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Palo Alto - Recensione (Venezia 70 - Orizzonti)

L'opera prima della nipote di Francis Ford Coppola, Gia, inserita nel programma di Orizzonti alla 70° Mostra del Cinema di Venezia, è un film discreto anche se riuscito a metà

I teenager di Palo Alto se la spassano. Feste quasi ogni sera, alcool a fiumi, droghe accessibili e anche quando a rovinare il party arriva la polizia, la giustizia è abbastanza clemente. Insomma Palo Alto è un Eldorado, con qualche problema. Questa è la visione che propone la giovane Gia Coppola, ennesimo prodotto della famiglia più prolifica del cinema.
Per questa sua opera prima la regista prende a riferimento il libro Palo Alto Stories scritto da James Franco, anche produttore e interprete della pellicola. L'attore interpreta un professore di educazione fisica di una scuola superiore con la passione per le sue alunne. Il suo bersaglio è, in particolare, April (Emma Roberts), a cui le attenzioni del suo coach non dispiacciono. La ragazza però si vorrebbe avvicinare all'universo in cui è racchiuso Teddy (Jack Kilmer), un ragazzo dai capelli biondi spettinati, pittore in erba che, troppo spesso, si lascia trasportare dalla sconsideratezza del suo grande amico, Fred (Nat Wolff). La mente di questo ragazzo è fuori controllo, come anche quella di Emily (Zoe Levin), che coltiva i suoi rapporti sociali solo attraverso il sesso. Ciò che accomuna tutte queste vite e molte altre è la solitudine.
La Coppola ritrae una generazione di adolescenti immersi in un'esistenza catatonica, aggravata dal benessere delle loro famiglie abbienti, dalla mancanza di emozioni e stimoli e dall'inesistente capacità di relazionarsi. Cercano attenzioni non con volontà, ma con spirito di competizione, per sentirsi, per un attimo, superiore agli altri.
Concettualmente, quindi, Palo Alto si presenta valido, ma rimane tutto sospeso, non esplorato a causa della volontà della Coppola di non condurre la sua analisi più a fondo. Sembra quasi che si accontenti della 'solitudine' per identificare gli adolescenti e non voglia scavare ulteriormente, magari alla ricerca di drammi esistenziali e problemi generazionali più consistenti. Il che si riflette anche nelle scelte linguistiche incentrate su inquadrature dalle tinte pastello e un lirismo ridondante, superfluo e di poca personalità, come nella scena del rapporto sessuale tra il professore e April in cui la regista preferisce non inquadrare l'atto, ma fornire brevi istantanee del volto della ragazza, scollegate dal contesto.

Piccolo merito: una buona colonna sonora, rigorosamente indie in puro stile Coppola.

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