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12 Citizens - Recensione (Festival di Roma 2014 - Cinema d'Oggi)

Esordio cinematografico per il regista teatrale cinese Xu Ang: 12 Citizens racconta le profonde contraddizioni della società cinese grazie ad una regia solida che sa ben sfruttare la piece di riferimento di Reginald Rose Twelve Angry Men

Xu Ang, personaggio di punta del panorama teatrale cinese, autore di successi clamorosi in patria, per il suo debutto cinematografico con 12 Citizens sceglie come soggetto la celeberrima piece televisiva di Reginald Rose Twelve Angry Men, portata poi sul grande schermo con altrettanto successo da Sidney Lumet (La parola ai giurati) ai suoi esordi nel 1957, con la quale ottenne l’Orso d’Oro a Berlino e il Premio Oscar per la regia: scelta ambiziosa quindi, ma molto adatta ad un regista teatrale che si cimenti per la prima volta con la celluloide.
Calato nel clima sociale e culturale della moderna Cina, 12 Citizens è infatti un ghiotto pretesto per esplorare contraddizioni anche profonde che scuotono il grande paese asiatico: lo spunto nasce da una simulazione di processo che gli studenti di Giurisprudenza di una università cinese allestiscono come prova d’esame. La giuria, composta da 12 persone quasi tutte genitori o parenti degli studenti stessi, ha il compito di riunirsi e in un tempo il più breve possibile emettere un verdetto che deve essere però necessariamente all’unanimità.
Il caso criminoso preso in questione è un fatto realmente accaduto in cui un giovane 'riccone' è accusato di avere ucciso il vecchio padre ubriacone e pieno di debiti che lo aveva abbandonato in tenera età e a cui si rivolge per avere dei soldi. Il quadro sembra fin troppo evidente: testimoni e prove presunte indirizzano inequivocabilmente verso la colpevolezza del giovane anche all’interno della giuria che è quasi all’unanimità sin da subito orientata per la condanna, tranne un solo giurato che cerca di instillare dubbi e far cadere certezze granitiche in nome del doveroso “al di là di ogni ragionevole dubbio”.
Il modus operandi della giuria deve essere guidato dal diritto occidentale di cui gli studenti debbono superare l’esame, lontano, molto spesso, dal comune senso della giustizia e dalle procedure in vigore in Cina. Ben presto il confronto, seppur sempre orientato in senso legislativo, diventa una occasione per esplorare i vari volti della società cinese: i giurati appartengono infatti a svariate classi sociali, possiedono un livello di istruzione e cultura differente, hanno background lontani tra loro e storie familiari peculiari. Essere giurato implica un'asetticità di giudizio e una mancanza assoluta di prevenzioni e di retropensieri, impone il liberarsi di pregiudizi maturati dalle proprie esperienze e quando ciò non avviene la rissa verbale (e non solo) diventa ovvia, spontanea, proprio perché ognuno valuta secondo la sua esperienza e secondo il proprio senso di giustizia dagli aspetti poliedrici.
Tutto ciò mostra 12 Citizens, storia efficacemente relegata in un ambiente cinematografico quasi post-industriale all’interno di un magazzino abbandonato dell’Università, dove i giurati si riuniscono e dove si svolgono tutti gli eventi del film.
La regia di Xu Ang è solida, ben sostenuta dalla sua esperienza teatrale che ben si fonde con il testo, ed è efficace nel mostrare come in un Paese immenso vivano gomito a gomito ideologie ed esperienze culturali variegate, spesso in contrapposizione, soprattutto quando a confrontarsi sono coloro che incarnano il passato e le tradizioni e coloro che sono figli della Cina moderna che vive la sua ebbrezza capitalistica-comunista.

Il testo di Reginald Rose si presta molto più ad una visione sociologica che a un da thriller processuale ed infatti Xu sa cogliere benissimo queste caratteristiche dirigendo un film ben strutturato che ha il pregio - in questo Festival del Film di Roma 2014 - di raccontare una storia compiuta, ben sviluppata e con un suo messaggio visibile.

Il nostro giudizio: Il nostro giudizio è 3.5

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Massimo Volpe

"Ma tu sei un critico cinematografico?" "No, io metto solo nero su bianco i miei sproloqui cinematografici, per non dimenticarli".

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