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Thierry Frémaux racconta il Festival di Cannes (?): Cannes Confidential

Un diario del Direttore per raccontare il Festival di Cannes? Bell'idea! Peccato che la passione, gli aneddoti, il cinema finiscano in secondo piano a favore di un lungo e senza mordente racconto della vita di Thierry Frémaux, il 'gestore' di Cannes, più che il suo creatore

Che cosa significa essere il direttore di un festival cinematografico? Come si svolgono il suo lavoro e la sua vita? Se si pensa ai mestieri attorno al cinema, il riferimento più immediato è all'attore, poi a come si diventa regista, chi è il produttore e che parte assume nella creazione di un prodotto cinematografico. In pochi conoscono il mestiere del direttore di un festival e come si arriva ad esserlo. Apparentemente questa mansione non rientra nella categoria "lavori affascinanti", ma più nella sfera del controllo, delle decisioni e della diplomazia. Thierry Frémaux dal 2011 è il Delegato Generale del Festival di Cannes, ossia colui il quale prende tutte le decisioni più importanti al fine di organizzare di anno in anno questa kermesse di cinema.
Lui stesso per definire il suo ruolo dice: "[Noi direttori] siamo stati creati per combattere il conformismo benpensante, il conservatorismo e la vana ossessione della modernità". Questa citazione è riportata nella prefazione all'edizione italiana del libro Cannes Confidential (Donzelli editore, 2018, 30€, traduzione di Daniela De Lorenzo, 535 pagine). Sotto forma di diario Frémaux racconta la sua vita in qualità di direttore del Festival di Cannes, e del Festival Lumière, dal 25 maggio 2015 al 22 maggio 2016, ossia dal giorno dopo la chiusura del 68° Festival di Cannes all'ultimo giorno dell'edizione 69. All'idea di puro amministratore Frémaux, quindi, conferisce al ruolo di direttore una sfumatura più intellettuale, concettuale, quasi eroica di una persona che propone innovativi e sempre nuovi modi di pensare e di vedere. La domanda è: ciò si evince dal racconto del suo diario?

Se si tratta di Cannes, decisamente no. La vita di Frémaux, stando alla lettura di Cannes Confidential, è abbastanza ordinaria. Il Direttore vive tra Parigi e Lione, tifa Olympique Marsiglia, segue il Tour de France, mangia poco, dorme ancora meno e pare abbia una famiglia che nella scrittura del diario è citata relativamente (ogni tanto si accenna a un figlio). Ha due grandi passioni: il Festival di Cannes (o come si chiama ufficialmente "Associazione francese del Festival Internazionale del Film") e il Festival Lumière di cui è il direttore artistico - il presidente è Bertrand Tavernier. Quest'ultima è una rassegna di cinema organizzata ogni anno a ottobre e incentrata sulla storia del cinema: consiste nel premiare e invitare a discutere di cinema un regista-autore. L'anno della scrittura del diario l'ospite è stato Martin Scorsese.
Tornando a Cannes Confidential ogni aspetto, ogni incontro, ogni pensiero, ogni decisione, ogni giro in bici di Frémaux è virato al Festival della Croisette, non, però, in relazione a un pensiero crescente passionale e positivo, ma in riferimento a una vera e propria ossessione che si articola in due fasi distinte dell'anno: ripensare all'edizione appena conclusa e organizzare quella successiva (a tal proposito è interessante leggere che dal 1° giugno al 1° novembre Cannes richiede il minimo sforzo. La selezione, infatti, è compiuta a partire da febbraio a Parigi). In questo lasso di tempo i pensieri di Frémaux si focalizzano quasi esclusivamente su come la stampa parla della kermesse, sulle critiche ai film, sulla presenza femminile in giuria e nella Selezione Ufficiale, su quali attori e registi saliranno la scalinata del Palais des Festivals, su quanti film francesi selezionare e sui problemi di formazione del calendario proiezioni tenendo in considerazioni le esigenze, i capricci e le scaramanzie di registi e produttori. Leggendo il diario, quindi, il Festival di Cannes è percepito come una 'collezione di figurine' di cui Frémaux si fregia di pagina in pagina. Al netto della qualità effettiva proposta dalle 'figurine', nei racconti del Direttore non sono infatti proposti i temi dei film, le loro storie, gli intrecci e gli inneschi di pensiero che possono portare in chi guarda o anche un giudizio articolato sulla bravura di un regista (che comunque potrebbe essere utile per giustificare la sua presenza nella Selezione Ufficiale). L'organizzazione di Cannes, quindi, stando alle sue parole, non ha molto di lotta al conformismo, di voglia di modernità e davvero poca ricerca di nuove visioni. Ad esempio Il figlio di Saul di Laszlo Nemes è stata realmente una meteora nella selezione, arrivata quasi per caso, una vera novità all'interno dei soliti nomi noti. È quindi corretto che il direttore definisca Cannes il più importante festival del mondo e che tale (azzardata) definizione sia riportata anche nel sottotitolo del libro? Proporre in dieci giorni alcuni grandi nomi del cinema internazionale è necessario per arrivare a questa definizione? E inoltre: il ruolo innovativo del direttore del festival dove trova compimento?

