Diario dal festival: settimo giorno
- Scritto da Jlenia Currò
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E il settimo giorno si riposò. Lo shabbat è arrivato anche tra i proiettori e le luci glamour dell’Auditorium di Roma. La sezione che concorre per il Marc’Aurelio d’Oro alterna la piacevolezza del ‘figlio del padrino’ alla noia franco-ucraina da diserzione. Tra i corridoi più o meno celebri non succede quasi niente e l’assenza di Bill Murray non fa che confermare le promesse finora più mancate che mantenute.
IN SALA
Sveglia, navetta e Roman Coppola. Non tutti i giorni sono uguali quando si condiscono con un festival. Il ciak d’inizio lo dà uno dei figli d’autore. Con il suo film in concorso A Glimpse Inside the Mind of Charles Swan III, il regista fa respirare una ventata di qualità. La storia racconta delle vicende sentimentali di Charles Swan (Charlie Sheen) che conduce una vita apparentemente perfetta. Come ogni equilibrio che si rispetti, viene sconvolto quando la sua Ivana (Katheryn Winnick) lo lascia improvvisamente. La reazione del protagonista è ben lontana dalla rassegnazione, forse prossima ad una visione stereotipata più comune al gentil sesso. A guardarsi intorno pare che siano le femminucce ad avere la ‘telefonata facile’, contrariamente ai maschiacci che tengono la mente impegnata in abusi di consolle ludiche. Coppola, invece, restituisce un personaggio fuori dai canoni e difficilmente banale. Applausi sulla scena finale.
A riportare nel mondo reale della mediocrità è il film francese in concorso Un enfant de toi di Jacques Doillon. Un estenuante flusso di coscienza di Aya (Lou Doillon), costantemente afflitta da un dubbio che non tiene mai per sé, ed eternamente indecisa tra il suo ex, Louise (Samuel Benechetrit) con cui ha avuto una figlia, Lina (Olga Milshtein), di sette anni e il suo attuale compagno Victor (Malik Zidi). L’unica perla è la piccola attrice, la sola a cui sia stato distribuito buon senso, non soltanto nella trama ma anche nell’interpretazione.
In serata, l’ultimo film in concorso è di Kira Muratova. Eterno ritorno: provini, dice tutto di sé nel suo titolo. Anche qui un lui, una lei e un’ex. La regista ucraina ha elaborato un lavoro che, in effetti, non ha al centro le questioni di cuore ma il legame tra la performance degli attori e il senso stesso della sceneggiatura. Un elaborato sperimentale che, tuttavia, tedia un pubblico che arranca ad arrivare fino alla fine.
NEL FOYER
Ci si continua a chiedere perché siano stati annunciati ospiti mai arrivati. Ancora figuracce sul tappeto rosso vuoto, troppo vuoto, più dei portafogli del pubblico pagante 30 euro per una proiezione. AAA Bill Murray. L’attore avrebbe dovuto sfilare tra i reperti di Cinecittà, ma è rimasto nel divano di casa sua. Buon per lui, peggio per chi lo aspettava con tanto di macchina fotografica. Le menzogne continuano.
Nel red carpet poco frequentato, ieri, si ha notizia di un unico nome importante, Roman Coppola, di cui, comunque, il pubblico non conosceva la fisionomia ed è stato attirato piuttosto dalla protagonista del suo A Glimpse Inside the Mind of Charles Swan III. Molto più bella dal vivo che sullo schermo, dimostra la sua provenienza geografica dai lineamenti del viso e di un corpo prorompente (diversamente da Lou Doillon, sotto i riflettori durante il pomeriggio).
Collage del giorno
Chi l’ha detto che la pateticità delle pene d’amore debba essere riservata soltanto alle Bridget Jones di turno? Charlie Sheen nei panni di Swan III dimostra che anche gli uomini corrono il rischio di tenere comportamenti che, una volta superata la delusione, faranno soltanto sorridere di una sottile vergogna di fronte allo specchio. Restano, comunque, meno banali le peripezie da cuore infranto per mano di una sola persona rispetto ai flussi di coscienza da radical chic che provano un soft menage a trois. Il risultato è l’ostentazione di una strafottenza di cui sono sprovvisti. Meglio la sincerità di una delusione che l’ipocrisia di un ‘vorrei ma non posso’. La stessa dell’organizzazione che proclama Hollywood e propina Lonelyhood.
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