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Gigolò per caso: intervista a John Turturro

"Mostrare come un uomo normale possa ad un certo punto della sua vita vestire i panni di un vero gigolò": intervista a John Turturro che ci presenta il suo film Gigolò per caso

Il 17 aprile uscirà nelle sale italiane Gigolò per caso, il nuovo film di John Turturro, una commedia che lo vede impegnato nella doppia veste di regista e co-protagonista al fianco di Woody Allen. Abbiamo avuto la possibilità di incontrare Turturro a Roma per parlare del suo film, che sarà presentato in anteprima nazionale al Festival di Bari nei prossimi giorni.

Lei ha di recente affermato che tutto il lavoro è iniziato dopo aver parlato col suo barbiere, che tra l'altro è lo stesso di Woody Allen, dell'idea di fare un film su un uomo che si improvvisa gigolò. Quindi lei parla sempre dei suoi progetti col suo barbiere?

Sì, il barbiere è una persona importante (scherza, ndr.). Ne ho parlato con lui e, siccome è lo stesso barbiere di Woody Allen, questo ne ha parlato con Woody appunto, il quale si è interessato alla cosa e ha lasciato detto al barbiere di dirmi di contattarlo e così è partito tutto.

Il personaggio di Fioravante è sicuramente un gigolò particolare, infatti non lo si vede mai nudo e le scene di sesso sono sempre sottintese.

L'idea era infatti quella di mostrare come un uomo normale potesse ad un certo punto della sua vita vestire i panni di un vero gigolò.

Per quanto riguarda la splendida ed assolutamente eterogenea colonna sonora? Come è avvenuta la scelta dei pezzi inseriti?
Beh, abbiamo scritto gran parte del film ascoltando questa musica. La musica è stata parte creativa fondamentale per questo film già a partire dalla scrittura e ci ha accompagnato sempre anche sul set. Per esempio, per la scena in cui Avigal va per la prima volta a casa di Fioravante avevamo pensato di usare della musica ebraica, ma al montaggio abbiamo dovuto constatare che era assolutamente orrenda come scelta, perciò abbiamo provato ad inserire Dean Martin e il risultato ci è sembrato bellissimo.

Il gigolò del film è il tipo di uomo che le donne vorrebbero. Lei pensa che ci sia una carenza di questo modello di uomini? Inoltre, come è stato lavorare con Allen?
Per scrivere il personaggio di Fioravante mi sono ispirato a diversi miei amici che sanno fare molte cose manuali e pratiche, qualità che ritengo assolutamente attraente. Volevo quindi un personaggio che avesse questo tipo di capacità, ma che fosse anche un vero amante delle donne. Uno che sapesse ascoltare e capire le donne. Molti uomini infatti amano il sesso ma non le donne. Per quanto riguarda il lavoro con Woody è stato facile, davvero. Ogni giorno arrivava sul set preparato e tranquillo, poi quando si dava l'azione iniziava a recitare la propria parte come lo conosciamo tutti.

Secondo lei ci sono molte donne che ricorrono ai gigolò?
Sicuramente succede, ma è un fenomeno molto più ristretto rispetto al contrario. Nel film la prostituzione è utilizzata come una metafora del desiderio di essere toccati, capiti ed ascoltati. Questo film parla di amicizia e di solitudine, e penso che oggi come oggi ci siano sempre più persone che si sentono sole e soffrono per questo.

Come è stato girare la scena del menage a trois con Sharon Stone e Sofia Vergara? Come è avvenuta la scelta di queste due attrici?

Innanzitutto oggi non è molto frequente vedere al cinema ruoli importanti ed interessanti per le donne. Sharon poi era proprio giusta perché era un'occasione per farle fare qualcosa che non ha mai fatto in vita sua. Non penso infatti che abbia mai dovuto pagare qualcuno per andarci a letto insieme (ride, ndr). Per quanto riguarda invece il personaggio della Vergara, mi sono ispirato ad una mia amica che le assomiglia pure molto, perciò la scelta è stata immediata. Quella scena è stata, diciamo, piacevolmente impegnativa (ride, ndr).

Per quanto riguarda la scrittura, Woody Allen le ha dato dei consigli?

