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Colophon e Linger on some pale blue dot - Recensione

Terzo capitolo sul cinema georgiano contemporaneo. L’attenzione si sposta su Aleksandre Koberidze e la sua ricerca di forma e concetto per capire la vita. Si parte con due cortometraggi, Colophon e Linger on some pale blue dot

La traccia analitica sul cinema della Georgia di oggi iniziato con l’indagatrice filmografia di Salomé Jashi si muove ora verso l’universo visivo di Aleksandre Koberidze. Il giovane regista georgiano, classe 1984, originario di Tbilisi, ha realizzato quattro cortometraggi, due corti documentaristici e due lungometraggi ricevendo il plauso di pubblico e critica. Koberidze ha caratterizzato la sua cinematografia per uno sguardo diretto sul mondo, sullo stato attuale, utilizzando anche metafore o allegorie. Questa visione, nella maggior parte della sua produzione, si focalizza sui giovani, sul loro operato nella contemporaneità (reputato dal regista migliore rispetto a quello adulto), sulle loro emozioni più intime, private e per questo, nonostante spesso le storie dei suoi film si ammantino di pessimismo, si risolvono sempre in bene, con una speranza. C’è poco di convenzionale, quindi, nelle storie del regista georgiano, soprattutto in quelle d’amore. Prima di arrivare ai lungometraggi, vogliamo scoprire Koberidze attraverso due cortometraggi, Colophon (2015), secondo corto diretto, e Linger on some pale blue dot (2019), primo corto documentaristico.

Colophon ossia che forma hanno le lacrime? Un ragazzo governa un’imbarcazione sul fiume. Un giorno vede seduta lungo la sponda una ragazza che sta piangendo. Le sue lacrime hanno una particolarità, ossia sono a forma di triangoli e ogni giorno ne piange di forma diversa. Lo stupore avvolge il ragazzo che fa salire sull’imbarcazione la giovane per iniziare un viaggio insieme di comprensione di ricerca. Il colophon cos’è? È quella parte di un libro che propone i nomi di coloro che hanno realizzato l’opera e le informazioni tecniche. Ecco, Colophon di Koberidze è una mappa, una traccia, una cartina di tornasole in forma di favola per comprendere come un rapporto umano, creato quasi dal caso, sia in grado di migliorarne la vita dei suoi componenti. I due ragazzi, infatti, si scoprono o meglio il ragazzo ammira la ragazza, impara a conoscerne le lacrime, si avvicina a lei senza però rivolgersi direttamente perché il film è interamente muto. Suona la chitarra, le mostra la vastità del cielo, si prende cura di lei, fino a quando si scopre che il 13 agosto 2013 è successo qualcosa di drammatico nella vita della protagonista che le provoca probabilmente il pianto mutevole. Questo avvicinamento, questo lento aprirsi all’altro permette alla ragazza di modificare la sua anima e quindi la forma delle sue lacrime, così da innescare un cambiamento nel mondo e (forse) anche nella vita dei due giovani. La narrazione scelta da Koberidze è la favola che si manifesta in una forte e alta musica da film d’amore in stile Hollywood, padrona della scena; nella voce narrante in inglese in sottofondo; nei cartelli inserti nel montaggio che mostrano i pensieri e le azioni del protagonista, come in un film muto. A coronare questa visione la natura, rigogliosa, verde, visivamente prominente che circonda l’imbarcazione e poi il fiume. Questo procede lento nel suo corso come a dimostrare che tutto scorre, tutto si svolge, si evolve nella vita umana. I significati di questa favoletta possono essere molteplici e le chiavi sono in mano dello spettatore. Una cosa è certa: Colophon non è una storia d’amore, ma una storia di comprensione reciproca che si conclude nella speranza che qualcosa possa cambiare, perché tutto scorre, come nel fiume.

Linger on some pale blue dot ossia in un punto qualcuno lavora. Un uomo arriva al suo posto di lavoro. Si cambia le scarpe e comincia il suo lavoro quotidiano, fare il pane. Misurate le dosi, impastato, infornato e poi sfornato, l’uomo si ricambia le scarpe e torna a casa. Questo cortometraggio vicino al documentario per il modo in un Koberidze segue la vita del panettiere, è davvero un punto. La narrazione è un punto, è un singolo momento di visione, un frammento della vita lavorativa del protagonista. È puntuale il regista nel documentare tutte le fasi di lavorazione del pane, come anche le musiche che come in Colophon avvolgono la visione. L’inquadratura è soprattutto un punto. Infatti il regista georgiano sceglie di isolare la visione in un unico punto illuminato che si muove e segue i gesti e i movimenti dell’uomo, come un occhio di bue, perché il centro della sua ricerca documentaristica è il pane come elemento fondamentale dell’esistenza e il lavoro necessario alla sua creazione. In questo modo il corto appare lineare e logico nello svolgimento, ritmato dal lavoro meccanico e manuale del panettiere.
Anche Linger on some pale blue dot come Colophon è una favola, una poesia visiva di forma delineata, accurata, studiata con una cura estetica precisa alla cui base c’è un’idea. Come spiegare in che modo un uomo e una donna devono conoscersi e comprendersi? Come dare speranza a una situazione apparente irreparabile? Come puntualizzare il valore del pane? La poetica di Koberidze è tracciata. Non resta che capire come si esprime nel lungometraggio.

Video

Davide Parpinel

Del cinema in ogni sua forma d'espressione, in ogni riferimento, in ogni suo modo e tempo, in ogni relazione che intesse con le altri arti e con l'uomo. Di questo vi parlo, a questo voglio avvicinarci per comprendere appieno l'enorme e ancora attuale potere di fascinazione della settima arte.

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