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Intervista esclusiva a Jia Zhang-ke

Intervista esclusiva con Jia Zhang-ke che ci parla del suo cinema, del suo legame con la società cinese e del suo nuovo film con gli attori di Platform

In occasione del nono Festival del Film di Roma, abbiamo incontrato Jia Zhang-ke, che ci ha gentilmente concesso una intervista esclusiva grazie ai buoni uffici di Marie-Pierre Duhamel (selezionatrice della rassegna), in un tranquillo hotel dei Parioli, nelle vicinanze della sede della kermesse. Il grande regista, esponente di punta della cosiddetta Sesta Generazione di cineasti cinesi, vincitore del Leone d'oro alla Mostra del Cinema di Venezia, ci ha lungamente parlato del suo cinema, del lavoro di Walter Salles Jia, a Guy from Fenyang (presentato al festival capitolino) incentrato sulla sua figura di regista, del suo legame con la società cinese e dei suoi prossimi progetti.

Abbiamo visto il film di Walter Salles in cui supera brillantemente la prova da attore (risate…). Il film è molto bello e abbiamo capito che tra lei e Salles c’è una grande amicizia che va oltre il rapporto professionale. Come avete sviluppato la vostra collaborazione? Perché guardando il film sembra un progetto che ha preso forma quasi spontaneamente...

La sensazione che voi avete avuto è giusta, è stata una impresa tra amici.

Ed è vero che era da sette anni che avevate in cantiere questo lavoro?
Nel 2007 a San Paolo ci fu una rassegna sui miei film e attraverso il presidente del festival ho conosciuto Walter. In quella occasione lui mi aveva informato che aveva deciso di fare un documentario su di me e di scrivere un libro sui miei film. Io ero molto sorpreso della cosa, mi stupiva che volesse onorarmi in questo modo perché è un regista che ammiro ed è più grande di me. Abbiamo parlato spesso di cinema e delle nostre esperienze e ho avuto la sensazione che Walter capisse bene il mio cinema e fra di noi c’è stata subito una sintonia che andava oltre l'aspetto professionale. Walter aveva da poco scritto un articolo su di me che poi casualmente fu tradotto in Cina ed ho avuto la conferma che con lui ci capiamo profondamente. Inoltre negli anni '80 lui era stato in Cina con suo fratello, cosa che lo ha spinto a decidere di venire a girare un film nel mio paese.

Noi che siamo suoi grandi ammiratori, siamo rimasti sorpresi dal ritratto intimo che esce dal film, una immagine poco nota e convenzionale: lei parla della sua famiglia, della figura di suo padre e non solo di cinema. Presumiamo quindi che per lei sia stato semplice potere esprimere i suoi sentimenti parlando con Walter Salles, perché nel film oltre al grande amore per il cinema c’è molta emozione.
Quando è venuto a Pechino nello studio dove lavoro, Walter ha notato subito due cose, la foto di mio padre sulla scrivania e sul muro il manifesto di 24 City in cui c’è mia moglie Zhao Tao, e mi ha detto: “Ti ho capito subito, nel tuo lavoro sei circondato dalle persone che ami di più”. E infatti Walter ha voluto inserire nel film le due foto: è un regista che ha lo sguardo pungente e riesce a scoprire tante cose ed ha aiutato anche me a scoprire tante cose che mentre facevamo il film non avevo notato, poi la sua squadra di lavoro è molto piccola, solo cinque persone, e quindi tutto rimane molto rilassante, sembra quasi si lavori con un gruppo di amici.

Nel film lei ricorda quando era adolescente ed era un ragazzino piuttosto irrequieto. Cosa l’ha portata a scegliere di studiare cinema, c’è stato un episodio o un film in particolare che l’ha colpita in età giovanile?
Questa cosa è molto legata alla mia vita: sono cresciuto in un cortile dove vivevano tante persone di ogni ceto sociale, il che mi ha dato la possibilità di osservare tanti personaggi e i loro comportamenti. Una volta giunto alla scuola media, ho sentito la necessità di manifestare tutto quello che osservavo. Alle scuole medie ho iniziato a scrivere poesie e novelle, ma dopo essermi diplomato ho visto un film di Chen Kaige, Terra Gialla (Huang tudi), che mi ha aperto gli occhi. Quel film mi commosse perché i luoghi dove sono nato sono proprio sulla terra gialla, non avevo mai visto la mia terra dentro un film. Quando ho visto il colore della terra, le persone e i loro volti che io conoscevo bene, allora ho capito che anche queste cose potevano essere rappresentate in un film.

