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Il Distretto di Tiexi

Immagine tratta da Il Distretto di TiexiUn monumento cinematografico a un secolo, quello delle macchine, delle fabbriche, degli operai, che non c'è più, e un documentario che è probabilmente tra le operazioni cinematografiche più rivoluzionarie del secolo attuale

Questa è la storia di un giovane regista che a cavallo del 2000, quando nell'occidente dei cinefili da web 1.0 (ri)nasceva una passione sproporzionata (e fatta di mode che come tutte le mode finiscono per stroppiare e deludere i loro stessi fautori) per il cinema 'asiatico' (con il traino del successo del J-horror e dello sbarco americano del wuxia con La Tigre e il Dragone), prendeva a prestito una minicamera digitale e per due anni girava più di 300 ore di suoni e immagini dei relitti industriali e sociali dell'ex-distretto produttivo di Tiexi; ci metterà altri due anni a montarlo, e ne uscirà un documentario di più di nove ore, diviso in tre parti: Rust, Remnants, Rails.
Questa, quella raccontata nelle tre parti de Il Distretto di Tiexi, è la storia di un sistema produttivo-industriale-sociale che ha fatto il suo tempo, e soprattutto del suo crollo. A Shenyang, distretto di Tiexi, l'industria pesante cinese ha impiegato per decenni più di un milione di soli operai: fonderie, laminatoi, fabbriche di componenti, concerie, stabilimenti cartari e tessili, una ferrovia che fa il giro della città solo per rifornire le industrie, quartieri residenziali dove vivevano gli operai e le loro famiglie. Lo sguardo di Wang Bing percorre in lungo e in largo questo macro-organismo fatto di scheletri di metallo e ruggine, di esalazioni tossiche ed emissioni nocive, abitato da più di un milione di lavoratori, con famiglie al seguito, città fatta di niente se non della loro capacità produttiva: macchine di carne all'interno di macchine di metallo e fuoco, innervato della ferrovia che riforniva fino agli anni '90 le fabbriche colossali del sito: un grande mostro di ferro, uomini come microbi e binari d'acciaio come vene, il mostro del Progresso novecentesco, il carbone, il motore, il proletariato, il futurismo, il socialismo di stato, la produzione massificata, il predominio del PIL. In poche parole: l'Inferno in Terra.
Questa, quella de Il Distretto di Tiexi, è la storia di un monumento, il monumento di questo Inferno, dei suoi abitanti e delle sue braccia globalizzate, un monumento al cinema digitale, al realismo documentarista, a una Cina (a un Mondo?) che non esiste quasi più se non nelle inquadrature di un ragazzo che ha scelto di seguire gli eventi, e ha un timore reverenziale anche solo a porre le poche domande che gli sfuggono di bocca, di tanto in tanto. Cassa integrazione, fallimenti, incidenti, proteste (timide), quartieri rasi al suolo, speculazione edilizia, sciacallaggio, gente che si arrangia come può, gente che resiste, la città creata sul niente dell'industria pesante, che ritorna nel niente dei quartieri residenziali dormitorio (l'ambientazione di un altro grande film sulla sorte della civiltà post-industriale che è Winter Vacation di Li Hongqiao): una fatica lunga nove ore, estenuante, fisica e intellettuale, a cui cominci a pensare due minuti dopo finita la proiezione e non smetti per le settimane successive, zeppo com'è di spunti per riflettere sul destino individuale e collettivo di una società stupida e cieca.

Si può chiedere di più al cinema del nuovo millennio? Probabilmente, no. 

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