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La città incantata - Recensione

Torna in sala per tre giorni (25, 26, 27 giugno) il film, Orso d'oro al Festival di Berlino e Premio Oscar, che ha consacrato la grandezza di Hayao Miyazaki a livello internazionale. Un meraviglioso racconto di formazione, una fiaba eterna in cui il talento visionario del maestro giapponese tocca il suo apice

Per vedere un grande film, ci vuole un grande schermo. Il ritorno al cinema dei capolavori di Hayao Miyazaki ad opera della Lucky Red potrebbe essere accompagnato dallo slogan, riveduto e corretto per il cinema, del marchio di pennelli famoso per una storica pubblicità. Se ogni film non può che guadagnarci da una visione in sala, luogo insostituibile per godere pienamente della settima arte, il discorso vale ancora di più per i lungometraggi dello Studio Ghibli. Già meravigliosi di loro, su grande schermo  avvolgono completamente lo spettatore della magia dell'animazione. Questo è tanto più vero per La città incantata (Sen to Chihiro no kamikakushi), tripudio della fantasia di Miyazaki che ha conquistato il mondo. L'Orso d'oro al Festival di Berlino, sdoganamento ufficiale dai vincoli di genere, e l'Oscar come miglior film d'animazione hanno portato il lungometraggio del 2001 a essere l'opera del maestro giapponese probabilmente più conosciuta in Occidente.
La trama è nota. Chihiro, una bambina di 10 anni, e i suoi genitori stanno traslocando quando, dopo aver preso la strada sbagliata, si ritrovano in una città apparentemente fantasma, piena di ristoranti. I genitori si siedono e cominciano a mangiare attirati da un sontuoso banchetto, mentre Chihiro si mette a esplorare la zona. Incontra un ragazzo, Haku, che le ordina di andarsene, ma tornando indietro scopre che i genitori sono stati trasformati in maiali. Bloccata in un mondo abitato da divinità ed esseri magici, governato da una strega malvagia, troverà la forza di prendere in mano la propria esistenza, di fare delle scelte, di assumersi delle responsabilità in un percorso di crescita che segnerà per lei la fine dell’infanzia.
È la maturazione di Chihiro il cuore del film. Intorno a questa tema centrale Miyazaki costruisce un universo meraviglioso, visionario, incantato così potente da sovrastarlo in parte. Straordinarie come sempre le sequenze d’azione. Nella sua essenza l’animazione è movimento e Miyazaki rende onore a questo aspetto base con la solita cura maniacale di ogni più piccolo dettaglio. Al dinamismo, sempre armonioso, fanno da contrappunto i momenti più intimi, riflessivi, profondi che rendono i personaggi miyazakiani così unici e reali come fossero di carne e ossa. E nel film, da questo punto di vista, trova spazio una delle scene più belle, intense del cinema del maestro giapponese, dove la profondità di significato si sposa alla fascinazione visiva in maniera mirabile: quella in cui Chihiro prende il treno per andare dalla strega Zeniba e salvare Haku. Quel treno, le rotaie sull'acqua, lo spirito Senza volto seduto a fianco della protagonista rappresentano immagini indimenticabili. A completare perfettamente il quadro della visione ci pensano le musiche di Joe Hisaishi, tra le più belle in assoluto della storica collaborazione tra il musicista e lo Studio Ghibli.

Se La città incantata non può essere considerato il capolavoro assoluto di Miyazaki, perché la sua produzione di così alto livello propone delle vette anche maggiori, possiede la magia per essere l'erede moderno di storie classiche come Alice nel paese delle meraviglie o il Mago di Oz, con le quali presenta anche dei punti di contatto. Una fiaba eterna in cui il talento visionario di Miyazaki tocca il suo apice.

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