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At the Terrace - Recensione

Lavoro tra i più belli ed intelligenti del recente Far East Film Festival, At the Terrace di Kanji Yamauchi è una graffiante e sarcastica analisi della società giapponese racchiusa nel suo formalismo ossessivo

Quando si parla di 'teatro al cinema', solitamente si intende una qualche trasposizione cinematografica di un'opera teatrale che funge da ispirazione oppure di lavori scritti appositamente per il grande schermo che sono strutturati come una piece teatrale. At the Terrace è qualcosa di più ardito se vogliamo, in quanto è la versione cinematografica di una piece teatrale di grandissimo successo dello stesso regista giapponese Kenji Yamauchi, il quale non fa nulla per rendere il lavoro più consono possibile al cinema: costruisce un proscenio su una bellissima terrazza di una villa signorile, usa il tendaggio delle finestre come fossero le quinte di un teatro e si affida totalmente ai dialoghi per la costruzione della sua storia.
L'operazione - è bene dirlo subito - ottiene un risultato notevole, facendo di At the Terrace uno dei film più belli visti al Far East Film Festival 19.
Pochi personaggi che si alternano sul palcoscenico, spesso presenti tutti assieme: il padrone di casa Soejima, importante dirigente d'azienda; la procace e insinuante moglie Kazumi; Saito, un designer di successo e la bella moglie Haruko; un impiegato della Toyota di nome anch'esso Saito, dai tratti nevrosi; e Tanoura, un tipo malandato che scopriremo esser appena dimagrito di molti chili in seguito ad un intervento di gastrectomia. Nel finale si aggiungerà alla congrega il figlio dei padroni di casa, un ragazzotto che fungerà da detonatore della storia, dando il via al pirotecnico finale.
Quello che inizia come un quasi surreale racconto fatto di chiacchiere, diventa ben presto un sottilmente sarcastico resoconto su vizi e virtù dei giapponesi: dapprima i giudizi sulle candide braccia di Haruki poi, in rapida sequenza, le acide e provocatorie insinuazioni di Kazumi che mal tollera il ruolo da prima donna di Haruki stessa, le confessioni estorte sulle passioni personali, un languido ballo e confronti sempre più serrati dai quai affiora in maniera dirompente il conflitto tra le due donne, esposto con toni sempre più accesi e sempre meno improntati alla tradizionale educazione e discrezione nipponica.
Insomma ben presto tutti i personaggi, anche grazie all'immancabile ausilio dell'alcool, una grappa in questo caso, vedono cadere tutte le loro sovrastrutture comportamentali per mettere a nudo i propri vizi, i segreti tenuti nascosti, le avversioni reciproche e addirittura, attraverso un paio di autentici colpi di scena, una vera e propria vita segreta. Un finale breve e secco, ma al contempo geniale, chiude con una bella di dose di sarcasmo ed ironia nera il racconto.
Se man mano che la pellicola procede appare sempre più centrale il tema della reciproca gelosia tra le due donne, che in qualche modo incarnano due stereotipi molto cinematografici, la gatta morta carina e finta remissiva (Haruko) e la provocante e sinuosa donna matura (Kazumi), diventa chiaro che il bersaglio di Yamauchi è quella fetta della società giapponese molto incline al formalismo, alla ritualità, all'ossessiva discrezione, ma anche alla sua profonda ipocrisia. Svestiti di questi orpelli, i personaggi mostrano il loro vero volto, spesso detestabile, carico di rancore che deriva dalla repressione determinata dalla rigida etichetta che la società giapponese impone.
Il racconto, nonostante la voluta ed inevitabile staticità, procede con grande fluidità, grazie soprattutto a dialoghi eccellenti che scaturiscono in situazioni comiche ma non ridanciane e addirittura grottesche. La maschera cade lentamente dal volto dei protagonisti che, si scoprirà alla fine, sono molto meno sconosciuti tra loro di quanto possa apparire, col risultato che quello che sembrava una zuffa tra prime donne, sebbene molto formale ma pur sempre una zuffa, è solo un aspetto quasi marginale dei rivoli di segreti ed ipocrisie che si nascondono dietro le maschere stesse.

Mai come in un lavoro come questo il cast risulta decisivo e tutti gli attori offrono una prova valida. Tra tutti spiccano le prove delle due attrici: Kei Ishibashi (Kazumi), procace scollatura e occhiali da segretaria sexy, e Kami Hiraiwa (Haruko), atteggiamento finto remissivo e sensualità prorompente, sono le indiscusse mattatrici di questa opera che forse riuscirà ad essere gradita anche a coloro che sono scettici di fronte al 'teatro al cinema'.




Il nostro giudizio: Il nostro giudizio è 4

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Massimo Volpe

"Ma tu sei un critico cinematografico?" "No, io metto solo nero su bianco i miei sproloqui cinematografici, per non dimenticarli".

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