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Poetry

La locandina di PoetryLa poesia come ricerca (e preservazione) della bellezza contro le barbarie del mondo moderno: una donna nutre una forte passione per la scrittura in versi che la porta a guardare con occhi diversi la dura realtà intorno a lei. La bellezza salverà il mondo? Se lo chiede Lee Chang-dong, in un dramma intimista premiato al Festival di Cannes 2010
Corea del Sud, oggi. Mi-ja, una donna di sessantasei anni che conduce una vita modesta insieme al nipote adolescente abbandonato dai genitori, si trova alle soglie della vecchiaia con un evidente principio di Alzheimer. Vive alla giornata, senza farsi scrupoli nel lavorare part-time come badante di un anziano malato e semi-infermo per cercare di mantenere economicamente il ragazzo. Nonostante svolga un lavoro umile, riesce a conservare sempre un aspetto gioviale e curato. Un giorno decide di iscriversi ad un corso per imparare a scrivere poesie, la sua più grande passione. Il suicidio di una ragazzina irrompe però nella sua vita in un modo inaspettato: a scatenare il gesto estremo un atto spregevole compiuto dal nipote e da alcuni suoi coetanei. Il tragico evento costringe Mi-ja a dover fare i conti con una realtà dura, compromessi umilianti ed un acuto senso di colpa. Non è facile per lei rimanere indifferente di fronte all’accaduto: il suo amore per la poesia acuisce sempre di più la percezione del mondo che la circonda, diventando una bussola che l’aiuta ad affrontare la situazione con sensibilità, lucidità ed umanità, qualità che sembrano mancare alle persone che le stanno attorno.

Il punto di vista femminile è ciò che salva Poetry dalla convenzione del film orientale tutto fugaci sensazioni ed intensi silenzi, quasi un sottogenere che in passato ha regalato più delusioni che gioie a certo pubblico occidentale. Premiato allo scorso Festival di Cannes come miglior sceneggiatura, il film si presenta formalmente in una ricercatezza ed una bellezza che rasentano la perfezione per elaborare la complessa ed eterea figura di Mi-ja, la cui emotività prettamente femminea palpita di autenticità nel complesso di una messa in scena di stampo contemplativo che esalta Una scena del filmogni sua sfumatura emozionale.
La protagonista è prigioniera della propria illusione di libertà in un mondo che la irretisce nel suo intrigo di convenzioni, falsità e crudeltà che le negano ogni margine di piena felicità, rendendola sensibile solo alla poesia che può garantirle quello spazio salvifico, tutto interiore, a cui brama dal giorno in cui inizia a guardare con occhi diversi la realtà che ha di fronte per poter iniziare a scrivere in versi, l’unico strumento che le permetterebbe di entrare in contatto con la vera natura delle cose e, di conseguenza, di capire quello che le sta accadendo.
In un percorso quindi di scoperta di se stessi e del mondo circostante attraverso grandi e piccoli sconvolgimenti del quotidiano, il regista Lee Chang-dong, figura eminente del cinema sudcoreano, restituisce il turbamento per un presente angosciante e sfuggente, riempiendolo del bisogno di poesia. Molto curato nella forma quanto nella sostanza, il suo film riesce ad essere toccante: raffinato, misterioso e violento, sa unire un altissimo stile ed una emozionante pietas, confermando un talento cinematografico raro ed inconfondibile. Alla buona riuscita concorre l’azzeccata scelta della protagonista, Yun Jeong-hie, icona dello star system della Corea del Sud.

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