostanzialmente tutto costruito sulle robuste spalle di Joaquin Phoenix, con furbi riferimenti scorsesiani che nascondono la dimensione mainstream del progetto (produzione Warner) più che indicare la via di un nuovo cinema d’autore. Quella terza via inseguita dalla gestione Barbera, il tentativo di conciliare il cinema autoriale con la natura industriale di intrattenimento, che ha portato a un’apertura più decisa a Hollywood, certificata dal legame sempre più stretto tra Venezia e gli Oscar (dove sicuramente ritroveremo il film di Phillips). Positiva o negativa, condivisibile o criticabile, a seconda di come la si vuole guardare (i numeri parlano di record di spettatori), la direzione presa fa riflettere sul significato della Biennale - la Mostra del cinema è pur sempre uno dei suoi settori - come avanguardia nella promozione delle nuove tendenze artistiche. Il discorso va al di là di quest’anno e si fa necessario perché la vittoria di Joker arriva due anni dopo quella del mediocre La forma dell’acqua di Guillermo del Toro sostenuto da un’altra major, la Fox (nel mezzo l’affermazione di Netflix con Roma di Alfonso Cuaron sulla quale è difficile non essere d’accordo per la qualità del film). Non siamo per una Mostra elitaria, senza compromessi con un cinema più popolare che contribuisce ad accrescere l’attenzione della manifestazione veneziana. Le star hollywoodiane danno grande risalto mediatico e portano molto pubblico. Mai come quest’anno si sono visti tanti giovani, in attesa delle sfilate sul tappeto rosso o in fila nelle sale con accredito culturale, specie nei primi giorni con la solita concentrazione (esagerata anche se comprensibile per la vicinanza con il festival di Toronto) dei film più attesi segnati dalla presenza di attori e attrici famosissimi. Ci piacerebbe, però, un Concorso più equilibrato tra nomi di richiamo per il red carpet e scelte autoriali, aperture mainstream e cinema di ricerca, Occidente e resto del mondo. Per rappresentare meglio il panorama cinematografico.

A dire il vero il programma di questa edizione sembrava garantire un buon bilanciamento, con meno film di lingua inglese, un’apertura non americana e una selezione di ventuno titoli non così scontata. A cominciare dalla pattuglia di italiani dove accanto a Mario Martone, già altre volte a Venezia, hanno trovato posto voci originali, esordienti in Concorso, come Pietro Marcello (riuscito a metà il suo Martin Eden) e Franco Maresco con il geniale La mafia non è più quella di una volta. Bello vederlo premiato, anche se al posto di quello speciale nel nostro palmares ideale avrebbe vinto il Gran premio della giuria. La 'medaglia d’argento' della Mostra andata invece a J’accuse di Roman Polanski che sembrava per tutti, anche per noi, il Leone d’Oro più giusto. Film non innovativo, dall’impianto classico, ma impeccabile nella messinscena e tematicamente forte. Pensando male, magari in modo troppo semplicistico, dietro al mancato premio principale si potrebbe vedere il veto della presidente di giuria Lucrecia Martel (protagonista di una polemica fuori luogo sull’uomo Polanski). Certo l’affermazione è ribaltabile, l’assegnazione di un riconoscimento comunque importante al film può anche essere vista come il segno di onestà intellettuale della regista-giurata. Ma come ignorare completamente il film mediamente più apprezzato dalla stampa internazionale? Allora ecco Joker sul podio più alto, con conseguente impossibilità del premio personale a Phoenix per la sua grande prova. Coppa Volpi quindi a Luca Marinelli, il miglior talento italiano della sua generazione, in un’edizione che ha regalato altre interpretazioni maschili di livello: da quella di David Thewlis nel modesto Guest of Honor di Atom Egoyan a quella di Adam Driver in uno dei migliori film della selezione, completamento dimenticato dalla giuria: Marriage Story di Noah Baumbach. La protagonista femminile, Scarlett Johansson, avrebbe potuto meritare la Coppa Volpi come miglior attrice. Anche per la scarsa concorrenza dovuta in parte da pochi film costruiti su personaggi femminili. Il premio ad Ariane Ascaride, non così protagonista nel debole Gloria Mundi di Robert Guédiguian, appare più come un riconoscimento alla carriera. A completare il palmares il Leone d’argento per la miglior regia a Roy Andersson per About Endlessness, nonostante la sensazione di déjà vu il suo sguardo sull’esistenza continua ad ammaliarci, e il premio per la miglior sceneggiatura a No.7 Cherry Lane di Yonfan che a parte la simpatia per l’autore lascia perplessi (perché non premiare la scrittura di Baumbach?). Il suo film d’animazione e in generale la selezione asiatica - e chi ci segue sa quanto siamo attenti al cinema orientale - si è rivelata poco incisiva. Ci aspettavamo molto di più da  Saturday Fiction di Lou Ye e solo discreto abbiamo trovato La vérité, il film francese di Hirokazu Koreeda dove si fa fatica a riconoscere la mano dell’autore giapponese. Per trovare qualcosa di asiatico più interessante bisogna spostarsi in altre sezioni, nelle Giornate degli Autori che hanno ospitato They Say Nothing Stays the Same di Joe Odagiri. Stessa sezione collaterale dove il cinema italiano ha scoperto Igort, al suo esordio alla regia con 5 è il numero perfetto che percorre una strada particolare nell’adattamento per lo schermo di un fumetto. Sospendiamo il giudizio su Orizzonti per non essere riusciti a vedere abbastanza film del concorso (ci ha però lasciato basiti il premio per la miglior sceneggiatura al debolissimo Revenir di Jessica Palud), mentre per la Settimana Internazionale della Critica ci piace menzionare Sanctorum di Joshua Gil. Esempio di un cinema visionario di cui ci piacerebbe trovare qualche esempio anche nel concorso principale.


 
Fabio Canessa

Viaggio continuamente nel tempo e nello spazio per placare un'irresistibile sete di film.  Con la voglia di raccontare qualche tappa di questo dolce naufragar nel mare della settima arte.

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