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Dead Man Down - Il sapore della vendetta

Un thriller nel quale azione e suspense si mescolano ad un ritmo più dilatato e riflessivo, a metà strada tra America ed Europa, per un film che convince poco

Dopo aver diretto con successo il primo capitolo della trilogia letteraria Millennium (Uomini che odiano le donne, 2009) del compianto scrittore svedese Stieg Larsson, il regista danese Niels Arden Oplev torna dietro la macchina da presa con una produzione completamente made in USA, facendosi accompagnare in questa avventura dalla musa ispiratrice, nonché eroina moderna del film sopracitato, Noomi Rapace.
Dead Man Down - Il sapore della vendetta è, se vogliamo ridurre il tutto ad una 'banale' codificazione di genere, un film che si colloca a pieno titolo nel filone action più puro, dove essenzialmente hanno la meglio le sequenze di calci e pugni, nonché di incredibili esplosioni e rocambolesche sparatorie, il tutto per il bene dell’intrattenimento. Questa definizione però non rende pienamente giustizia al lavoro fatto da Oplev, perché nonostante la produzione evidentemente statunitense, della quale l’interprete protagonista Colin Farrell ne è l’autorevole portavoce, il film ha un respiro profondamente europeo (la presenza nel cast, oltre che della Rapace, di un’attrice 'comunitaria' come Isabelle Huppert avvalla ulteriormente la tesi) fatto di un gusto, forse un po’ retrò, di concepire una pellicola nella quale si mescola l’azione con il dramma sentimentale.
Victor è il braccio destro del boss della malavita newyorkese, Alphonse, il quale sta affrontando la decimazione della sua gang ad opera di un killer sconosciuto. La vicina di casa di Victor è Béatrice, una giovane ragazza francese che vive con la madre, con il volto sfigurato a causa di un incidente stradale, il cui responsabile è rimasto impunito. Le loro vite si incontrano nel momento in cui Béatrice fotografa Victor nell’atto di un uccidere un uomo nel suo appartamento e comincia a  ricattarlo affinché possa vendicarla con l’uomo che l'ha danneggiata. La vendetta come unica ossessione che si scoprirà, nel corso del film, essere il comune denominatore della vita di entrambi i protagonisti.

Dal punto di vista narrativo quello che manca a questo revenge-movie è sostanzialmente una sceneggiatura che sia in grado di reggere il peso dell’intreccio, anche nelle insidiose intercapedini del thriller che, se non accuratamente sviluppato, rischia di perdersi al primo intoppo. Il tentativo di europeizzare un genere così profondamente radicato rischia di confondere lo spettatore più incallito che rivendica le scene d’azione fine a se stesse, e altresì destabilizza chi si aspetterebbe un prodotto più raffinato nel nome di quella tradizione europea che il regista vorrebbe rappresentare, e nel cui tentativo si perde clamorosamente.

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