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Kubrick by Kubrick - Recensione (Biografilm Festival 2020)

Kubrick racconta Kubrick. Un nuovo sguardo sulla filmografia del grande cineasta attraverso le parole dello stesso regista recuperate dalle preziose registrazioni audio di rare interviste che il critico Michel Ciment ha messo a disposizione del documentarista Gregory Monro

La voce gentile e l’atteggiamento rilassato nelle risposte, stonano piacevolmente con la fama da burbero che circonda la sua figura. Vera o presunta che sia, Stanley Kubrick è sempre stato descritto come riservato e schivo. Certo non amava rilasciare interviste, soprattutto dare spiegazioni alle inevitabili domande sui suoi film. Per questo assume particolare importanza il materiale audio che il critico cinematografico Michel Ciment (esperto del regista con il quale ha avuto un rapporto privilegiato) ha messo a disposizione di Gregory Monro per Kubrick by Kubrick. Registrazioni di interviste, realizzate nel corso di oltre vent’anni, che costituiscono l’ossatura di questo documentario sul grande cineasta. Non il primo, e forse nemmeno il più originale, ma prezioso per come getta un nuovo sguardo sulla sua filmografia (mentre viene sostanzialmente tralasciato il lato privato) attraverso le parole dello stesso Kubrick. Ascoltare la sua voce è come sentire quella di una divinità per i tantissimi appassionati del regista, forse il più venerato della storia del cinema. Grazie agli straordinari film che ha diretto, ricordati nel documentario attraverso testimonianze e delle clip. Dal primissimo lavoro, il corto documentario Day of the Fight all’opera testamento Eyes Wide Shut, terminata poco prima di morire. Da segnalare, però, che restano fuori da questo viaggio nel suo cinema i lungometraggi Il bacio dell’assassino, Rapina a mano armata e Lolita. Alle brevi sequenze dei film e alle parole di Kubrick prese dalle registrazioni audio, accompagnate da un tappeto di immagini fatto di foto e fotogrammi, si alternano interviste d’archivio con critici, collaboratori e soprattutto attori che hanno avuto il privilegio di essere diretti dal maestro americano naturalizzato britannico. A fare da curioso e ispirato mastice, come intermezzo che funge da spazio di riflessione, le immagini della mitica stanza neoclassica e futurista di 2001: Odissea nello spazio che è stata ricostruita per l’occasione (evidentemente in miniatura) e arricchita di oggetti di scena iconici degli altri lavori di Kubrick. Tra i film che trovano maggiore spazio nel racconto c’è Full Metal Jacket, con il Vietnam ricostruito vicino alla sua casa a Londra. Magia del cinema, inganno che diventa realtà. Tutto studiato maniacalmente dal regista, su tanto materiale di documentazione. Così come per Barry Lyndon dove le fonti, per i costumi e le scenografie, sono dipinti dell’epoca in cui si svolge la storia: il XVIII secolo. L’arte della composizione, con l’attenzione alla inquadratura e alla luce (che deriva anche dalla sua formazione fotografica ricordata brevemente nel documentario) portata al massimo livello. Tanto da sconcertare i suoi DoP come Russell Metty per Spartacus. L’ossessione del controllo e la ricerca della perfezione, motivo a volte di frustrazione per i suoi collaboratori (il compositore Leonard Rosenman racconta di aver preso per il collo Kubrick che chiese a lui e alla sua orchestra oltre cento riprese di un brano musicale per Barry Lyndon) e anche interpreti. Shelley Duvall, ricordando il set di Shining, e soprattutto Sterling Hayden, parlando delle riprese per Il dottor Stranamore, si soffermano sulle numerose richieste del regista di ripetere le scene. Eppure la preparazione maniacale e la volontà del controllo totale, non tolgono spazio allo sfruttamento delle opportunità che arrivano improvvise sul set. All’estro degli stessi attori. Malcolm McDowell ricorda la sua idea di ballare e cantare Singin’in the Rain durante la sequenza dello stupro di Arancia meccanica, mentre Peter Sellers l’intuizione del braccio che scatta per il saluto nazista in Il dottor Stranamore. Lo stesso regista parlando di 2001: Odissea nello spazio sottolinea come l’idea di Hal 9000 che legge il labiale degli astronauti sia nata soltanto durante le riprese. Alcune delle curiosità, più o meno note, raccontate nel documentario. Con un Kubrick che appare modesto, sincero, ma anche abbastanza abbottonato nelle risposte.

Per i cinefili un documentario che se non aggiunge molto a quanto conosciuto, rappresenta comunque un piacevole ripasso dei lavori di Kubrick e un nuovo stimolo a rivedere i suoi film. Per chi ha ancora non ha approfondito il suo cinema, un invito al viaggio nell’opera di un maestro della settima arte.




Il nostro giudizio: Il nostro giudizio è 3

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Fabio Canessa

Viaggio continuamente nel tempo e nello spazio per placare un'irresistibile sete di film.  Con la voglia di raccontare qualche tappa di questo dolce naufragar nel mare della settima arte.

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