Sì, per quanto la sceneggiatura sia mia, Woody mi ha saputo dare dei consigli. Io gli mandavo le varie stesure e lui mi restituiva un feedback. I giudizi variavano dall''orribile' al 'divertente' al 'potrebbe essere divertente'. Woody è stato un editor davvero spietato, però mi ha aiutato a rendere questa commedia più delicata e raffinata.

Nel film la famiglia di Woody Allen è composta da persone di colore, è stata una coincidenza o una precisa scelta a cui avete lavorato insieme?
No, è stata una scelta precisa. Tra l'altro nel tempo tra i bambini e Woody si è instaurato un bel rapporto ed una bella complicità.

Quanto il lavoro con i grandi registi con cui ha lavorato come attore ha inciso ed influenzato il suo stile di regia?

Senz'altro lavorare con quelle persone mi ha aiutato tanto. Lavorandoci ho infatti avuto modo di osservarli e di apprendere molto. Non devi imitare qualcuno, devi imparare da lui ciò che ti serve per poi elaborare un tuo stile e un tuo modo di vedere le cose. Poi, ci tengo a sottolinearlo, alla riuscita o meno di un film, oltre al regista, concorre il lavoro di un sacco di altre persone a partire dal montatore fino a tutti gli altri comparti tecnici. È il gruppo a fare il film, non una sola persona.

Nel film si vedono negozi che chiudono e persone costrette a reinventarsi per campare. C'era quindi l'intento di porre anche una riflessione sulla crisi attuale?

No, non c'era l'idea di fare una riflessione politica, ma sappiamo tutti che nelle grandi città i piccoli negozi come la libreria del film stanno pian piano scomparendo. Si tratta di una grossa perdita perché, oltre all'aspetto economico, questi luoghi costituivano veri e propri punti di ritrovo in cui le persone si recavano non solo per fare acquisti ma anche per conoscere gente e chiacchierare. Per questo ho voluto inserire quelle immagini della vecchia New York, per ricordare un po' questa dimensione che si sta perdendo. Poi certo, oltre ai tanti giovani disoccupati, ci sono anche persone più anziane costrette a reinventarsi un mestiere per sopravvivere ed è una situazione difficile.

Come è stato lavorare con Nanni Moretti per il suo nuovo film?

Moretti è un regista molto esigente, ed è stata una bella esperienza lavorare con lui e Margherita Buy.

Conosceva già il cinema di Moretti prima di lavorarci?

Sì, da 20 anni. Molti dei suoi film mi sono piaciuti molto.

Ha visto La grande bellezza? Che ne pensa?

Sì, certo che l'ho visto. Esteticamente è un bellissimo film e Toni Servillo è un grande attore. Di Sorrentino avevo già visto Le conseguenze dell'amore e mi era piaciuto molto.

La condizione della donna ebraica è davvero così come si vede nel suo film?
Diciamo che all'interno della comunità ebraica le regole cambiano molto a seconda dei gruppi. In ogni caso ho cercato di trattare la cosa in modo più leggero ma con grande rispetto. È però vero che le donne della comunità a 18 anni devono tassativamente smettere d'istruirsi e che gli uomini creano regole che rendano più facile comandare le donne.

Dati gli ultimi fatti di cronaca, pensa che avere Woody Allen nel film possa essere una cosa negativa?
Non lo so, su questa cosa non dico nulla. Ho già lavorato con Allen in passato, è un amico e ci lavorerò ancora. Per il resto non mi esprimo, non so nulla su quella storia.

Il film è piano di battute esilaranti, in particolare quella su Mick Jagger. C'è una battuta in particolare a cui lei è più affezionato?
Quella battuta su Mick Jagger viene da lontano, mi ricordo infatti di quando da ragazzo lo vedevo in tv cantare Satisfaction e pensavo “ma quanto è grande la bocca di quest'uomo?” (ride, nda). Ma Mick Jagger è comunque considerato un sex symbol. Non è bello ma è sexy. Ognuno ha la propria sensualità, a prescindere dall'aspetto fisico. Ci sono infatti persone molto belle ma assolutamente noiosissime, che quindi non trasmettono alcun tipo di sex appeal. Ed è questo che volevo far capire con quella battuta. Comunque no, non c'è una battuta in cui sono affezionato particolarmente.

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