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La tigre e il dragone 2: La spada del destino - Recensione

La tigre e il dragone 2: La spada del destino - 2016 - Film - RecensioneQuindici anni dopo Yuen Woo-ping dirige il sequel di La tigre e il dragone: sebbene presenti numerosi e a volte pesanti difetti, La spada del destino è lavoro che richiama con una certa efficacia atmosfere e personaggi dell'illustre lavoro di riferimento di Ang Lee

Quindici anni sono trascorsi da quando Ang Lee con La tigre e il dragone rilanciò in maniera clamorosa il cinema asiatico e il genere wuxia: il suo film fu uno dei maggiori successi dell’anno sia a livello di riconoscimenti (l’Oscar su tutti) che di gradimento del pubblico ad ogni latitudine. Con quel lavoro il regista taiwanese ebbe anche il grande pregio di ripresentare al mondo cinematografico un genere, il wuxiapian appunto, che è stato uno dei pilastri portanti del cinema orientale, di area cinese soprattutto, reso più accessibile da una sottile ma decisiva occidentalizzazione delle tematiche altrimenti troppo ostiche per il pubblico europeo ed americano.
Ora, in questo scorcio iniziale del 2016, quello che fu l’Action Director di quel film e di tanti altri grandissimi successi asiatici e non (su tutti Matrix e Kill Bill), ovvero Yuen Woo-ping, personaggio ormai leggendario del cinema cinese, dirige il sequel dal sottotitolo La spada del destino, coproduzione sino-americana con la decisiva partecipazione di Netflix, piattaforma sulla quale il film è visibile a partire dal 26 febbraio.
L’impresa di Yuen Woo-ping non era semplice, nella maniera più assoluta, per tutta una serie di motivi, non ultimo il lungo lasso di tempo intercorso tra il lavoro di Ang Lee ed il suo sequel e per il lignaggio che questa opera ancora si porta dietro; inoltre la compartecipazione americana ha di necessità imposto delle scelte sia a livello di cast che a livello di location che possono lasciare un po’ interdetti. Al di là di questo il regista si è affidato alla sempiterna e magnifica Michelle Yeoh e al grande Donnie Yen garantendosi, almeno a livello di cast nei ruoli principali, il risultato sicuro. Inoltre il racconto, per certi versi piuttosto esile e lacunoso a livello di sceneggiatura, ha spesso fatto riferimento alla pellicola originaria sia come storia che come ambientazioni ed atmosfere, motivo per il quale il raffronto con La tigre e il dragone appare inevitabile ed ovviamente penalizzante per La spada del destino.
Il racconto parte diciotto anni dopo gli eventi raccontati da Ang Lee, basandosi sullo stesso riferimento letterario: la formidabile Shu Lien, maestra di arti marziali, torna in campo dopo un lungo esilio per portare il suo omaggio al vecchio maestro morto e soprattutto per prendere in consegna la leggendaria spada Destino Verde, arma che rende invincibile chi la possiede e che è minacciata dal perfido Hades Dai mediante la quale vorrebbe imporre il suo potere malvagio attraverso la degenerazione delle Arti Marziali. Nel compito arduo Shu Lien viene coadiuvata da Silent Wolf, l’uomo cui era stata promessa prima di conoscere il suo grande amore Li Mu Bai che abbiamo visto morire nel lavoro di Ang Lee. Anche Silent Wolf era stato dato per morto dopo un combattimento col villain Hades Dai e la sua ricomparsa riapre una ferita mai guarita nella guerriera. Con l’aiuto di un altro manipolo di guerrieri fedeli e con quello della sua allieva Snow Vase, Shu Lien va incontro al suo destino che è indissolubilmente legato a quello della spada. Una spada che come dice Hades Dai durante il combattimento decisivo “è lei che possiede noi, e non noi che vogliamo possederla”.
L’eccessiva occidentalizzazione narrativa di La spada del destino porta ad una serie di inevitabili conseguenze: il film appare come un compendio di canoni propri delle arti marziali, semplificato per poter essere meglio compreso e gradito dal pubblico non asiatico, sicché spesso le tematiche sono appena accennate, mentre altre risultano più approfondite. Tutti i personaggi hanno un passato doloroso, un anelito alla pace spirituale che contrasta con la necessità dettata dall’onore di rimetter gli eventi sulla corsia che il fato ha tracciato, tormenti d’amore che nascono da situazioni che non troveranno mai la degna conclusione, il forte senso dell’onore e del coraggio che spinge a combattere per la memoria di maestri e genitori.
Se i personaggi, come diretta conseguenza di quanto detto, hanno un sufficiente spessore, le situazioni spesso sono però un po’ troppo superficiali, quasi tirate via con dinamiche appena accennate e che non possono non condizionare la struttura narrativa del film che, inoltre, tende in diversi frangenti a risultare freddo e non pulsante di sentimenti come vorrebbe il genere wuxia.
Va detto però che buona parte delle critiche non positive ricevute, in Oriente come in Occidente, seppur per motivi diversi, appaiono troppo severe, perché comunque La spada del destino che ha i suoi pregi: se tecnicamente il digitale appare di frequente troppo preponderante, alcune scene sono però decisamente rimarchevoli, su tutte il combattimento sul lago ghiacciato, i canoni del wuxia sono bene esposti soprattutto per quanto concerne lo spirito del cavaliere errante che anima questo genere, la sceneggiatura indubbiamente carente lascia comunque spazio al carisma di Michelle Yeoh e Donnie Yen, che con la loro forza interpretativa e la tecnica da magnifici ultracinquantenni danno uno spessore notevole ai loro personaggi. Se a ciò aggiungiamo che tutto il cast, un autentico miscuglio di razze (sino-americani, australiano-italo-cinesi, costaricensi-americani), se la cava egregiamente, il lavoro di Yuen Woo-ping, seppur girato quasi grottescamente in inglese, ha i suoi pregi che ne consigliano la visione.
Qualcuno lo ha definito troppo fantasy, quasi un Signore degli Anelli, dimenticando che l’aspetto fantasy fa parte ormai da diversi anni, ancor prima de La tigre e il dragone di Ang Lee, della cinematografia di genere e che comunque in questo caso non appare certo più massicciamente rappresentato rispetto a tanti altri lavori recenti.

Insomma La spada del destino non sarà al livello de La tigre e il dragone, e non poteva essere altrimenti, ma il suo lavoro lo svolge degnamente, nonostante la fin troppo generosa dose di occidentalizzazione presente a vari livelli nel film.


Il nostro giudizio: Il nostro giudizio è 3

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Massimo Volpe

"Ma tu sei un critico cinematografico?" "No, io metto solo nero su bianco i miei sproloqui cinematografici, per non dimenticarli".

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