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Chernobyl, puntata 1: la (presunta) verità

Grande produzione con HBO e Sky in qualità di distributori internazionali per la serie tv che, sulla carta, rivoluzionerà visivamente il mondo della serialità. Quali verità vuole raccontare e come si pone vicino alla storia la serie tv Chernobyl che prende in esame il più grande disastro nucleare del Novecento? La parola alla prima puntata.

Il 10 giugno arriva in Italia su Sky Atlantic, la serie tv più importante nel 2019 che si pone, secondo molti sulla scia di Lost, Breaking Bad e Games of Thrones per l'alta qualità della messa in scena e della scrittura. Si tratta di Chernobyl e per l'esattezza è una miniserie di 5 episodi prodotta da Sister Pictures, The Mighty Mint, World Games e distribuita da HBO e Sky Television. Prima di confermare o smentire tale giudizio è necessario porre dei punti fermi, a partire dal cast tecnico. I produttori sono noti, mentre la sceneggiatura nasce dalla penna e dalla mente di Craig Mazin, uno sceneggiatore del cinema soprattutto comico (Una notte da leoni 2 e 3, Superhero Movies, alcuni Scary Movie) con una piccola esperienza nel racconto epico de Il cacciatore e la regina di ghiaccio. Dietro la camera di Chernobyl c'è Johan Renck, un regista di serie tv, The Walking Dead, Breaking Bad, Vikings, Bates Motel, in grado quindi di maneggiare dubbi, incertezze, suspense e terrore. Il cast è altrettanto illustre: Jared Harris, Stellan Skarsgård, Jessie Buckley (un'altra che di serie tv se ne intende) ed Emily Watson, per citarne alcuni.

Altro punto fermo: la storia. I fatti sono imprescindibili. Ciò che è avvenuto all'1.23 della mattina del 26 aprile 1986, le conseguenze, le cause, gli errori, tecnici e umani, sono cronaca più o meno svelata. Gli schemi narrativi che una serie tv può prendere in considerazione sono, quindi, diversi. Questa può attenersi al racconto preciso degli eventi; oppure porre a proprio focus le ore immediatamente successive al disastro, magari inquadrando come questo è stato percepito dagli abitanti della città; o ancora cercare di capire perché e in che modo le autorità sovietiche hanno nascosto al mondo intero per 36 ore il più grande disastro nucleare del Novecento. Ma a parte suspense e tensione, che cosa aspettarsi da Chernobyl? Consolidata la storia, quali tecniche visive e incastri narrativi hanno usato rispettivamente Renck e Mazin per tenere lo spettatore incollato per cinque puntate? Cerchiamo di capire cosa suggerisce la puntata pilota.

Idea di giustizia. Il quesito iniziale di Chernobyl appare immediatamente sullo schermo nella puntata pilota. Mosca, 26 aprile 1988, un uomo seduto in casa sua registra su un registratore le sue riflessioni sull'idea di giusto, di giustizia, su cosa è sbagliato e si domanda: "Un mondo giusto è un mondo sano?". Poi la scena cambia e la narrazione entra nella centrale nucleare nella notte tra il 25 e il 26 aprile 1986. È però questo breve momento iniziale che contiene e svela al pubblico il potenziale interrogativo su cui si incardina la serie tv. Tra i diversi aspetti storici e di finzione da affrontare, pare che Mazin si voglia concentrare sulla verità, sul voler dimostrare che ammettere le giuste colpe e parlare immediatamente al Mondo di disastro senza precedenti, forse poteva evitare la lunga scia di morti e traumi. L'idea di celare la verità sembra subito trovare forza nelle scene successive. Il prosieguo della puntata, infatti, mostra una riunione super riservata tra capi e funzionari sovietici in cui si consolida qual è la linea ufficiale post esplosione da adottare: non ammettere la colpevolezza e nascondere quanto avvenuto perché la grandezza dell'URSS non può essere intaccata.

Il disastro, la verità, l'insabbiamento, il rossore. La prima linea narrativa è, quindi, scaricare vicendevolmente le colpe e innescare così lo scontro tra capi e sottoposti. Se i tecnici, infatti, sanno chi e cosa ha causato il disastro, ma non vogliono puntare il dito contro nessuno per timore della scala gerarchica, i più altri in grado tra ingegneri e politici cercano una soluzione da proporre all'opinione pubblica che sia credibile, ma che non parli di esplosione, radiazioni e pericolo mortale. Insomma tutti sanno la verità, ma nessuna vuole ammetterla. Prende, quindi, corpo il filone narrativo dell'insabbiamento e si mette in moto la macchina della menzogna e dei segreti. Per rendere ciò credibile, si fa leva sul potere supremo insito nel regime sovietico impersonificato nella puntata pilota da un vecchio leader di partito che con una sinistra retorica convince tutti i dubbiosi che è meglio non mostrare la verità. C'è però quell'inquietante rossore, quelle ustioni violente e immediate che colpiscono i vigili del fuoco accorsi a spegnere l'incendio del reattore e i tecnici che subito dopo il disastro cercano una soluzione. E poi l'aria brilla e gli uccelli cadono a terra.

L'aria attorno a Chernobyl è grigia. L'impianto visivo di Chernobyl è teso a mostrare questo orrore. Renck usa la camera con molta lentezza, conduce chi guarda dentro al disastro piano piano, per poi allargare e mostrare il vero orrore, la situazione irreparabile, il punto di non ritorno. Emblematica è la scena in cui un tecnico è costretto dal suo superiore a osservare lo stato del reattore in fiamme. Sul tetto della centrale la camera segue l'uomo che si ritrova circondato da quel flusso di radiazioni e fuoco, come se la porta dell'inferno si fosse scoperchiata. Il regista rimane sempre dietro l'uomo, il quale una volta girato mostra il volto ustionato e uno sguardo a dir poco terrorizzato. Renck, quindi, studia una regia che conduca alla suspense, a mostrare e nascondere, portando gli abitanti di Chernobyl e chi guarda, a capire che cosa è accaduto. Per fare ciò Chernobyl sembra riferirsi al cinema sia per la diegesi, che per la creazione della tensione, che per l'uso della musica, minima e secca, utilizzata come collante tra le scene, e, infine e soprattutto, per le scelte ottiche, queste del direttore della fotografia Jacon Ihre, anche lui uomo di cinema, che attesta l'immagine della serie tv sui toni cupi del grigio, rinforzando ancora di più l'idea di terrore.

Tra 4 puntate troveremo (forse) tutte le risposte.





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Davide Parpinel

Del cinema in ogni sua forma d'espressione, in ogni riferimento, in ogni suo modo e tempo, in ogni relazione che intesse con le altri arti e con l'uomo. Di questo vi parlo, a questo voglio avvicinarci per comprendere appieno l'enorme e ancora attuale potere di fascinazione della settima arte.

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