Il suo cinema è molto legato alla terra natale dello Shanxi. Vorremmo quindi porle una domanda un po’ particolare: se fosse nato a Pechino, Shanghai, Hangzhou o in qualsiasi altra città cinese, sarebbe stato un regista diverso?
Sarei stato uguale, dal 1993 vivo a Pechino, una città moderna, dove però appena esci dalla periferia trovi la stessa povertà che c'è nella mia terra. Basta camminare un po’ ed è facile scoprire le persone che sono in difficoltà. Queste situazioni attirano molto la mia attenzione: un artista incontrerà nella sua vita tante realtà diverse e quindi deve scegliere quello che gli interessa di più. Walter Salles, ad esempio, viene da una famiglia benestante, ma la sua sensibilità lo porta a parlare nei suoi film della povertà e di gente in difficoltà. Quando ho visto il suo Central Station, ho provato grande emozione perché tutto ciò che lui racconta lo avevo già visto anche io.

Guardano i suoi film, si ha l’impressione di assistere a qualcosa in cui manchi qualsiasi forma di mediazione: è come affacciarsi da una finestra ed assistere a scene di vita vera senza alcun intervento tecnico sul suono, sulle luci, ecc.... Allora ci chiediamo, come concepisce la creazione di un film e come riesce a renderlo in questo modo unico che forse non ha eguali nel panorama cinematografico mondiale?
Quando ho studiato la teoria del cinema, ho capito che i film devono proiettare la realtà nel modo più naturale e questa è la cosa più bella dell’arte cinematografica oltre che una caratteristica fondamentale. Esistono tanti modi per girare un film e far apparire tutto come è nella realtà vera. Io ad esempio, quando devo girare una scena, faccio in modo che le persone del posto conoscano la troupe e che quindi la nostra presenza diventi naturale. La gente non deve mostrare curiosità quando si gira una sequenza: ad esempio se devo girare una scena con un attore che sale su un autobus, come posso integrare nella scena l’attore con le persone che realmente aspettano l’autobus in modo che non si noti l’intrusione nella vita di tutti i giorni? Sicuramente è importante che l’immaginazione della realtà, delle atmosfere e della natura sia il più aderente possibile al vero.

In Platform racconta una storia stupenda, un film che a nostro avviso va annoverato tra i più bei dieci film di sempre: un gruppo di giovani che inseguono un ideale artistico, un sogno. A venti anni di distanza, in un paese in profonda evoluzione che ormai è avviato sulla strada del materialismo tipico dell’Occidente, esistono ancora quel tipo di giovani?
La Cina è molto grande e la popolazione è immensa e spero che certe persone ci siano ancora. Magari i modi sono diversi: ora scrivono in Internet piuttosto che girare con un teatro itinerante. Sicuramente ogni epoca ha il suo modo di esprimersi, ma gli ideali ci sono sempre perché ognuno aspira ad una vita libera. I valori in Cina ora si sono spostati sul denaro e questo sicuramente ha influenzato i giovani. Ci sono giovani autori che fanno cinema e sono molto indecisi tra l’aspirazione artistica e il bisogno di guadagnare. Credo che lo spirito anticonformista sia diminuito rispetto agli anni '80-'90, ma ad ogni modo ci sarà sempre, così come ci saranno sempre persone valide.

Riallacciandoci al discorso sul cinema, la Cina è diventata il più grande mercato del mondo. In Occidente abbiamo l’impressione che ci sia una grossa parte della produzione di tipo mainstream, una piccola parte di registi indipendenti che anche a fatica cerca di produrre i suoi lavori ed inoltre una quota di registi di Hong Kong che vengono a lavorare in Cina dopo l’handover. E’ giusta questa impressione oppure la situazione è diversa?
Sì, direi che è così, ci sono grosso modo questi tre gruppi. A mio avviso, i registi che fanno film commerciali ed anche una parte di quelli che vengono da Hong Kong, sono molto influenzati da Hollywood e sono quelli che in Cina hanno il maggiore successo, quindi il mercato è di fatto monopolizzato da questo tipo di produzioni. Il governo cinese ha firmato accordi con Francia, Inghilterra ed India, ma in realtà i film che arrivano dall'estero sono prevalentemente produzioni hollywoodiane, anche perché i lavori prodotti fuori dalla Cina subiscono uno stretto controllo da parte del governo.

