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Across Asia Film Festival 2018: intervista a Khavn De La Cruz

This is (not) Khavn (De La Cruz). Il regista filippino si racconta all'Across Asia Film Festival 2018: la grande energia creativa, la passione per il cinema, le collaborazioni internazionali

“Vorrei girare un film in Sardegna, un psycho-western”, racconta Khavn De La Cruz. E non si tratta di una boutade. C’è un progetto, spinto anche dalla Fondazione Sardegna Film Commission, di cui sono state gettate le prime basi nel 2014, quando il regista filippino è venuto per la prima volta nell’isola. Quattro anni dopo è tornato rispondendo all’invito di Stefano Galanti e Maria Paola Zedda, direttori artistici dell’Across Asia Film Festival. A Cagliari, in prima italiana, Khavn De La Cruz ha presentato due suoi recenti lungometraggi: il pluripremiato Balangiga: Howling Wilderness, che racconta attraverso lo sguardo di un bambino il massacro perpetrato dagli americani nell’isola di Samar agli inizi del Novecento, e Bamboo Dogs, ispirato all’esecuzione di una banda di criminali a Manila a metà degli anni Novanta. Ma non solo. Durante la manifestazione ha anche sonorizzato dal vivo un capolavoro del cinema muto come il giapponese The Page of Madness di Teinosuke Kinugasa, dimostrando le sue doti da musicista, e partecipato a un incontro in una scuola superiore alla quale ha donato un suo nuovo libro di poesie. Perché Khavn De La Cruz oltre a essere regista e compositore è anche scrittore.

Un artista a tutto tondo. Stravagante nel modo di vestire quanto generoso. Si è prestato pure a fare il tecnico video, simpaticamente il valletto, durante una masterclass di scrittura per il cinema tenuta dalla sua sceneggiatrice e produttrice Achinette Villamor (nella foto a sinistra), anche lei ospite a Cagliari. Grande protagonista dell’Across Asia Film Festival, Khavn De La Cruz è considerato il padre del cinema digitale filippino (ha anche fondato il .MOV, primo festival filippino interamente dedicato ai film girati in digitale) e seguendo il metodo guerrilla filmmaking, consistente nel girare in tempi brevi e con piccoli budget, ha realizzato molti film. Di qualità come dimostra anche l’attenzione per i suoi lavori dei festival internazionali, in particolare il Festival di Rotterdam con il quale ha instaurato un rapporto privilegiato.

Prima di tutto una curiosità, una domanda che sicuramente le hanno già fatto in tanti: cosa significa la frase “This is not a film by Khavn” (Questo non è un film di Khavn) nei credits dei suoi lavori?
Ha diversi significati. Concettualmente la frase si ispira alla provocazione “Questa non è una pipa” usata da Magritte come didascalia di una sua famosa opera che ritrae una pipa. Sono un fan del suo lavoro, del surrealismo. Poi prende anche in prestito il decimo voto di castità del Dogma 95: il regista non deve essere accreditato. L’idea di fondo è che il cinema è un’opera collettiva, anche il cast e i membri della troupe sono registi. Nessun filmmaker è un’isola. Così ho deciso di firmare in questo modo i miei film.

Che sono tanti. Siamo abituati a vedere i registi italiani, e non solo, realizzare un film dopo diversi anni mentre lei è davvero prolifico. E non si limita a fare cinema, è anche musicista e scrittore molto attivo. Dove trova tutta questa energia e la continua ispirazione?
Ho iniziato scrivendo poesie e canzoni. Lo facevo di continuo e sono arrivato a comporre sino a duecento poesie in due giorni e dodici brani in tre ore. Quando ho iniziato a prendere in mano la telecamera ho cercato di portare lo stesso slancio creativo nel cinema anche se è diverso e più difficile. Giravo tantissimo, qualsiasi cosa della mia vita, facevo un cortometraggio al giorno per capire questa forma espressiva. Dal 1999 ho cominciato a realizzare lungometraggi, prima uno di media all’anno poi dal 2005 almeno tre. Come una palla di neve che rotolando, andando avanti, diventa sempre più grande. A secondo di come è concepito si può fare un film in un giorno o mese. Secondo me, comunque, un essere umano ne può girare quarantotto in un anno (ride).

Quanto ci ha messo a girare i due film presentati in questa edizione dell’Across Asia Film Festival?
Balangiga nove giorni e mezzo. Tutto in esterno, è stato più difficile per le condizioni meteorologiche: molto caldo, ma anche tanta pioggia. Bamboo Dogs quattro giorni. Qua le difficoltà riguardavano le condizioni filmiche, girare sempre di notte e spesso in uno spazio ristretto perché in gran parte si svolge dentro un furgone. Ci ha inoltre portato via diverse ore il piano sequenza iniziale perché non è stato facile da orchestrare senza errori.

Sorprendente, sono tempi di riprese che fanno pensare a corti e non a lungometraggi così ben strutturati. In Balangiga tra l’altro ha dovuto dirigere un bambino di otto anni, il protagonista, e uno di due. Come lavora con interpreti così piccoli?
Bisogna essere creativi, entrare nella testa del bambino perché non puoi dargli una sceneggiatura dove viene spiegato il film come a un attore adulto, far sembrare un gioco il lavoro sul set. Devo dire che è stato più facile con il piccolo di due anni, agendo a un livello primario.

Anche le musiche dei film portano la sua firma. Compone prima o dopo sulle immagini girate?
Dipende. In alcuni casi prima e in altri dopo. In questi due lungometraggi ci sono canzoni che fanno parte del film ed era normale fossero composte prima. Però l’arrangiamento di Balangiga è stato registrato dopo.

Ma la sua passione per il cinema come nasce?
Guardando molti film sin da quando ero bambino. Andavo spesso al cinema con la famiglia. Ricordo sempre Fuga per la vittoria di John Huston, con Sylvester Stallone e Pelé. E poi vedevo tanti film filippini trasmessi in televisione o con le videocassette.

Negli ultimi anni abbiamo imparato a conoscere un po’ di più il cinema filippino con i film di Lav Diaz, Brillante Mendoza e anche i suoi che si sono affermati nei grandi festival internazionali. Del passato però oltre a Lino Brocka non sappiamo molto.
Lui è uno dei nostri punti di riferimento. Il suo Manila in the Claws of Light è considerato uno dei più film più importanti di sempre nelle Filippine. L’ho citato espressamente quando ho realizzato Manila in the Fangs of Darkness.

Un altro maestro del cinema è il tedesco Alexander Kluge con il quale ha recentemente collaborato per Happy Lamento.
Ha visto il mio film Alipato e mi ha cercato per usare delle scene in questo suo lavoro. È nata così una collaborazione e il prossimo anno faremo un nuovo film insieme.

Non è la prima collaborazione internazionale. Per Ruined Heart, uno dei suoi film più noti, ha avuto come direttore della fotografia il grande Christopher Doyle.
L’idea di mettere insieme me e Christopher Doyle è venuta dal co-produttore Stephan Holl. Ci siamo incontrati a Hong Kong e gli è piaciuto il progetto di girare nelle Filippine.

Khavn De La Cruz con Maria Paola Zedda, Stefano Galanti e il regista thailandese Thunska Pansittivorakul

 

Fabio Canessa

Viaggio continuamente nel tempo e nello spazio per placare un'irresistibile sete di film.  Con la voglia di raccontare qualche tappa di questo dolce naufragar nel mare della settima arte.

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