È solo una questione di (mancata) passione. Che Frémaux abbia un'enorme cultura cinematografica, che sappia giudicare un film, che sappia scovare nuove visioni nel cinema non si può mettere in dubbio. Allora perché se possiede questo talento, non lo riversa nella pagine del diario? Il profilo del Direttore che emerge da Cannes Confidential è di un amministratore che pensa 24 ore al giorno alla sua creatura (o creature considerando anche il Festival Lumière) in cui il cinema è solo la cornice, non la sostanza. Citare SMS o E-mail di produttori e registi che chiedono di presentare i loro film a Cannes, scrivere di viaggi intorno al mondo per partecipare a festival o incontri sul cinema, raccontare di trasferte in giornata a New York per vedere Scorsese e il semi lavorato di Silence, non inquadrano la figura di un amante di cinema, ma solo di un controllore che veglia e sorveglia. Cannes Confidential manca, infatti, di passione. Nei racconti di Frémaux non si avverte il sentimento, il cuore, la voglia di crederci, i pensieri personali; non si scopre l'uomo all'interno di una perenne concentrazione per il proprio progetto. Il suo narrare è poco avvincente, superficiale, costellato di pleonastiche citazione di film, di letteratura, di aneddoti poco incisivi riconducibili a una persona che ha solo voglia di vantarsi della sua vita frenetica, lastricato di sufficienza e arroganza (oltre che di ossessioni e paranoie). Che Emir Kusturica ci rimanga male perché On the Milky Road - Sulla Via Lattea non è stato aggiunto alla Selezione di Cannes o l'indecisione di Jodie Foster nel portare Money Monster - L'altra faccia del denaro sulla Croisette o i dubbi di Woody Allen per l'apertura dell'edizione 2016 con Café Society, sono tutte storielle interessanti, ma non si avverte dalle parole del Direttore il suo pensiero, le sue battaglie, quali armi ha utilizzato per portare avanti un'idea (di cinema). A Frémaux pare interessi solo quanti film made in USA arrivino a Cannes e cercare di non lasciare nessun apparentemente grosso nome alla Mostra del Cinema o alla Berlinale (il riferimento nel libro è a Il segreto di Vera Drake di Mike Leigh escluso da Cannes e vincitore alla Mostra e ad Ave Cesare! che i fratelli Coen hanno preferito portare a Berlino nel 2016). Altra questione. Nelle pagine del libro si legge che a un certo punto la Pathé, casa di distribuzione e produzione francese, ha proposto a Frémaux un prestigioso ruolo nel suo organigramma incompatibile con la direzione di Cannes. Nonostante il suo amore per il Festival, non è dato sapere perché lui abbia deciso di restare sulla Croisette, il sentimento che lo ha convinto a declinare l'offerta. Ogni tanto nel diario è riportato qualche pensiero sulla questione, più nell'ottica di "ah certo devo anche raccontare dell'offerta di Pathé".

Il mestiere del direttore di un festival è il ruolo meno coinvolgente nel cinema. Questo sembra essere l'assunto al termine della lettura del diario. La nascita di tale pensiero non sta tanto nella persona di Frémaux che è lecito credere abbia una vita molto più affascinate di quella descritta, ma nello scopo del libro. Qual è il presupposto per cui possa risultare interessante pubblicare un diario del direttore del Festival di Cannes? Eppure il direttore di un festival sta a contatto con il mondo del cinema, lo vede crescere e formarsi, ne conosce genesi e compimento, ma tutto questo non si legge in Cannes Confidential. Per questo, quindi, il diario di Frémaux o è molto furbo (ha raccontato solo ciò che voleva, senza svelare i veri retroscena) oppure c'è stata una scelta editoriale precisa a partire dall'editore francese, Èditions Grasset & Fasquelle. Non si spiegherebbe altrimenti una cronaca di fatti intrisa di autoreferzialità per cui anche i giorni di svolgimento del Festival, sicuramente frenetici e stressanti, scivolano via senza imprimere nella mente di chi legge nessuna reazione. A questo punto sarebbe stato meglio concentrare il diario sui mesi antecedenti a maggio, a partire da gennaio, con un focus sulla visione dei film da selezionare e non tanto sui compromessi da stringere per portare un film a Cannes. In questo modo avrebbe avuto un po' più di valore il sottotitolo all'edizione italiana "Il direttore del festival più importante al mondo racconta i dietro le quinte" in cui il dietro le quinte poteva essere davvero il cinema. La frase di Frémaux riportata nella prefazione italiana, infine, avrebbe così di gran lunga trovato maggiore conferme nel testo e il lettore sarrebbe giunto al termine con qualche pensiero e stimolo sul cinema in più.

Ultima annotazione. A pagina 395 di Cannes Confidential si legge in merito a The Hurt Locker di Kathryn Bigelow: "Il film non era ancora nella sua versione definitiva, eravamo agli sgoccioli, sfiniti e ce lo lasciammo scappare. Cosicché andò a Venezia, dove vinse, e sei mesi dopo prese l'Oscar come miglior film, battendo Avatar". Che The Hurt Locker abbia battuto Avatar agli Oscar è vero, ma che abbia vinto la Mostra del 2008 non è del tutto corretto. Il Leone d'oro quell'anno fu assegnato a The Wrestler di Darren Aronofsky. A pagina 74, inoltre, si legge a riguardo di Kusturica: "Considerato, due decenni fa, come il giovane genio del cinema mondiale e il degno erede di quei registi che incarnano la storia e l'immagine del paese [...] due volte Palma d'oro a Cannes, Leone d'oro a Venezia per il suo primo film... ". Se non ci sbagliamo il palmares di Kusturica a Venezia è: Leone d'argento per Gatto nero, gatto bianco del 1998, Premio Fripresci e Premio Opera Prima per Ti ricordi di Dolly Bell?, 1981. Sfugge il Leone d'oro.

Davide Parpinel

Del cinema in ogni sua forma d'espressione, in ogni riferimento, in ogni suo modo e tempo, in ogni relazione che intesse con le altri arti e con l'uomo. Di questo vi parlo, a questo voglio avvicinarci per comprendere appieno l'enorme e ancora attuale potere di fascinazione della settima arte.

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