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Grand Budapest Hotel - Recensione

Un’avventura di situazioni e personaggi e del loro vorticoso avvicendarsi sullo schermo che lasciano il sorriso sulle labbra a lungo dopo la visione, con cui Wes Anderson continua la sua evoluzione verso una commedia sempre più pura e originaria. Ecco Grand Budapest Hotel

Un classico. Wes Anderson è un regista che, caso quasi unico nel panorama del cinema che riempie i cartelloni e non risale a decenni fa (l’unico nome ad andargli vicino è quello del francese Michel Hazanavicius, e contrariamente a quanto possa pensare lo spettatore un po’ superficiale meno per The Artist che per le precedenti parodie spionistiche degli OSS), riesce ancora ad alimentarsi a quella vena comica che fu quella del cinema classico. Il cinema classico della commedia di origine hollywoodiana, diffuso nel mondo dagli Anni ’20 in poi. Classico che a volte prede aspetti di vintage, smaccati fino al fastidioso per Anderson, ma che funziona: coinvolge, fa sorridere, e alla fine ti lascia alleggerito per un momento quando la storia sullo schermo, i suoi personaggi così simpatici nella loro (tragi)comicità, smettono di esistere. Lungo lo svolgimento della sua tutto sommato giovane carriera Wes Anderson, questo suo lato classico e comico, lo ha mostrato sin dall’inizio, a volte meno intensamente che altre, in certe storie con meno garbo che in altre, in alcuni film con meno successo che in altri (e qui spiace andare a ricordare la cocente delusione del cinepanettonesco Il treno per Darjeeling), ma c’era sempre, ben rintracciabile anche oltre la patina nostalgica e psicotragica di alcuni suoi personaggi (per chi scrive, i meno riusciti).
Grand Budapest Hotel è il vertice dell’Anderson come autore di una commedia classica, l’apoteosi della sua leggerezza, l’evoluzione cartoonesca del suo cinema statico e scenografico in un crescendo ritmico da gag di montaggio: un botta e risposta continuo tra una scena e un personaggio, un tempo e un luogo che sono sempre diversi, sempre divertenti, e divertiti. A colpire in questa storia pur banale nella sostanza è lo spirito picaresco, il gusto, il senso per l’avventura dei personaggi coinvolti, il loro vorticoso alternarsi sullo schermo in scenette brucianti.

Non era facile fare delle avventure di Mr Gustave, concierge elegante e di religiosa spiritualità lavorativa, accoppiate a quelle del suo protetto piccolo aiutante migrante Zero Moustafa, sempre e comunque ancorate al perno dell'Hotel Grand Budapest nel fittizio paese alpino di Zubrowka, mentre intorno l’Europa del novecento è in subbuglio, qualcosa che andasse al di là del discorso para-storico, della metafora politica. Wes Anderson c’è riuscito, ha attinto alle radici del cinema, e schivando le cosiddette sovrastrutture che a quelli che di cinema ci scrivono solitamente piacciono non poco, ne ha fatto semplicemente un passatempo, un film, una commedia. Una gustosa commedia, brulicante di vita e di cinema.

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