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Free and Easy (Qing song jia yu kuai) - Recensione

Il riconoscimento ottenuto al recente Sundance Film Festival è il giusto premio per Free and Easy, terzo film del regista indipendente cinese Geng Jun, un racconto in forma di commedia satirica sui costumi della moderna Cina

Qualche posto remoto del nord della Cina: una città fantasma, carica di ruderi, macerie, residuati di un passato industriale tramontato, la neve che cerca faticosamente di coprire lo squallore. In questo scenario desolato un uomo con una valigetta avanza tra le case diroccate in cerca di qualcuno cui vendere le sue saponette dal profumo inebriante, talmente intenso da far stramazzare al suolo svenuto lo sventurato che le odora permettendo al losco venditore di ripulirlo di ogni cosa abbia in tasca. Ma in questo strampalato quanto squallido scenario suburbano di provincia l’uomo con la valigetta non è solo: un monaco che cerca offerte per riparare il tempio andato a fuoco vendendo amuleti, un giovane che cerca la madre scomparsa da dieci anni e che recita la Bibbia con un fervore religioso da autentico fanatico, una donna che affitta camere nella sua casa e il marito ossessionato dagli alberi che ha piantato per un programma di rimboschimento e che vengono trafugati, due poliziotti che passano il tempo a prendere medicine a caso e che verranno coinvolti dal misterioso caso dell’uomo con la valigetta; uno dei due sfrutta l’occasione per continuare ad importunare la donna che affitta le camere e c’è persino una vecchia che funge da esca per malintenzionati ai quali due energumeni compari danno una bella ripassata di botte, previo furto di tutto ovviamente.
Insomma, una schiera di personaggi che in un modo o in un altro sono tutt’altro di quello che sembrano e che si ritrovano muoversi in una comunità dove “il più pulito ha la rogna”, una minuscola umanità che si industria con l’imbroglio e che alla fine si ritroverà come in una moderna versione di Sfida all’O.K. Corral col poliziotto tutto sommato meno rognoso a fare da giudice.
Il lavoro di Geng Jun, vincitore del Premio Speciale della Giuria al recente Sundance Film Festival e ricoperto di critiche entusiastiche, è in effetti un’opera che viene da quella formidabile fucina di autori indipendenti cinesi: film piccolo, girato al risparmio con attori non professionisti, che trova nella sua curiosissima ambientazione il punto forte. All’inizio, tra carrellate su ruderi e macerie, qualcuno potrebbe persino pensare al Wang Bing prima maniera, perché di ambientazione post-industriale simile si tratta, ma ben presto la storia si incanala perfettamente sui binari di una dark comedy ricca di sarcasmo e di situazioni grottesche che è difficile anche elencare. Basti accennare alla scena in cui il fervente cristiano cerca di convincere il monaco buddhista che la sua religione è migliore, oppure la scena nel finale nei campi che sembra uscita da un film comico di Charlie Chaplin.
Dietro alla strampalata storia raccontata da Geng Jun c’è una riflessione carica di sarcasmo e di ironia sui costumi della moderna società cinese ossessionata dall’arricchimento, pronta ad intraprendere anche le strade più inverosimili pur di ottenere un vantaggio e completamente privata di qualsiasi traccia di etica morale. I personaggi di questa buffa e luminosa commedia che rasenta la tragedia, si muovono tra le quinte di un paesaggio che con il suo stato di abbandono e di reminiscenza di un passato lontano, contribuiscono in maniera solida a creare la giusta atmosfera: tutti contro tutti, il lupo e l’agnello pronti a scambiarsi i ruoli e le maschere in una descrizione della vita che si eleva a commedia amara, dove alla fine tutti scappano, qualcuno sparisce, qualcun altro cerca chi è scomparso e non c’è nessun vincitore.
Le critiche entusiastiche che Free and Easy ha ricevuto trovano la loro spiegazione proprio nella capacità del regista di saper affrontare le tematiche della Cina moderna senza affidarsi ai consolidati stilemi neorealisti o al cinema ad impronta più sociologica: Geng Jun costruisce un bel film sul nulla, su una storia esilissima nella quale sono le maschere dei protagonisti e le metafore che si portano dietro a dare l’impronta personalissima al film.
Free and Easy, pur essendo un film tutto sommato minimalista, mostra però una grande bravura del regista a costruire scene e situazioni nelle quali spesso gioca con le prospettive, con gli sguardi incrociati, con l’alternarsi di esterni ed interni, riuscendo quasi sempre a strappare un sorriso, seppur amaro.

Per il quarantenne Geng Jun - qui al suo terzo lavoro - già conosciuto in Occidente per essere già transitato in qualche festival (persino a Roma, quando ancora c’era un festival...) il riconoscimento al Sundance è il giusto premio per un autore che, grazie ad uno stile personale, sa essere originale e pungente anche nell’affrontare tematiche tutt’altro che comode e semplici.




Il nostro giudizio: Il nostro giudizio è 4

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Massimo Volpe

"Ma tu sei un critico cinematografico?" "No, io metto solo nero su bianco i miei sproloqui cinematografici, per non dimenticarli".

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