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Blonde - Recensione

Il nuovo lavoro del dannato Andrew Dominik non è un film biografico sull’icona del cinema Marilyn Monroe: è un film su una donna, sulla sua infanzia infernale e su quanto le è costata la consacrazione come divina. È un film che racconta e descrive l’aria di plastica e ipocrita della Hollywood degli anni Cinquanta

Norma Jeane è una bambina che vive di sogni e aspirazioni. La realtà della vita le presenta, però, sin da piccola, il conto della sua crudeltà: una madre violenta e psicopatica che l’accusa di essere la causa dell’abbandono della famiglia da parte del padre. La piccola è, così, costretta a vivere sotto il tetto di un orfanotrofio. La fortuna, però, sembra baciarla; infatti crescendo la bambina diventa una bellissima donna bionda e seducente e per questo le porte del cinema si spalancano di fronte a lei. Provino dopo provino, però, Norma Jeane è più apprezzata per la sua fattezza estetica che per la sua bravura artistica, tant’è che diviene presto l’oggetto del desiderio di molti uomini, trasformandosi repentinamente in Marilyn Monroe. Il personaggio pubblico prende il sopravvento e chi le sta attorno, registi, direttori di casting, uomini in generale, non sono in grado di capire la sua vera anima. Il suo progetto di avere una famiglia normale, così, sfiorisce piano piano, fino a quando l’icona fagocita la povera Norma Jeane.
Blonde è arrivato nel concorso della Mostra del Cinema 2022 dopo una rincorsa mediatica durata mesi. Doveva essere presentato al Festival di Cannes ma essendo distribuito da Netflix, ha avuto il rifiuto del Delegato Fremaux. A partire dalla primavera 2022, inoltre, si è sparsa la voce per cui sarebbe stato il primo film distribuito dalla piattaforma americana vietato ai minori, poi abbassato ai minori di 17 anni; a completare l’opera di attesa mediatica, c’ha pensato Andrew Dominik. Dall’estate, il regista de L'assassinio di Jesse James per mano del codardo Robert Ford ha cominciato a rilasciare dichiarazioni altisonanti parlando di Blonde come del suo capolavoro; del film che gli ha impegnato più tempo di tutti per realizzarlo e che lo avrebbe consacrato. Ha anche aggiunto che questa pellicola non vuole essere una biografia per immagini di Marilyn Monroe, bensì si focalizza sulla dimensione umana dell’icona di Hollywood e sulla netta separazione tra Marilyn e Norma Jeane. E così è. Prima di arrivare a MarilynBlonde si focalizza su chi era Norma Jeane e la sua infanzia maledetta e di sofferenza. Tra case che bruciano, violenze, pianti e lacrime, Norma diviene solo dopo Marylin. Dominik sottolinea in questo passaggio, come la felicità, il successo, la consacrazione a icona di femminilità e di star del cinema, non siano aspetti positivi, anzi nella vita della Monroe sono schiacciati dall’idea maschilista e sessista dell’America degli anni Cinquanta e Sessanta. Per questo nel film la donna è letteralmente sbattuta da un letto all’altro, utilizzata sessualmente dagli uomini (da Charles Chaplin Jr e Edward J. Robinson Jr, al Presidente Kennedy, a Joe DiMaggio, interpretato da Bobby Cannavalesuo primo marito e gelosissimo al massimo della violenza) e nessuno sembra in grado di comprendere la fragilità della sua anima. Solo lo scrittore Arthur Miller, Adrien Brody nel film, suo secondo marito, ne intuisce la sensibilità, fino a quando, però, l’industria di Hollywood e i soldi facili non la conducono lontano da lui. L’instabilità emotiva del personaggio è, dunque, ciò che caratterizza la Marilyn di Blonde. Il regista fa ruotare tutta la narrazione sull’incapacità della donna di reagire agli eventi, perché la donna vive nella speranza perenne che l’uomo di turno che le si palesa di fronte possa regalarle quella stabilità famigliare di cui è in cerca nel ricordo del padre che non ha mai visto. Su questo tasto, forse, Dominik preme un po’ troppo, permettendo alla vena patetica di prendere il sopravvento soprattutto nell’insistenza con cui il personaggio di Marilyn usa la parola “Daddy” con la quale si rivolge agli uomini che la circondano. Blonde è, dunque, un film sulla donna, sul personaggio e sull’icona e ciò si può dedurre in particolare dal lavoro del regista nel ricreare, e porre a motore narrativo del film, le fotografie, le scene dei film e l’immagine pubblica di Marylin, arrivando a far diventare Ana de Armas una copia esatta della Monroe. L’interpretazione dell’attrice, infatti, è gestita in ogni suo aspetto, smorfia, sibilo di voce, mutamento dalla regia di Dominik che la cinge con primissimi piani, con giri della macchina da presa attorno a lei, con le luci di Hollywood a illuminarla all’interno di una regia veloce, vorticosa, senza stacchi, sostenuta e amplificata dal sonoro dei flash dei fotografi che scrutano morbosamente l’attrice. È un intreccio di immagini, di momenti, di eventi costruiti sempre nell’idea di portare chi guarda nella tragedia di vita di Norma/Marilyn. Ogni scelta linguistica di Dominik è calibrata sul far vedere quella determinata cosa in quel momento e in quel modo e l’interpretazione della de Armas è componente essenziale di questa definizione. 
Andrew Dominik ha progettato, quindi, Blonde in ogni minimo dettaglio. L’ampio minutaggio, 2 ore e 45 minuti, non deve spaventare, perché la pellicola è un flusso che rapisce, seppur a tratti perda tensione in particolare nelle scene del rapporto a tre con i figli di Chaplin e Robinson o quando Marilyn vive con Miller perché non è chiaro lo stato d’animo della donna (stava bene o stava male con loro?). Il finale, inoltre, è un po’ sommario, perché arriva improvvisamente e non è supportato da quel processo di distruzione che Marilyn Monroe stava conducendo nella sua vita.

In conclusione, Blonde nasce e si sviluppa attorno a un’idea semplice che però appare costruita e sviluppata con originalità e sapienza da Dominik. Non è un film biografico, lo ribadiamo; non permette di conoscere la vita della diva, anche perché il regista si concede qualche passaggio fuori dagli eventi reali. È un film che racconta le problematiche di vita di una donna a cui è stata tolta la felicità di esserlo. 




Il nostro giudizio: Il nostro giudizio è 3.5

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Davide Parpinel

Del cinema in ogni sua forma d'espressione, in ogni riferimento, in ogni suo modo e tempo, in ogni relazione che intesse con le altri arti e con l'uomo. Di questo vi parlo, a questo voglio avvicinarci per comprendere appieno l'enorme e ancora attuale potere di fascinazione della settima arte.

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