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Diario Festival di Rotterdam 2014: prime (piacevoli) impressioni

Sulla carta abbiamo presentato l'International Film Festival di Rotterdam. Ora bisogna capire se le aspettative sono confermate. Sembrerebbe di sì, a tal punto da scoprire uno stretto legame tra atmosfera e proposta cinematografica. Ecco il primo resoconto della nostra 'avventura' a una rassegna del tutto particolare

Rotterdam si presenta ai miei occhi enorme, gelida e in continuo movimento. Un freddo vento avvolge gigantesche costruzioni che sovrastano un reticolato di strade in cui il traffico procede ordinato ma soprattutto silenzioso, in quanto la maggior parte della auto sono elettriche. Le vere padrone della strada non sono le macchine, bensì le biciclette che riescono ad attraversare senza problemi anche i numerosi cantieri intenti a rendere le infrastrutture più funzionali e dinamiche.
Attorniato da questo caos regolato, giungo al de Doelen, centro nevralgico dell'International Film Festival di Rotterdam, giunto alla 43esima edizione. Appena entrato mi accoglie Get Lucky dei Daft Punk accompagnata da una coreografia improvvisata da parte di alcuni addetti all'accoglienza del festival. Mi fermo a guardare la scena divertito e poco dopo, una risata generale interrompe il ballo. Una ragazza si gira verso di me e sorridendo mi dice:  "Welcome to Rotterdam Film Festival!". Il che riassume, scherzosamente, l'atmosfera di questo festival. Dal ristorante, alla sala stampa, ai luoghi di relax tutto è in condivisione, in placida armonia. Domina un costante vociare, allegro, di tono basso che non disturba.
Nella sala principale dell'edificio c'è gente che sta pranzando o sta leggendo la rassegna stampa cartacea internazionale, fornita gratuitamente dall'organizzazione, mentre alcune persone spostano dei tavoli, per allestire un piccolo studio televisivo da cui trasmetteranno in diretta le loro news sul festival. Tanto questo è normale, come sedersi al tavolo di un regista intento a conversare con il suo pubblico, nello stesso momento in cui al tavolo di fianco Marco Müller, che come responsabile del cinema asiatico, negli anni Novanta, ha contribuito a consolidare il valore dell'IFFR, sta conversando con giornalisti desiderosi di sapere il suo punto di vista.

Ogni azione, ogni avvenimento, ogni cosa accada al Festival di Rotterdam è condivisione, genuinità, spontaneità e naturalità, proprio ciò che caratterizza due pellicole in proiezione lunedì.
La prima è il primo lavoro di Oxana Bychkova dal titolo Another Year, presentato in anteprima mondiale nella sezione Spectrum. La storia narra di due giovani sposi che, in una Mosca cosparsa di neve anche in agosto, lungo un anno dal 28 dicembre al 28 dicembre dell'anno successivo, sono artefici della fine e dell'inizio della loro storia d'amore. Ciò è dovuto al fatto che lei è una grafica, piena di vita che lavora in uno studio frizzante e informale. Lui, invece, è serio e compito: sembra evitare il divertimento, le gioie, le sorprese e preferisce trincerarsi di giorno nella piccola casa in cui vive con la moglie e di notte nel taxi con cui gira la città. Data la diversa natura dei caratteri dei due protagonisti la relazione è destinata a finire. Infatti i due si separano legalmente, ma non sentimentalmente. La regista russa costruisce il suo film come un buon compitino. Poche sorprese nella sua regia costantemente incollata ai due ragazzi, e nella sua scelta di narrare una storia poco originale in maniera lineare, resa dinamica dall'apparire di alcune date sullo schermo che illustrano lo scorrere del tempo. In questa cornice risulta apprezzabile la volontà registica di non scadere mai nel patetico, né nel sentimentale in quanto lascia che i due attori recitino con molta naturalezza e autenticità. Questo si evince sia nelle loro espressioni che nelle parole e nei dialoghi. Una scelta che forse è dovuta, forse, al fatto che Another Year è un'opera prima, ma proprio per questo dalla Bychkova era plausibile aspettarsi linguisticamente qualcosa in più, magari azzardare un montaggio che insinuasse qualche dubbio nello spettatore.
Molto realistico-minimalista è apparso, anche, il film Cherry Pie di Lorenz Merz, presentato in anteprima internazionale e inserito nella sezione Bright Future. Il terzo lungometraggio del regista svizzero narra della fuga di Zoe, Lolita Chammah, dal sud della Francia fino a Brighton. Il regista tiene all'oscuro lo spettatore sui motivi per cui la ragazza scappa, anche se il viso stravolto, una ferita a una gamba e una confusione mentale evidente che si manifesta nel continuo ripetere da parte sua di frasi come "Cosa stai facendo?" o "Non sono tua", lasciano intuire che lei fugga da un passato traumatico. Merz con in mano la macchina da presa lascia che la ragazza scopra la sopravvivenza, la sua vita in una totale assenza di soldi e opportunità. Non è percepibile nemmeno il contesto visto che il silenzio, interrotto solo da qualche suono della natura, avvolge la protagonista. Ciò che rende affascinante Cherry Pie, che nel titolo richiama l'unico gesto di umanità ricevuto dalla ragazza, ossia un pezzo di torta alle ciliegie offertale da uno sconosciuto, è la capacità del regista di creare un legame empatico tra attrice e pubblico, talmente stretto da portare chi osserva a vivere in prima persona il disagio della protagonista, le sue azioni, i suoi misteri, e riflettere in generale su come un evento traumatico possa ridurre una persona.
Questo è l'International Film Festival di Rotterdam.

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