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Jimmy P. - Recensione

Il regista francese Arnaud Desplechin presenta in concorso al Festival di Cannes Jimmy P., un film sul reintegro dei reduci di guerra che non cattura l’attenzione e con un Benicio Del Toro decisamente sottotono

Jimmy P. è il primo film in lingua inglese per il francese Arnaud Desplechin, un regista capace di rappresentare la variegata gamma dei sentimenti umani con un tocco sobrio e privo, nonostante la drammaticità delle storie che racconta, del benché minimo accenno al pietismo nei confronti dei propri personaggi. Il suo penultimo lungometraggio, Racconto di Natale, è stato presentato proprio in concorso durante il Festival di Cannes 2008, dove la protagonista Catherine Deneuve ha ricevuto un Premio Speciale.
La seconda guerra mondiale si è finalmente conclusa, ma a doverne pagare le conseguenze maggiori sono proprio i militari che vi hanno partecipato. I reduci sono degli eroi per la propria patria, ma anche dei sopravvissuti che faticano a dimenticare gli orrori ai quali hanno assistito. Uno di questi è Jimmy Picard, un nativo americano, soggetto a numerose crisi di panico, il quale viene ricoverato presso un ospedale militare di Topeka, in Kansas, all’interno del quale vi è un reparto appositamente creato per le malattie psichiatriche. La storia di Jimmy è però infinitamente più complicata e lo psicanalista che lo prende in cura, George Devereux, si rende conto che i suoi disturbi non sono classificabili in una precisa malattia, ma hanno a che vedere con qualcosa di più profondo che riguarda il suo passato. Il loro rapporto, durante la terapia, comincia a crescere sino a diventare una vera amicizia.
Il film è una storia vera, tratta dal libro scritto proprio da Devereux, un medico che, come afferma lo stesso regista, ha democratizzato la psicanalisi e nel suo lavoro nelle riserve indiane ha restituito la nobiltà a coloro che vivono in una simile condizione.
Il soggetto del film è particolarmente interessante, ma inaspettatamente Desplechin non riesce a catturare l’attenzione e a far provare empatia per il personaggio, interpretato da un Benicio Del Toro decisamente sottotono e poco convincente.

Il risultato è piatto e macchinoso, basato essenzialmente sui dialoghi fra paziente e psicanalista, privi di enfasi o intuizioni linguistiche. Nella pellicola ritroviamo l’attore feticcio di Desplechin, Mathieu Amalric, un interprete ecclettico e a proprio agio nelle vesti più variegate, ma che in questo caso soccombe rispetto al suo personaggio, a causa probabilmente di una mal direzione da parte del regista.

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