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Seventh Code - Recensione (Festival di Roma 2013 - Concorso)

Kiyoshi Kurosawa porta in Concorso al Festival di Roma 2013 una spy-story senza pretese, costruita tutta sulla protagonista Atsuko Maeda. Un film che spiazzerà i fan del regista giapponese. Premiato per la miglior regia e per il miglior contributo tecnico (montaggio) alla rassegna capitolina

Era uno dei film più attesi del Concorso del Festival di Roma 2013. Non solo perché diretto da uno degli autori più significativi del cinema giapponese degli ultimi due decenni qual è Kiyoshi Kurosawa, ma anche per un curioso dettaglio capace di catturare subito l’attenzione alla lettura del programma. La durata insolita: soltanto sessanta minuti.
A visione terminata qualcuno potrebbe dire per fortuna, relativamente alla breve durata, perché Seventh Code mostra dietro la macchina da presa un Kurosawa a livelli minimi di forma.
La storia è ambientata a Vladivostok. Una ragazza di Tokyo, Akiko, arriva nella città russa alla ricerca Matsunaga, un uomo che ha conosciuto un mese prima in Giappone durante una serata in un locale. Lo trova, ma Matsunaga si limita a raccomandare alla donna di non fidarsi dei russi, di tornare a casa, e poi sparisce. Akiko non rinuncia e riprende a cercalo. È innamorata o c’è qualche altro motivo che la spinge a mettersi sulle tracce dell’uomo?
Fuori dai confini nazionali (e una delle cose migliori risulta proprio l’ambientazione) e fuori dai confini del suo cinema. Kurosawa gira quello che appare come un divertissement in salsa spy-story, senza pretese, costruito tutto sulla protagonista Atsuko Maeda. Tanto che non manca un suo brano, in chiusura, a cui è difficile trovare altra spiegazione se non quella che l’attrice è nota prima di tutto come cantante.
Il film spiazza, aspetto non necessariamente negativo, il pubblico conoscitore del cinema di Kurosawa che paradossalmente si vede di più nel corto abbinato al film in concorso, Beautiful New Bay Area Project, dove nella parte iniziale sembra possibile ritrovare alcuni elementi del cinema del regista giapponese. Prima che questi spariscano con un repentino cambio di registro che trasforma il resto in action alla Bruce Lee.

Tornando a Seventh Code bisogna comunque dire che al di là della debolezza generale, dello sviluppo prevedibile della storia di spionaggio, di alcune trovate di regia telefonate, quasi alla caccia dell’applauso facile (come l’esplosione finale), risulta senza grosse pretese anche godibile. Come un film minore di un grande autore che stavolta si è divertito un po’ a giocare.

Vai alla scheda del film

 

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