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Mil-jeong (The Age of Shadows) - Recensione (Venezia 73 - Fuori Concorso)

The Age of Shadows - Film - 2016 - Kim Jee-woon - RecensioneUn film che sembra fotografare lo stato attuale del cinema coreano. Quello di un'industria cinematografica capace di sfornare blockbuster di ottimo livello, ma dove trova sempre meno spazio una dimensione più autoriale e coraggiosa. Cinema coinvolgente, ma così artefatto da non emozionare veramente. Così il nuovo lavoro di Kim Jee-woon pur regalando due ore abbondanti di buono spettacolo, arricchito di almeno un paio di scene di alta scuola e da un interprete sempre carismatico come Song Kang-ho, passa senza lasciare particolarmente il segno

Dalla trasferta hollywoodiana che ha portato alla realizzazione di The Last Stand con protagonista Arnold Schwarzenegger (trasferta non particolarmente riuscita come quella di altri colleghi, in particolare Park Chan-wook), Kim Jee-woon si è portato a casa un bel po’ di milioni di dollari. Quelli, come si può vedere nei titoli di testa, della Warner Bros. che ha investito nel suo nuovo film con il quale è tornato a girare in patria. In fondo dei registi della nouvelle vague coreana esplosa una quindicina di anni fa Kim Jee-woon è sempre stato quello più incline a un modello di cinema occidentale. Ritmo, spettacolarità, personaggi capaci di coinvolgere subito il pubblico. Ingredienti che si ritrovano anche in questo film con il quale regista coreano, al quale bisogna riconoscere il coraggio di sperimentare i vari generi, affronta un periodo particolare della storia del suo Paese. Quello della dominazione giapponese.
Fine anni Venti. A Lee Jung-chool, un coreano che lavora come agente nella polizia giapponese, viene affidata la missione speciale di scoprire un gruppo armato di combattenti che fa parte della Resistenza coreana. Messi alle strette i ribelli lasciano momentaneamente Seul per Shanghai, dove contano di procurasi esplosivi da usare con lo scopo di far saltare alcune strutture nevralgiche giapponesi nella capitale coreana. Ma la polizia giapponese, con Lee Jung-chool, si mette sulle loro tracce.
The Age of Shadows (Miljeong) si snoda tra intrighi, inganni, tradimenti, amicizia, grandi ideali. Cavalcando in qualche modo diversi generi, dal film storico (e politico) allo spionaggio al noir. Dimostra ancora una volta, se ce ne fosse bisogno, l'alto livello tecnico dell’industria cinematografica sudcoreana che sforna blockbuster di qualità. Un bene se non fosse che questo respiro hollywoodiano sembra aver tolto quasi tutta l'aria alla spinta più autoriale che ha fatto del cinema coreano uno tra i più innovativi nei primi anni Duemila. Un film di quelli, insomma, che si vedono spesso al Far East Film Festival di Udine (senza nulla togliere alla bellissima manifestazione friulana) dove il programma è costruito esplicitamente con almeno un occhio ai blockbuster asiatici.
Quindi grandi mezzi, a partire dall'investimento in scenografie importanti con l'affascinante ricostruzione del periodo. Nel quale lo spettatore viene immediatamente immerso con una primissima scena ad effetto: l'inseguimento sui tetti delle case di un membro della Resistenza. Sembra l'inizio di un film rutilante di azione. Ma non è così. Dosa in effetti più di altre volte le scene spettacolari e violente Kim Jee-woon. Due ricordano, come costruzione, immediatamente il cinema di De Palma (sparatoria alla stazione che richiama alla mente quella di The Untouchables - Gli Intoccabili) e Tarantino (esplosione che fa pensare a Bastardi senza gloria). Quella più affascinante è però un'altra. Una lunga sequenza in treno, superata la metà del film, magistralmente orchestrata e carica di suspense. Quella che un po' si perde in certi punti,  forse per dei minuti di troppo.
Per quanta riguarda gli interpreti spicca Song Kang-ho (già diretto dallo stessa regista in The Foul King e in Il buono, il matto, il cattivo) che mette in fila le altre stelle del cinema coreano: da Gong Yoo a Han Ji-min fino a Lee Byung-Hun, quest'ultimo in realtà in un ruolo più marginale.

La presenza magnetica di Song Kang-ho arricchisce il film che passa sì godibile, però nel complesso senza lasciare particolarmente il segno. La consueta elegante regia di Kim Jee-woon sembra virare sempre più al servizio di una narrazione che accompagna fin troppo lo spettatore, coinvolgendo senza emozionare veramente. Nella grande confezione si sente un po' il vuoto di un cinema visibilmente artefatto.


Il nostro giudizio: Il nostro giudizio è 2.5

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Fabio Canessa

Viaggio continuamente nel tempo e nello spazio per placare un'irresistibile sete di film.  Con la voglia di raccontare qualche tappa di questo dolce naufragar nel mare della settima arte.

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