Lei ha parlato del suo nuovo progetto in conferenza stampa durante il festival. Può dirci qualcosa a tale riguardo? E come sta procedendo il lavoro di genere wuxia in cantiere ormai da qualche anno con Johnnie To?
Sì, sì, possiamo parlarne (risata…). Per il wuxia, sono quasi cinque anni che abbiamo in piedi il progetto, ma nel frattempo ho lavorato ad un altro film. Diciamo che sta andando avanti, anche se abbiamo qualche problema con i materiali, soprattutto perché la storia va dal 1895 al 1905. Abbiamo iniziato a disegnare i costumi, ma ci siamo resi conto che le cose non andavano bene in quanto c’erano molte imprecisioni: ad esempio io immaginavo che gli uomini dell'epoca portassero i capelli raccolti in una coda molto grossa ed invece ci siamo accorti che le code era piccolissime con pochi capelli. Insomma abbiamo capito che era meglio ricominciare da capo. Peraltro gli attori, avendo altri progetti, hanno dovuto abbandonare il nostro progetto ed essere sostituiti.

Insomma ci pare di capire che vedremo sicuramente prima l’altro progetto di cui ci ha parlato, dal titolo Shan He Gu Ren. Non ci è chiaro se sarà in qualche modo legato a Platform oppure se ci saranno solo gli attori di quel film.
No, ci saranno solo gli stessi attori.

Quando sarà pronto, lo porterà a Venezia o a Cannes?
Non so ancora dove presenterò il film: i tempi non sono ancora valutabili. Sicuramente se ne parlerà il prossimo anno, nel 2015, dipende da quando sarà pronto.

Durante la conferenza stampa tenuta al festival, lei ha detto che ci sono stati tre autori che l’hanno in qualche modo influenzata: Antonioni per il concetto dello spazio, Bresson per quello del tempo e Hou Hsiao-hsien per l’aspetto umanistico. Potrebbe spiegare bene cosa intende?
Un giorno lessi una citazione di Antonioni che diceva che prima di girare qualsiasi bisogna comunicare con lo spazio. All’epoca io non mi preoccupavo molto dello spazio, ma mi chiesi cosa significasse quella frase, anche alla luce della nostra cultura che prevede un profondo contatto con la natura. Da quel momento ho iniziato a pensarci, a capire e a comunicare con lo spazio. Riguardo al tempo, ho notato che nei film di Bresson esiste uno spazio temporale che appare a prima vista inutile. Ad esempio in Un condannato a morte è fuggito ci sono momenti in cui per gran parte del tempo non succede nulla, ma ho capito che quel tempo è una forma di espressione, un fluire che tiene uniti i momenti del film. Hou Hsiao-hsien è stato importante per i registi cinesi perché noi abbiamo vissuto la Rivoluzione Culturale che esprimeva una forma cinematografica ripetitiva che parla di eroi del comunismo, molto teatrale e finta. Dagli anni '90 con i film di Hou abbiamo cominciato ad osservare l’individuo. I suoi film ci hanno sollecitato a liberarci da quelle forme del passato, per cui il cinema cinese ha iniziato a pensare al singolo, all'individuo.

Con Il tocco del peccato c’è stato un piccolo cambiamento nel suo cinema, a nostro avviso. Nei suoi film precedenti ha portato sullo schermo luoghi e personaggi quasi dimenticati. Ne Il tocco del peccato ha cercato ancora di raccontare realtà nascoste, ma lo ha fatto spostando l'attenzione su fatti di sangue attraverso la narrazione di episodi di violenza. E' una piccola svolta dovuta al fatto che, in una Cina ormai globalizzata, è difficile trovare ancora storie ai margini come quelle dei suoi primi lavori?
Io sono sempre vissuto in Cina e quindi la mia sensibilità segue il passo del Paese. Quando ho deciso di girare Il tocco del peccato, è perché fui colpito dal vertiginoso aumento di casi di violenza avvenuti in Cina. Non che nel passato non ci fossero, ora però si verificano più spesso e inoltre qualsiasi cosa accada viene a conoscenza di tutti grazie alla tecnologia informatica, dopotutto ad Internet non sfugge nulla. Mi sono chiesto: “Come mai c’è tutta questa violenza?”. Mi interessa molto capire perché avvengono questi episodi violenti. A volte raccontiamo cose che vengono dalla memoria come in Platform, altre volte siamo proiettati nel futuro come sarà con il nuovo lavoro che sto preparando, ma la maggior parte dei film parla di attualità e ora l’attualità in Cina ci offre molti di questi casi violenti.

 

 

(Clicca sulle immagini per ingrandire)

Jia Zhang-ke, intervista esclusiva

(Riprese ed editing: Francesco Saverio Russomanno)

Un grazie all'interprete Gao Liang.


 
Massimo Volpe

"Ma tu sei un critico cinematografico?" "No, io metto solo nero su bianco i miei sproloqui cinematografici, per non dimenticarli".

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