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La storia di un film leggendario: Il mucchio selvaggio

Fisicamente è un libro impegnativo: 446 pagine che raccontano di un solo film possono apparire tante. Oltre alle caratteristiche fisiche, oltre alle pagine, oltre alle parole c'è il mito e il potere innovatore de Il mucchio selvaggio che questo libro illustra e sostiene

È un film epico, rivoluzionario, che ha conquistato e conquista ancora oggi chiunque lo guardi; è forse il capolavoro di Sam Peckinpah, regista maledetto di Hollywood, che ha creduto in questo progetto sin dal primo momento in cui gli si è accostato alla mente. Si tratta de Il mucchio selvaggio di cui W.K. Stratton ne il libro Il mucchio selvaggio. Sam Peckinpah, una rivoluzione a Hollywood e la storia di un film leggendario, edito da Jimenez (18€, prima edizione settembre 2019, 446 pagine, traduzione di Claudio Mapelli) ne ripercorre la storia, per arrivare al mito.

Un film volutamente violento e innovatore. Il libro si compone di sei parti e inizia a pagina 10 in cui compare la foto degli attori protagonisti del film a cui fa seguito nella pagina affianco l'elenco dei personaggi e interpreti, come a sottolineare che Il mucchio selvaggio è soprattutto un film di uomini, di attori, delle loro storie e dei loro personaggi. Prima di giungere a loro, però, il libro parla di Sam Peckinpah e della sua idea, come si legge nelle prefazione a pagina 13: "Peckinpah stava girando un film che avrebbe mostrato la violenza insita nell'animo umano a un livello mai raggiunto in precedenza da nessuna altra opera cinematografica, trattando nel contempo diversi altri argomenti di estrema importanza". Questo, quindi, è il focus di analisi del libro. Nell'introduzione, infatti, l'autore prosegue, affermando che Il mucchio selvaggio parlava di uomini fuori dal loro tempo, dei catastrofici effetti della tecnologia sull'animo umano, di lealtà, onore e disonore, oltre ad affrontare il tema del cambiamento. Ha, inoltre, rinnovato i cliché dei film western che resistevano da sempre, rendendoli nuovi e interessanti. Le sei parti di cui si compone il libro, dunque, affrontano la costruzione della leggenda. La prima tratta la nascita dell'idea; la seconda si concentra sull'uomo e sul personaggio cinematografico di Sam Peckinpah, mentre la terza elenca la scelta del cast e il perché furono selezionati quei determinati attori. Quarta, quinta e sesta parte del libro analizzano rispettivamente la pre-produzione, la produzione e l'accoglienza e la fortuna del film, con narrazioni e aneddoti.

L'idea e gli uomini. Come detto Il mucchio selvaggio è un film di uomini e nelle sei parti in cui si organizza il libro di uomini ce ne sono tanti, ognuno con la sua storia, con la sua personalità e con il proprio contributo alla creazione di questa leggenda cinematografica. L'idea, spiega Stratton, venne al produttore Roy N. Sickner, il quale dopo un viaggio in Messico e dopo aver sentito e conosciuto le storie messicane, volle creare une pellicola che parlasse proprio di ciò. Ecco lo spunto per Il mucchio selvaggio e tra pagina 36 e 37 del libro l'autore svela le varie ipotesi sulla scelta di questo titolo che in inglese è The Wild Bunch. Prima di arrivare a Peckinpah, la bozza del film coinvolse due attori che in quegli anni, inizio anni Sessanta, godevano di grande sorte a Hollywood, Lee Marvin e Buck Holland; poi c'era bisogno di uno sceneggiatore e fu scelto Walon Green, che voleva rifondare l'immagine del cowboy, allontanandolo dall'eroismo dei western americani per conferigli maggiore umanità, e Reno Carell, un altro produttore che, a detta dell'autore, sapeva trovare i soldi. Ciò che accomunava questi uomini, secondo l'autore, era il loro carattere di liberi pensatori, che rifiutavano le costrizioni della società e cercavano la narrazione della realtà, influenzati, soprattutto i produttori, dai film di Vittorio De Sica. Leggendo, quindi, di aneddoti, scelte di vita, opportunità create e volute e non sempre materializzatesi, si comincia a costruire la struttura epica che definisce la pellicola di Peckinpah. E qui entra in scena, e nel libro, Sam. Sickner, infatti, non era del tutto soddisfatto del lavoro di scrittura di Green e decise di affidare il testo a un giovane regista prodigio che da poco era diventato un cattivo di Hollywood, Peckinpah appunto, che amava il Messico e conosceva molto bene la brutalità della Rivoluzione messicana.

Il tocco di Sam. La seconda parte del libro si focalizza sul regista del film, raccontandone la strana vita e convincendo il lettore che la leggenda del capolavoro, prende avvio dal regista. Si legge che Peckinpah è stato un regista di Hollywood nato nel West. La sua infanzia fu accompagnata dalla Bibbia, la sua adolescenza dall'alcool, fino ad arrivare ad arruolarsi nei marines e al pensiero che l'America dell'epoca fosse troppo materialista e convenzionale per lui. Studiò presso la Fresno State University in California in cui si avvicinò alla regia, per poi spostarsi in Messico, sempre per studio, e lasciarsi trasportare dallo stile di vita messicano. Poi Los Angeles, la scrittura televisiva, la sceneggiatura di un film chiamato The Glory Guys con Marlon Brando che voleva alla regia Stanley Kubrick, e infine la regia di una serie tv intitolata The Westerner, il successo con La morte cavalca a Rio Bravo e Sfida all'Alta Sierra e la débâcle con Sierra Charriba. Sullo sfondo i riferimenti artistici di Peckinpah: Akira Kurosawa, Federico Fellini, ossia registi con grinta e idee, mentre un gradino più su c'era Tennessee Williams. Sam, quindi, cominciò a lavorare alla riscrittura de Il mucchio selvaggio nella primavera del 1967 da solo, mentre al cinema uscivano i western di Sergio Leone.

