Take Shelter
- Scritto da Luisa Seccamani
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L'Ohio di Take Shelter ha cieli tanto bassi che ti ci potresti nascondere dentro se solo non facessero così paura, gonfi come sono di nubi dal profilo mannaro, che pisciano materia oleosa anziché pioggia, e mossi da stormi di uccellacci neri dalle traiettorie di volo schizzate al pari degli esuli pensieri del protagonista. Se si getta l’occhio un po’ più in là, dove cielo e terra si congiungono, lo scenario non muta. L'orizzonte è rapace. Famelici tornado killer volteggiano su se stessi in cerca di prede e un'incombente, più generica, minaccia oscura schiaccia a mo’ di coperchio la normale routine di esistenze tranquille. In questo paesaggio poco idilliaco, ma fascinoso per gli animi assetati d'apocalisse, si muove Curtis LaForche, un buon padre di famiglia, con moglie, figlia, lavoro e problemi di vita quotidiana a carico, che, alle prime avvisaglie di temporale, diviene dapprima un po' paranoico – e come dargli torto? – poi, complice una crescente spirale di incubi anche ad occhi aperti, vieppù delirante, sebbene conscio della follia incipiente (ci viene detto subito che sua madre è schizofrenica); la coscienza del proprio stato, tuttavia, non gli impedisce di costruire in giardino, solo contro tutto e tutti, un rifugio anti-tornado dotato dei soliti gadget da sopravvivenza, dalle maschere antigas allo scatolame.
Nulla è nuovo in questa pellicola a metà strada tra schizofrenia e premonizione, ma quello che c’è funziona, ovvero l'atmosfera cupa perennemente addosso (al protagonista, alla storia, a chi guarda), il senso di minaccia imminente, la paura, prettamente yankee, di perdere la stabilità della propria esistenza, che poi è fatta di pochi affetti e piccole cose conquistate a fatica; funzionano gli attori, su tutti Michael Shannon, a suo agio nel ruolo del matto che sa di essere matto (ma se lo si vuole vedere tocco al top, bisognerebbe riguardare o recuperare il disperato e rifrangente Bug di William Friedkin). Funziona soprattutto il gioco dentro/fuori del regista, Jeff Nichols, grazie al quale l'innominato male oscuro, indefinito e vago ma reale in quanto presenza, riesce a impadronirsi di tutti gli orizzonti della storia, sicché tuona, tempesta e saetta su qualsivoglia livello della trama.
Eppoi c’è la pioggia. Infine scende la pioggia, ed è densa, giallastra e oleosa. Materica. Prima dei titoli di coda non poteva che piovere... sulla favola bella che ieri illuse, che oggi illude – e ossessiona – l’America: la sicurezza.
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