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A Confucian Confusion - Recensione (Venezia 79 - Classici)

Confucianesimo e modernizzazione. La riflessione del mai troppo compianto Edward Yang che fotografa la Taipei della prima metà degli anni Novanta tra miracolo economico e crisi dei rapporti interpersonali, con un film basato su rutilanti dialoghi tra diversi personaggi

Dei sette lungometraggi diretti da Edward Yang, realizzati tra il 1983 e il Duemila, A Confucian Confusion è il quinto e probabilmente (insieme al successivo Mahjong) il meno conosciuto. Il restauro immaginiamo possa aprire la strada a un’edizione blu-ray e favorirne la diffusione come accaduto negli ultimi anni ad altri suoi lavori. Discorso che, manco a dirlo, non riguarda il mercato home video italiano al solito latitante. Certo il film presentato a Venezia Classici non è forse tra i più esportabili del grande regista taiwanese scomparso, prematuramente, quindici anni fa. Complesso, ma lo sono tutte le sue opere, si può definire una commedia dai toni satirici. Le vicende raccontate coinvolgono un gruppo di uomini e donne, di ambienti benestanti, nella quotidianità frenetica di Taipei. L’ambientazione è infatti quella cittadina, in epoca contemporanea (risale al 1994 quando fu presentato al Festival di Cannes) come tutti film dell’autore a esclusione di A Brighter Summer Day, peraltro il suo capolavoro assoluto, dove le lancette dell’orologio tornano indietro nel tempo agli Anni Sessanta quando Yang, classe 1947, era un ragazzo.
Per cercare di capire il senso profondo di A Confucian Confusion può essere utile partire da una dichiarazione del regista riportata anche nella presentazione del film sul sito della Biennale: “In questo momento, la situazione è terribile in tutta l’Asia. Non si tratta di un problema economico, né finanziario, né politico; è piuttosto un grave problema culturale. A Confucian Confusion è il primo, e finora l’unico, tentativo di autoriflessione: un tentativo di capire cosa c’è di sbagliato nell’entrare nel XXI secolo con l’ideologia del IV secolo d.C.”. Insomma quella portata avanti dall’autore è una sorta di indagine filosofica sul posto della cultura confuciana nella modernità, sulla relazione tra quell’insieme di valori ereditati dal passato e il modo di vivere contemporaneo, sull’identità di un Paese che oscilla tra la spinta verso l’Occidente e le radici orientali. Nella Taiwan di allora, frutto di un rapido miracolo economico dove lo sguardo attento di Yang intravede già delle criticità.
La narrazione si concentra su una serie di personaggi, offrendo un quadro della società urbana. Caotica, spersonalizzante, basata sulla finzione nei rapporti interpersonali, sull’ipocrisia, il cinismo e l’incoerenza. In questo quadro complessivo anche la sincerità mostrata dal personaggio di Qiqi, interpretata dalla bravissima Chen Shiang-chyi che negli anni successivi lavorerà spesso con Tsai Ming-liang, rischia di apparire di facciata. Dal grottesco inizio, con l’intervista all’autore teatrale Birdy che gira sui pattini attorno a un tavolo, al romantico e bellissimo finale, con un tenero e liberatorio abbraccio, A Confucian Confusion è un susseguirsi rutilante di dialoghi. Una verbosità che lo rende abbastanza faticoso da seguire anche per via di una recitazione a tratti eccessiva, seppur funzionale allo spirito satirico presente nell’opera. Conversazioni che sono messe in scena privilegiando piani e campi medi e sono sviluppate quasi sempre in interni: abitazioni, locali, uffici, auto. La città non viene mai mostrata direttamente, con dei totali. Appare casomai sullo sfondo, con i suoi palazzi, per esempio dalle vetrate delle finestre. Per raccontare Taipei, la sua anima, il regista taiwanese fa evidentemente una scelta precisa. Quella di non allontanare lo sguardo dai suoi personaggi.

Edward Yang ha fatto sicuramente di meglio nella sua straordinaria e sfortunatamente breve carriera, ma anche in A Confucian Confusion si trovano lampi del suo cinema più luccicante.




Il nostro giudizio: Il nostro giudizio è 3.5

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Fabio Canessa

Viaggio continuamente nel tempo e nello spazio per placare un'irresistibile sete di film.  Con la voglia di raccontare qualche tappa di questo dolce naufragar nel mare della settima arte.

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