Ida - Recensione
- Scritto da Paolo Villa
- Pubblicato in Film in sala
- Stampa
- Commenta per primo!

Nella Polonia degli anni ’60, con l’allentamento (relativo) della stretta autocratica esercitata dal Partito Comunista dal secondo dopoguerra, si cominciava a respirare un’aria meno soffocante, ma i conti col passato erano tutto fuorché fatti, gli avvenimenti della seconda guerra mondiale ben poco metabolizzati. La storia che mette in scena Pawel Pawlikowski con questo suo ultimo film, Ida, rientro in patria cinematograficamente parlando dopo le avventure anglofone come My Summer of Love, è proprio qui che va a parare, a mettere le sue due protagoniste di fronte al passato di un popolo, il loro, e costringerle a farci i conti: Ida, orfana di guerra cresciuta in un convento cattolico che solo poco prima di prendere i voti viene messa al corrente dalla madre superiora delle sue origini ebraiche e incontra così sua zia Wanda, unica parente ancora in vita. Le due donne, insieme, intraprenderanno un viaggio alla ricerca del luogo dove sono stati sepolti i genitori di Ida, allontanandosi dalla città verso la campagna natale e dal presente verso un passato che avevano rimosso o mai conosciuto.
La loro storia è quella di un viaggio, dell’incontro e del rapporto tra due donne provenienti da due mondi completamente diversi se non opposti: Ida ha vissuto sempre nel convento, e poco o nulla conosce sia del mondo che della storia della sua famiglia e del suo Paese, mentre la zia ha combattuto nella resistenza anti-nazista, e nella Polonia liberata è stata giudice inflessibile di purghe verso gli oppositori al partito, guadagnandosi il soprannome di Wanda la Rossa, e ora vive una mezza età mondana e dolorosamente edonista, tra alcool e storie di una notte.
Girato in uno stupendo bianco e nero nel quadro classico del formato 4:3, con grande cura della composizione dell’immagine e del suo impatto visivo, un ritmo compassato ma mai stancante, Ida si fa ricordare soprattutto per qualcosa che va al di là del curatissimo lato tecnico; a lasciare il segno più profondo dopo la visione sono infatti le due superbe interpretazioni femminili di Agata Kulesza e dell’esordiente Agata Trzebuchowska, vivissime entrambe, nei panni della sanguigna, umanissima Wanda e dell’ingenua, quasi ieratica ma infine molto forte, Ida.
Poco importa se, tirando le somme con la pignoleria del mignolo alzato, qualcuno potrà prendersela un po’ per quella parte finale che sembra addirittura affrettata. Per una volta, fateci godere di una storia in cui s’è sottratto forse troppo piuttosto che una dove la sottrazione è concetto inesplorato, visto l’andazzo alle sbrodolate in lunghezza e larghezza di buona parte del cinema contemporaneo.
Vai alla scheda del film