Extra cinema: speciali, interviste, approfondimenti e rubriche

Ti trovi qui:HomeCinema e dintorniExtra cinemaIntervista a Carlos Tribiño Mamby

Intervista a Carlos Tribiño Mamby

A tu per tu con il regista colombiano Carlos Tribiño Mamby, ospite in Sardegna del festival Terre di Confine dove ha presentato, in anteprima italiana, il film El silencio del rio

Asuni è un piccolo comune, meno di 350 abitanti, della provincia di Oristano. Qui è nata, nel 2005, una delle manifestazioni cinematografiche più interessanti tra quelle che si svolgono in Sardegna: Terre di Confine Film Festival (tdcf.it). Da alcuni anni la rassegna ha preso le caratteristiche di evento itinerante, coinvolgendo più comuni dell’isola. Nell’ultima edizione Oristano, Cagliari, Solarussa, Sassari e appunto Asuni (fino al 2012 si chiamava AsuniFilmFestival) per un totale, contando le due anteprime, di dieci giornate di proiezioni e incontri.
Organizzata dall’associazione Su Disterru, la kermesse ha una sua precisa identità basata sul confronto-incontro tra la produzione filmica in Sardegna e la cinematografia di un Paese diverso in ogni edizione. Quest’anno l’attenzione è stata rivolta alla Colombia. Con un ricco programma di corti, documentari, lungometraggi per quello che è stato uno dei più grandi focus sul cinema colombiano mai realizzati in Italia. Non sono mancati ospiti arrivati dal Sudamerica. Tra questi il regista Carlos Tribiño Mamby, che abbiamo incontrato in occasione dell'anteprima italiana di El silencio del río, vincitore del Festival Internacional de Cine de Cartagena de Indias (storica manifestazione cinematografica sudamericana). Il lungometraggio racconta la storia di Anselmo, un bambino che diviene presto adulto allo scoprire la vicinanza della morte violenta e le sue conseguenze in una zona di conflitto. Ma è anche il ritratto di Epifanio, un tranquillo contadino che viene ucciso. Due storie che si uniscono con la scoperta da parte di Anselmo del cadavere di Epifanio.

 
Una storia che nasce come?
Tutto è partito dopo aver visto una fotografia su un giornale che ritraeva un corpo sul bordo di un fiume con sopra un avvoltoio. È stata quell’immagine a ispirare la nascita della storia. Da lì ho cominciato a fare delle ricerche e poi a costruire la sceneggiatura.
 
Che parla della guerra, senza mostrarla.
Mi interessava il punto di vista delle vittime, dei contadini. Senza giudicare buoni e cattivi. Per quello non ho voluto scene di azione e sparatorie, ma concentrarmi su guerriglieri e paramilitari.
 
Come ha scelto i due protagonisti?
Hernán Méndez, che interpreta Epifanio, è un attore conosciuto per diverse esperienze cinematografiche e in serie televisive. Per il personaggio del giovane Anselmo (Jhonny Forero) ho fatto una lunga ricerca.
 
È del posto dove avete girato?
No, di Bogotà. Prima delle riprese siamo stati due mesi con lui sul luogo per la preparazione. Anche per le cose più pratiche, come muoversi in quella natura e nuotare nel fiume.
 
Fiume che è l’altro grande protagonista. Ci sono state difficoltà a girare in un luogo così particolare?
Un po’ sì, non è stato facile per gli spostamenti. La troupe era composta da cinquanta persone e il trasporto, con le attrezzature, avveniva per forza via fiume. Niente strade. E poi il clima, c’erano quaranta gradi e tanta umidità.
 
Posti che già conosceva prima di scrivere la sceneggiatura?
Non nello specifico, ma posti simili sì. Geograficamente la zona dove abbiamo girato si trova al centro della Colombia.
 
È un caso o c’è una chiara preferenza per location lontano dalle città?
In effetti è così, preferisco certe ambientazioni dove la natura è dominante rispetto al paesaggio metropolitano. Anche nel mio precedente film, il cortometraggio Lux Aeterna, avevo scelto una zona isolata, tra le montagne, per raccontare una storia di contadini.
 
E nel prossimo?
Sto pensando a un progetto in Amazzonia.
 
Ma nel suo percorso di formazione è stato più influenzato da film colombiani o da qualche altra cinematografia?
Soprattutto da film stranieri, non c’era una grande tradizione in Colombia. Ad alimentare molto la mia passione è stato il cinema russo, Tarkovsky ma non solo, e anche quello italiano. Antonioni è probabilmente il mio autore preferito. Tra i film più recenti mi ha colpito molto Le quattro volte di Frammartino.
 
E oggi come sta il cinema colombiano?
Dire bene. C’è stato un grande sviluppo negli ultimi dieci, quindici anni dopo l’entrata in vigore di una legge cinema che ha favorito la crescita della produzione. Una cosa importante anche per una nuova rappresentazione del Paese, diversa da quella commerciale proposta dalle grandi produzioni americane, come Narcos che tutti conoscono, lontane dalla realtà.
 
Tra le cinematografie degli altri Paesi sudamericani, invece, quali sono le più interessanti al momento secondo lei?
Stanno facendo ottime cose in Cile e Uruguay.
 
 

Carlos Tribiño Mamby e Marco Antonio Pani, direttore artistico del festival
 
 
Fabio Canessa

Viaggio continuamente nel tempo e nello spazio per placare un'irresistibile sete di film.  Con la voglia di raccontare qualche tappa di questo dolce naufragar nel mare della settima arte.

Lascia un commento

Assicurati di inserire (*) le informazioni necessarie ove indicato.
Codice HTML non è permesso.

Questo sito utilizza cookie per il suo funzionamento. Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie. Se vuoi avere maggiori informazioni, leggi la Cookies policy.