Mosaic, conclusioni: il potere della verità
- Scritto da Davide Parpinel
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Olivia Lake muore. Scoprire il nome dell'assassino e il suo movente vuol dire ricostruire un mosaico di verità che non piace proprio a tutti nella Salt Lake di Mosaic. E se ci fosse un altro motivo, oltre a quello emerso, alla base della morte della donna? Steven Soderbergh porta lo spettatore in una scena pervasa da una luce gelida e congelata di apparente immobilità, in cui la verità emerge a fatica, per lasciare spazio alle suggestioni.
Chi mi ha uccisa? Anche l'Olivia defunta potrebbe porsi questo interrogativo. Sì, perché la dinamica del suo omicidio, avvenuto nella seconda puntata durante la notte di Capodanno, è abbastanza misteriosa, anche considerando che il corpo del reato non si trova. Lo spettatore ovviamente non sa nulla e né tanto meno vede nulla. Capisce solo che l'omicidio c'è stato e che nel giro di due puntate la donna che nel pilota appariva determinata, ammaliatrice e desiderosa di innamorarsi, si infrange contro una triste realtà. Quella di Eric il quale, sempre nel corso del secondo episodio, prima le dichiara amore, poi le infila l'anello di fidanzamento e poi, perché spinto da un amore reale, le racconta in che modo è giunto a lei e il raggiro ai suoi danni per il quale era stato assunto. Insomma, chi ha ucciso Olivia? Nome e movente come è prevedibile non arrivano prima dell'ultima puntata. Rimane così il mistero che lo sceneggiatore Ed Solomon articola pezzo dopo pezzo. Alla testa delle indagini si pongono il detective Henry Nate (Devin Ratray) e la sorella di Eric, Petra (Jennifer Ferrin). Due personaggi con una gran voglia di dimostrare qualcosa: il primo di essere un bravo poliziotto e la seconda di scagionare il fratello, incastrato intanto per l'omicidio, cercando di capire cosa si cela dietro la morte della protagonista. Le ricerche dei due partono assieme, poi, dopo il ritrovamento dopo anni del corpo di Olivia, separatamente, perché con il corpo morto da analizzare Henry riapre ufficialmente le indagini. In questa decisione l'uomo, però, si deve scontrare contro dei poteri forti che probabilmente non vogliono la verità. Dove quindi non può arrivare il detective arriva Petra e bussa un giorno alla porta del vero omicida. Smascherato colpevole e motivo, quale sensazione rimane in Petra?
Fiducia e onestà. Quest'ultimo forse è il vero interrogativo di Mosaic. In superficie effettivamente c'è il mistero sulla morte di Olivia, ma sotto traccia si muovono diversi dubbi sui protagonisti e sulle natura umana. La storia scritta da Solomon strizza molto l'occhio alle pellicole di Hitchcock in quanto pochi elementi narrativi e un'indagine condotta con il rigore delle verità scava e scava fino a portare in emersione il male dell'uomo. Da un lato, infatti, c'è la cupidigia, la sete di potere, l'arroganza, la supponenza dei potenti, dei ricchi, di chi possiede una bella e ordinata casa. Dall'altro c'è la semplicità e la pazienza, l'ostinazione e la convinzione di essere nel giusto, caratteristiche appartenenti sopratutto ai due investigatori. Henry è un uomo buono. È amico di Joel e prima di incastralo ci pensa cento volte; è così dedito al suo lavoro che quando i suoi superiori, soprattutto il vecchio Alan (Beau Bridges) suo vecchio capo, non mancano di manifestargli la loro sfiducia, fa un passo indietro, perché così deve fare. Non è stupido però. Ecco quindi che grazie all'aiuto di sua moglie, anch'essa poliziotta, e alla loro onestà (a tratti ricordano Marge e Norm Gunderson di Fargo) riesce a tracciare la strada verso la soluzione del caso che percorre Petra. La sua vittoria è importante e quando avviene comprende la bellezza di Olivia, una donna desiderosa di essere amata, alla ricerca di fiducia e dell'onestà del prossimo. E Joel? Il ragazzone tutto muscoli e disegni è la vittima perfetta. Non capisce persone e situazioni che lo circondano. Si lascia raggirare da Petra e dalla sua missione per cadere nella trappola da lei tesa. Poi casca nella rete di quei poteri forti che gli suggeriscono una suggestione, un 'potrebbe' di troppo, tanto da spingerlo a credere in qualcosa che non è accaduto. Joel è vittima innocente e forse questo Petra lo capisce troppo tardi.
Il segno di Soderbergh. Nell'architettura di questo apparato di testi e sottotesti Soderbergh è lineare e semplice. Per tutto lo svolgimento di Mosaic tiene fede all'impianto visivo mostrato nel pilota: focali tonde, luci al vivo, movimenti di macchina circolari per mostrare il punto di partenza e il punto di arrivo di ogni scena. La musica è quasi assente e il montaggio porta da pezzo all'altro del mosaico lo spettatore. La sua regia è quindi, congelata come i personaggi, sempre molto contenuti nelle emozioni, perché quasi attoniti di fronte a quanto accade e la fotografia, sia degli interni che degli esterni, è cupa e sinistra. Con Joel, però, il regista esce un po' da questo schema. Lo inquadra, infatti, dal basso verso l'alto, con primissimi piani, incolla la macchina da presa alle sue spalle perché è lui, il suo carattere irruento, il suo essere un alcolizzato e un fallito il potenziale indiziato dell'omicidio. È l'esca di Soderbergh con cui svela ciò che gli sta dietro. Tutto ciò rende Mosaic una buona visione.
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Davide Parpinel
Del cinema in ogni sua forma d'espressione, in ogni riferimento, in ogni suo modo e tempo, in ogni relazione che intesse con le altri arti e con l'uomo. Di questo vi parlo, a questo voglio avvicinarci per comprendere appieno l'enorme e ancora attuale potere di fascinazione della settima arte.