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Gravity - Recensione (Venezia 70 - Fuori concorso)

Una immagine di GravityGeorge Clooney e Sandra Bullock astronauti in pericolo nell'ignoto spazio profondo per Alfonso Cuaron: fantascienza al grado zero, tutta suspense e senso di vertigine, in Gravity, film che ha aperto la 70esima Mostra del Cinema di Venezia

Era un film che doveva essere girato diversi anni fa, ma la crisi economica del 2008 e alcune difficoltà tecniche nella realizzazione ne bloccarono la messa in scena. Stiamo parlando di Gravity, ambizioso film di fantascienza tutto ambientato nel terrificante e gelido buio dello spazio, con cui il regista Alfonso Cuaron ha aperto la 70esima Mostra del Cinema di Venezia. L'attesa non è stata vana e gli sforzi per portarlo sullo schermo ci hanno regalato un'opera sicuramente riuscita sul piano spettacolare.
Interpreti protagonisti George Clooney e Sandra Bullock, che vestono i panni di due astronauti, rispettivamente il veterano Matt e l'inesperta Ryan, in missione spaziale poco lontano dalla Terra. Le cose non vanno bene per loro: devono riparare un congegno fuori dalla loro navicella, ma un imprevisto mette a repentaglio la missione. Quando all'improvviso una pioggia di detriti si abbatte su di loro con estrema violenza, Matt e Ryan si ritrovano soli, senza alcun supporto, con la navicella distrutta, a dover lottare per la propria sopravvivenza mentre vengono risucchiati nel buio e nel silenzio dello spazio, con il rischio di finire da un momento all'altro alla deriva o di restare senza ossigeno per respirare. Dovranno trovare la forza e il coraggio di raggiungere una stazione orbitante russa poco lontana dall'incidente, unico approdo per salvarsi la pelle nella terrificante distesa dello spazio. Ma una nuova ondata di meteoriti è in arrivo e potrebbe essere fatale per loro...
Gravity è quel tipo di film fantascientifico in cui quello che conta è l'intrattenimento che sa offrire entro i limiti del genere di appartenenza. Non aspettatevi una fantascienza filosofica alla 2001: Odissea nello spazio. Cuaron è bravissimo a non appesantire la narrazione con introspezioni psicologiche ardite o metafore che lasciano il tempo che trovano se non ti chiami Stanley Kubrick (peraltro citato in una scena): al contrario preferisce puntare tutto sul lato spettacolare, inanellando una sequela di scene che mozzano il fiato per l'imprevedibilità di ciò che avviene sullo schermo. Lo spettatore viene catapultato in uno spazio che poche volte è stato così minaccioso: una continua sensazione di vertigine lo accompagna lungo tutta la visione, sensazione acuita dall'uso del 3D che, una volta tanto, rappresenta un valore aggiunto. Poche volte ci siamo sentiti così partecipi delle disavventure di personaggi finiti nell'immensità dello spazio. Merito di una regia attenta che sa giocare con le profondità, le attese e il fuoricampo. E pazienza se alcune trovate narrative (vedi il dramma di Ryan, madre che ha perso la figlia per un banale incidente, il cui ricordo emerge in più di un momento) sembrano delle trappole emotive di cui non si sentiva il bisogno: ciò che conta qui è l'impatto visivo.

Gravity
è in sostanza uno dei pochi film di fantascienza prodotti di recente che sa dipingere sullo schermo un'esperienza realistica nello spazio in cui viene messa in evidenza la fragilità dell'uomo e la sua capacità di affrontare le avversità. Una lezione di regia che non abusa di effetti speciali.

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