Educazione siberiana
- Scritto da Anna Maria Possidente
- Pubblicato in Film in sala
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La vita di due ragazzi che crescono nel sud della Russia, in una città divenuta una sorta di ghetto per criminali di varie etnie e famiglie e la loro educazione, basata sui segreti di furti, rapine e uso di armi: è questa la storia che Gabriele Salvatores racconta nel suo ultimo film, Educazione siberiana.
Kolima (Arnas Fedaravicius) e Gagarin (Vilius Tumalavicius) sono le due facce di una stessa medaglia: appartengono allo stesso clan, guidato da nonno Kuzja (John Malkovich) che detta loro regole tanto precise quanto ineludibili; tuttavia, l’uno cresce con un enorme rispetto per tutti quei precetti appresi durante l’infanzia, l’altro si ribella e prova violentemente a uscire da una situazione di miseria, per diventare finalmente un individuo rispettato dalla società in cui vive.
Il premio Oscar Salvatores prova a 'osare', sfornando un film che è praticamente perfetto (una fotografia spettacolare, nonché una particolare attenzione alla cura della scenografia e alla scelta del cast) ma colpisce poco a livello emotivo. Tanta violenza, il più delle volte espressa in maniera del tutto gratuita, senza senso, ma dei rapporti interpersonali tra i protagonisti non traspare granché. Malkovich dovrebbe rappresentare colui che fa da collante tra il passato e il futuro, ma ha un ruolo effettivamente preponderante solo nella primissima parte del film; tutto il resto della pellicola è incentrato sul conflitto tra i due ragazzi, amici sin da bambini ma inesorabilmente rivali nel momento in cui uno dei due decide di uscire da una sorta di codice d’onore che inizia a stargli stretto.
L’ispirazione all’omonimo libro di Nicolai Lilin è sicuramente una componente fondamentale, anche per capire come questo film sia tanto diverso dallo stile di Salvatores. Gli attori meritano tutti grande attenzione, dal pluripremiato e noto John Malkovich ai giovani attori lituani alla prima esperienza cinematografica.
Quello che manca è l’emozione forte, uno dei tratti più distintivi del regista di film pieni di pathos come Mediterraneo e Io non ho paura. Insomma, sarà pur vero che chi non risica non rosica, ma le potenzialità di un film come questo erano tante e la maggior parte di esse sono andate sprecate.