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Capitan Harlock - Recensione

L’avventura del pirata dello spazio rivive in 3D, ma l’animazione digitale trasforma Harlock in un videogioco d’intrattenimento che fa rimpiangere l’opera originale di Leiji Matsumoto

Non solo lo Studio Ghibli con l’ultimo, bellissimo film di Hayao Miyazaki. L’animazione giapponese si mette in mostra a Venezia con un altro film targato Toei che porta sul grande schermo il personaggio più importante creato dalla geniale matita di Leiji Matsumoto. Dal manga, alla serie animata a questo film in 3D. Rivive l’avventura del pirata dello spazio, ma l’effetto nostalgia non basta per uscire veramente soddisfatti dalla sala dopo la visione di questo film diretto da Shinji Aramaki.
Capitan Harlock
vaga nell’universo a bordo del suo incrociatore da battaglia, l’Arcadia, attaccando e saccheggiando con audacia le navi nemiche. È lui l’unico ostacolo per la corrotta coalizione denominata Gaia che vuole avere il dominio completo dell’universo. Ezra, comandante della flotta di Gaia, ordina al fratello minore Logan (Yama in giapponese) di infiltrarsi nell’Arcadia e uccidere Harlock. Ma Logan scopre presto che a volte le cose non sono come sembrano e da spia diventa alleato del pirata dello spazio.
Un film d’intrattenimento che punta sull’avventura, con scene d’azione nemmeno molto originali (per esempio quella del verme gigante), sulle battaglie spaziali con continue esplosioni. Davvero troppe. Per sfruttare le potenzialità del 3D sembra ci si dimentichi di delineare in modo convincente i personaggi, di creare una storia che per la sua banalità tende subito a stancare. La particolare animazione digitale poi non pare adatta al soggetto. L’umorismo, l’ironia tipica di Matsumoto, con il suo tratto, il modo di disegnare i personaggi (così bizzarro l’equipaggio dell’Arcadia) sono lontani. E il film diventa come un videogioco di ultima generazione.

Lo stesso Capitan Harlock, che finisce per essere in secondo piano rispetto a Logan, perde parte della sua aura di fascinoso eroe romantico, simbolo di libertà, che ha conquistato milioni di appassionati in tutto il mondo. Un mito destinato a durare finché ci sarà il genere umano, per citare una battuta del film, e a superare anche incarnazioni non particolarmente convincenti come questa. Che in fondo un grande merito lo hanno: far venire voglia di riprendere in mano l’opera originale, quel manga e quell’anime che hanno fatto entrare nella leggenda Leiji Matsumoto.

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