Altri uomini, altre storie. Stratton è preciso nella documentazione di tutti coloro che parteciparono alla creazione del film. Si legge, quindi, che Lee Marvin abbandonò l'idea, e perciò, Phil Feldman, altro produttore e Sam scelsero William Holden come attore principale, che di mestiere faceva proprio l'assassino. Si aggiunsero, sempre nel cast, Ernest Borgnigne, Robert Ryan, Ben Johnson, autentico cowboy dell'Oklahoma, Warren Oates, Jaime Sanchez. Tutti concorrevano, nella tesi di Stratton, ad alzare l'asticella della qualità produttiva dei film western in quanto con Il mucchio selvaggio si voleva raccontare la storia del cowboy come un uomo solitario, libero dai dogmi della società. Per gli altri ruoli sul set furono chiamati professionisti che condividevano questi ideali. Per la creazione dell'immagine fu scelto uno dei migliori illustratori di Hollywood, Tyrus Wong; William D. Faralla come direttore di produzione; Edward Carrere come art director; Gordon Dawson, supervisore al guardaroba; Lucien Ballard, direttore della fotografia; il primo assistente alla regia fu Phil Rawlins. La Warner Bros., infine, che intanto aveva preso in mano il progetto, mise a bilancio per il film 3.451.420$ e le riprese iniziarono il 23 marzo 1968 a Parras, in Messico. Gli attori sotto le indicazioni di Sam, stavano diventando "il mucchio selvaggio”, e ognuno di loro nell'ottica di Peckinpah era perfetto per quel ruolo in quanto lui li forzava ad arrivare a quel personaggio, partendo da loro stessi, da quello che avevano dentro.
Nel prosieguo del libro, la narrazione, poi, si aggiunge oltre che di uomini anche di storie. Stratton racconta che Peckinpah credeva talmente tanto in questo film che rinunciò all'alcool; che consumò ottomila metri di pellicola solo nella prima settimana, girata da 131 postazioni di ripresa e che per la costruzione del ponte per la celeberrima scena la Warner Bros. mise a disposizione 8.000 dollari, ma Sam ne spese la metà e intascò la differenza. Durante le riprese, poi, ci furono alcuni episodi di discriminazione nei confronti degli attori messicani, tra cui Don Emilio Fernandez, un vero mito del cinema messicano, i quali per un periodo pranzavano distanti da quelli americani. Il libro racconta ancora di Allan Dekker, un criminale, un pedofilo e un tipo abbastanza strano; Lou Lombardo che fu scelto come montatore (la sua idea era che la pellicola lo dovesse condurre nel suo lavoro di editing) e Cliff Coleman divenne il nuovo aiuto regista. La lettura di questa corposa parte del libro travolge e ammalia sia perché lo stile narrativo di Stratton (reso egregiamente dal traduttore) è un'impalcatura perfetta di parole e suspense e sia perché le foto inframezzate al testo, esplicitano il valore epico del testo. L'ultima parte del volume racconta del montaggio fatto in Messico e durato tre mesi, della colonna sonora affidata a Jerry Fielding che doveva sostenere la storia, la recitazione, la fotografia e non sopraffarle e della fortuna del film. Nel 1969, infatti, uscirono nella sale americane C'era una volta il West, Il Grinta e qualche mese dopo Un uomo da marciapiede, Easy Rider e Butch Cassidy, mentre Il mucchio selvaggio arrivò nelle sale nel giugno del 1969, ma nonostante la fortissima concorrenza il film di Peckinpah conquistò il pubblico, tranne in Messico dove fu ignorato.

È stato davvero un film rivoluzionario e leggendario? La fortuna del film è indubbia e ancora oggi la pellicola rappresenta un punto fermo nella cinematografia. Quanto scritto da Stratton sostiene questo stato di fatto, ma di ciò se ne convince anche chi non ha mai visto il film? Come già accennato il libro è un fiume di storie, aneddoti, uomini e situazioni che si incastrano perfettamente; nonostante la divisione in capitoli e parti, chi legge, infatti, trova pochi momenti per interromperlo. Il mucchio selvaggio. Sam Peckinpah, una rivoluzione a Hollywood e la storia di un film leggendario è come un'architettura in cui ogni pezzo, ogni singolo elemento posizionato in quel determinato posto è funzionale alla sua creazione finale. Leggendo le pagine si respira l'atmosfera mitica del film, ci si appassiona alla missione di Peckinpah, alla sua determinazione e idea. Per questo la parte centrale in cui Stratton si focalizza minuziosamente su tutti gli uomini che hanno lavorato al film, è così necessaria, perché dimostra che solo quegli uomini potevano lavorare a questo progetto e farlo divenire leggenda. Le foto originali, inoltre, arricchiscono la scrittura e sostengono la tesi del libro con vigore. Chi legge, quindi, il libro, che abbia visto o no il film, ne rimane incuriosito e la citazione a pagina 428 aiuta a capire quale fu la rivoluzione insita in questa pellicola: "Il mucchio selvaggio tratta temi di grande importanza: onore, tradimento, amore, morte e agonia, la fine del West americano, rivoluzione, repressione, persone superate dai tempi, la paura di vivere nell'era della tecnologia".

Davide Parpinel

Del cinema in ogni sua forma d'espressione, in ogni riferimento, in ogni suo modo e tempo, in ogni relazione che intesse con le altri arti e con l'uomo. Di questo vi parlo, a questo voglio avvicinarci per comprendere appieno l'enorme e ancora attuale potere di fascinazione della settima arte.

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