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Dynamite Fishing (Far East Film Festival 2014) - Recensione

C'è la ricerca della verità e la storia d'amore. Ci sono le morti improvvise e l'analisi di uno stato sociale corrotto. La nuova pellicola di Chito S. Rono è un equilibrato intreccio tra il documentario e il thriller, con un unico e chiaro obiettivo...

Dynamite Fishing è a tutti gli effetti una sperimentazione cinematografica. È stato pensato e diretto da un grande regista filippino, Chito S. Rono che, stimolato dalla crescente spinta del cinema indipendente del suo Paese, foriero di idee e di nuove tecniche, ha realizzato una pellicola intima e personale a metà tra il documentario e il thriller politico.
Il film racconta della 'pesca con la dinamite', ossia una pratica utilizzata durante le elezioni filippine che consiste nel marchiare con inchiostro indelebile il dito dell'elettore per evitare brogli. Questa tecnica, però, è anche utilizzata dai sostenitori dei candidati che in maniera fraudolenta elargiscono somme di denaro ai votanti per macchiarli prima delle elezioni così da impedirgli di esprimere il loro voto.
Il film si apre proprio con la spiegazione di questo meccanismo attraverso una scritta su schermo nero, precisando, così, subito l'esigenza del regista, ossia la volontà di spiegare questo particolare aspetto della vita sociale e politica della sua nazione. Successivamente la pellicola prende inizio con la storia di Lando, Jhong Hilario, e di suo padre il vecchio Ponso, Dick Israel, una sorta di 'padrino' locale che, nei giorni precedenti la votazione, insieme al figlio corrompe i suoi concittadini in favore del voto al candidato sindaco da loro sostenuto. L'uomo, però, ha un infarto e quindi consegna nelle mani del figlio la responsabilità della buona riuscita delle operazioni. Lando inizia la sua opera e comincia a intravedere l'immensa sovrastruttura di corruzione che travalica accordi verbali e limiti morali per arrivare a compromettere le scelte di vita del ragazzo e a distruggere la relazione con la bella Jen, Nikki Valdez, sostenitrice del candidato rivale.
Il carattere documentaristico del film emerge, dunque, nella gelida e distaccata regia che si accosta alla storia senza fornire giudizi o opinioni sul narrato. Rono lascia che il sistema si sviluppi e che la gente pesi le sue azioni in base alle proprie volontà. Quali sono, però, le esigenze della gente? Acquisire soldi per cercare di vivere degnamente, per sistemare la propria casa, lasciando che la solita oligarchia prenda il potere per soddisfare i propri interessi? Questi sono gli interrogativi suggeriti dal regista che trovano espressione nello sguardo perso e indeciso di Lando. Il ragazzo osserva senza trovare una logica, come la gente si venda alla migliore offerta, come i suoi stessi compagni di battaglia si lascino comprare dal denaro dei rivali e soprattutto come il vecchio Ponso incarni l'archetipo della corruzione.
È chiara, quindi, la primaria volontà del regista di ragionare sulla piaga della corruzione nelle Filippine e sulle difficoltà di vita nei villaggi, in particolare di quello d'origine di Rono, Samar, in cui è ambientato il film. Per rendere più incisiva la storia e il suo messaggio il regista, inoltre, inserisce nell'impianto documentaristico il dramma, l'ansia del thriller politico e sociale che si concentra nella volontà del giovane protagonista di capire quanto è profondo il marcio della sua società in un climax crescente di suspense. Nella seconda parte della pellicola, il commento sonoro si alza, diventa serrato e alle vicende reali si intreccia la tragica storia d'amore del protagonista con Jen, terminata con una morte misteriosa e colpi di scena nati da rivelazioni sconcertanti.

Rono, quindi, interseca documentario e thriller politico in modo tale da rendere chiara e incisiva la situazione di urgenza sociale e politica del suo paese e mostrare come questo status quo sia difficile da abbattere perché estremamente radicato.

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