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Dying to Survive - Recensione (Far East Film Festival 2019)

Opera prima che ha sbaragliato botteghini e Festival, Dying to Survive di Wen Muye è lavoro che basa la sua forza narrativa su un connubio perfetto tra commedia e dramma nell'affrontare il tema della dispendiosità delle cure mediche per i malati neoplastici. Secondo classificato agli Audience Awards del Far East Film Festival 2019

Esordio cinematografico che rischia seriamente di passare alla storia come uno dei più folgoranti, sia dal punto di vista degli incassi che dei riconoscimenti ricevuti, Dying to Survive è l’opera prima del regista cinese Wen Muye, fortemente sostenuto dal punto di vista produttivo da Ning Hao e da Xu Zheng che della pellicola è anche l’attore protagonista.
Cosa fa di questo lavoro che punta sì sulla fama e la notorietà di Xu Zheng ma che è diretto da un esordiente assoluto, un’opera che sembra mettere d’accordo pubblico e critica?
La risposta sta nel tema trattato, di grande attualità, sebbene la storia si riferisce ad episodi realmente avvenuti e iniziati nei primi anni Duemila: l’impossibilità da parte di larghissime fette della popolazione di poter accedere a cure mediche costosissime e quindi alla condanna a morte decretata dalla povertà, argomento questo, che estrapolandone il significato in senso più lato, si pone come lo specchio di una società che ha fatto di un neocapitalismo selvaggio la propria scelta.
Ispirato, come detto ad un personaggio e a dei fatti realmente accaduti, modificando solo qualche aspetto rispetto alla realtà, la storia racconta di Cheng Yong, un piccolo negoziante che commercia con scarso successo improbabili prodotti di salute e benessere indiani. Ha una vita tutt’altro che brillante, tra una moglie assillante da cui ha divorziato e che gli vuole portare via il figlio di nove anni con il quale l’uomo non riesce a creare una empatia totale padre-figlio e un padre gravemente ammalato. Quando un giorno entra nel suo negozio un giovane uomo, Lv Shouyi, che indossa ben tre mascherine e che gli propone dietro lauto pagamento di procurargli un farmaco in India che ha gli stessi effetti di quello ufficiale utilizzato per curare la Leucemia da cui è affetto e prodotto da una azienda svizzera, con l’impegno inoltre di aiutarlo ad ampliare il giro di persone bisognose del farmaco, Cheng dapprima rifiuta sapendo quanto rischioso possa essere il mercato nero dei farmaci, ma in seguito all’aggravarsi della salute del padre che necessiterebbe per migliorare di un costoso intervento chirurgico, fa di necessità virtù ed accetta la proposta. Ben presto Cheng, con il suo modo di fare cialtrone e scanzonato, mette su un improbabile team composto da Lv stesso, da un prete cattolico che serve anche da interprete con l’India, più una ballerina da night con la giovanissima figlia malata anch’essa e un giovane teppistello anch’esso affetto da Leucemia, che ben presto coagula intorno a sé un nutrito gruppo di malati in cerca di possibili cure essendo impossibilitati ad accedere a quella ufficiale.
In tutta questa prima parte Dying to Survive (secondo classificato agli Audience Awards come miglior film del Far East Film Festival 2019) procede affidandosi quasi totalmente a toni da commedia con momenti addirittura esilaranti che ci mostrano l’ascesa di questo curioso gruppo di imprenditori allo sbaraglio che si arricchisce in brevissimo tempo. Il farmaco in effetti sembra funzionare e le autorità nonostante gli sforzi non riescono a mettere le mani sul giro, ma proprio quando gli affari sono all’apice Cheng decide di vendere il business ad un imbroglione che commercia in farmaci falsi, monetizzare lucrando sul commercio messo in piedi e lasciando nella costernazione tutti i componenti del gruppo che si vedranno privati del farmaco in quanto ben presto il nuovo gestore del giro si dimostra per quello che è.
La seconda parte del film vira rapidamente al dramma nel momento in cui Cheng, passato nel frattempo ad altre attività, si rende conto che la sua scelta ha privato tante persone di una possibile via di salvezza proprio come Lv che morirà presto: a questo punto l’anima pulita che c’è dentro Cheng viene fuori e il suo unico scopo sarà quello di rimettere in piedi il traffico, sfidando la legge e creando un conflitto di coscienza persino nelle autorità stesse.
Grande pregio del trentaquattrenne Wen Muye sta nell’aver saputo brillantemente passare dalla commedia al dramma senza scossoni, affidandosi quasi esclusivamente al talento di Xu Zheng tanto pagliaccesco nei canoni della commedia quanto straordinario in quelli drammatici, senza calcare mai la mano, senza cedere alle facili trappole emotive, ove si escluda forse un finale appena sopra le righe. Una dimostrazione insomma di grande maturità che ha stupito un po’ tutti procurando al regista una valanga di premi, su tutti il prestigiosissimo Golden Horse di Taiwan, dove ha vinto nella categoria Migliore sceneggiatura originale e Miglior regista esordiente. Inoltre la maniera con la quale ha trattato un argomento che poteva rischiare di essere fin troppo bollente, con i rischi immaginabili con la censura, dimostra una grande attenzione e serietà da parte del giovane regista che ha evitato di enfatizzare troppo sull’aspetto sociale e sulla realtà di un paese dal forte impulso capitalistico selvaggio, concentrando invece il suo racconto sulla realtà dei malati e delle loro famiglie e sulle lunghe battaglie intraprese prima di potere ottenere, come è stato solo qualche anno fa, che il farmaco fosse accessibile a tutti e a carico dello stato.

Come già accennato, Xu Zheng mostra in maniera incontestabile di che pasta sia fatto come attore: non solo un grandissimo interprete di commedie grazie al suo volto cinematografico e alla sua mimica straordinaria, ma anche un grandissimo interprete di storie drammatiche, caratteristica che ne fa di certo uno tra i più grandi attori cinesi contemporanei. Bravi in appoggio a Xu sia Tan Zhuo, la ballerina del gruppo, che Wang Chuanjun, nel ruolo di Lv, che Zhang Yu in quello del teppistello malato: un cast decisamente all’altezza sia dell’attore protagonista che della storia che presenta svariate sfaccettature.




Il nostro giudizio: Il nostro giudizio è 4

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Massimo Volpe

"Ma tu sei un critico cinematografico?" "No, io metto solo nero su bianco i miei sproloqui cinematografici, per non dimenticarli".

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