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The Wailing - Recensione

The Wailing - Goksung - 2016 - Film - RecensioneEccellente terzo film per Na Hong-jin, uno dei registi più validi del cinema coreano moderno, The Wailing fonda atmosfere da thriller e angosciosa suspense da horror doc, in un crescendo nel quale la mano del regista asseconda il tema del dubbio e della realtà multiforme immersi in un clima cupo e tenebroso

Con The Chaser si era imposto grazie ad uno degli esordi più strabilianti degli ultimi anni del cinema coreano, con The Yellow Sea aveva confermato le sue indubbie qualità di cineasta e sei anni dopo, anche stavolta grazie al palcoscenico della Croisette, Na Hong-jin si è definitivamente imposto come uno dei registi coreani più validi: il suo The Wailing (Goksung) infatti è opera giustamente e coerentemente ambiziosa, che affianca al thriller l’aspetto horror in un racconto dominato dai toni oscuri e opprimenti.
In un piccolo villaggio della Corea una strana malattia che si manifesta con deturpanti pustole si accompagna a inspiegabili omicidi. La comunità sconvolta inizia a mettere in relazione gli eventi con la presenza di un enigmatico giapponese comparso da poco e che vive isolato all’interno della foresta: per qualcuno addirittura è una sorta di essere soprannaturale che si nutre di carni crude e che mostra degli orrorifici occhi iniettati di sangue. Ad indagare, col solito ben poco senso della professionalità, è chiamata la polizia locale ed in particolare l’ufficiale Jong-goo, il quale sembra propendere per una strana e perniciosa forma di intossicazione da funghi. Quando però tra frammenti onirici e la comparsa delle temibili pustole sul corpo della figlia anche il sergente inizia a dubitare di qualcosa di demoniaco che affligge il villaggio, le sue indagini si indirizzano sull’inquietante giapponese che vive nel bosco, coadiuvato da uno sciamano.
Spoilerare su un thriller e per di più horror sarebbe delitto imperdonabile. Basti quindi sapere che se l’inizio di The Wailing sembra richiamare in maniera quasi citazionistica l’archetipo del thriller coreano degli ultimi 15 anni, Memories of Murders di Bong Joon-ho, nella seconda parte il regista tenta di riscrivere i canoni dell’horror con sfumature soprannaturali riuscendoci brillantemente, soprattutto perché evita tutta quella serie di trucchetti, stereotipi più o meno sfruttati, per concentrarsi invece sulle atmosfere e su alcune tematiche che con sapienza sparge nel corso delle oltre due ore e mezza di pellicola.
The Wailing è film cupo, duro, cattivo che non risparmia nulla come dovrebbe essere ogni qualvolta una storia va a sguazzare nel magma dell’oscurità che ristagna in fondo all’animo umano: la colpa da espiare, la paura e l’avversità che evoca il diverso, il dubbio che rende sempre la realtà nebulosa, il confine tra il Bene e il Male sono i temi che Na utilizza per creare la sua storia. Inoltre essendo oltre che un bravo e talentuoso regista anche un fine sceneggiatore, il film avviluppa lo spettatore in spire sempre più strette nelle quali le carte in tavola sembrano cambiare in continuazione creando sconcerto, e forse anche qualche confusione.
Citando il Vangelo, richiamando episodi che fanno parte della tradizione cattolica (il gallo che canta tre volte), mostrando una Chiesa incapace di far fronte ai dubbi e alle paure dell’uomo e riti sciamanici tanto potenti quanto inefficaci, Na ci dice a chiare lettere che sconfiggere il Male è impresa improba, perché il diavolo altri non è che la proiezione delle nostre colpe e delle nostre paure.
Sebbene la prima parte si configuri più come un lungo prologo, è proprio in quei frangenti che il regista mostra tutto il suo talento: l’ambientazione agreste-montana è magistralmente resa, la pioggia battente e le ambientazioni buie concorrono a creare un clima opprimente e inquietante. Quando poi The Wailing vira verso l’horror, non mancano le immagini dure e gli effetti speciali ben confezionati oltre che un paio di scene da antologia, su tutte quella del rito sciamanico.
Ma è soprattutto nel beffardo modo di dipanare la storia che Na raggiunge i livelli più alti di qualità: la capacità di tenere saldamente in mano la storia, di tracciare false piste e di creare delle flebili certezze che ben presto si ribaltano, riesce a costruire un labirinto demoniaco e angosciante sul quale aleggia la beffa.

Il finale, carico di dramma e che lacera profondamente, è la firma in calce ad un'opera che per originalità, profondità delle tematiche, suspense e atmosfere va sicuramente considerata tra le migliori del genere degli ultimi anni.
Il cast è di quelli che lasciano il segno grazie ad interpretazioni eccellenti, soprattutto quella di Kwak Do-won, nella parte del poliziotto, che vediamo all’opera nel suo primo ruolo da protagonista; accanto a lui, nei panni di uno sciamano dai tratti grotteschi, Hwang Jung-min che mostra tutta la sua versatilità e l’attore giapponese Jun Kunimura, altro vecchio leone sempre verde nella parte del misterioso abitante della foresta.


Il nostro giudizio: Il nostro giudizio è 4

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Massimo Volpe

"Ma tu sei un critico cinematografico?" "No, io metto solo nero su bianco i miei sproloqui cinematografici, per non dimenticarli".

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