Man with no Name
- Scritto da Massimo Volpe
- Pubblicato in Asia
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Wang Bing si imbattè nell''Uomo senza nome', casualmente mentre era impegnato in altri progetti cinematografici; per due anni, con l'incedere delle stagioni pedinò con la sua camera questo strano personaggio, mezzo anacoreta, mezzo Robinson Crusoe, risultandone un documentario atipico rispetto agli altri lavori del regista.
Seguendo passo passo i gesti quotidiani di una esistenza segnata dal trascorrere del tempo e dalla ciclicità delle stagioni, vediamo l'Uomo senza nome , che vive in una caverna privo di ogni conforto, raccogliere sterco per usarlo come concime per le sue piccole coltivazioni, curare i prodotti della terra, impastare fango con l'erba, consumare pasti frugali, raccogliere acqua: tutte attività assolutamente normali, ripetitive, condotte nel più completo silenzio, ignorando completamente la presenza della macchina da presa.
L'Uomo senza nome non combatte nessuna battaglia nè rivendica alcunché, non c'è protesta sociale nella sua scelta di vita, c'è semmai una sorta di affermazione individuale, un ritorno all'essenza dell'invido, in un paese in cui dopo mezzo secolo di conformismo politico, ideologico e sociale ci si trova gettati nella sfida all'arricchimento facendo affidamento proprio su quell'individualismo quasi cancellato dal DNA di un popolo.
Wang Bing stavolta compone un racconto fatto di immagini profondamente intimo, quasi a voler omaggiare questo strano personaggio che ha fatto della affermazione peculiare della sua esistenza la ragione di vita: se nei lavori precedenti c'era un paese con la sua storia e la sua dissoluzione, in Man With no Name c'è un piccolo mondo, fatto di ovvietà, di gesti semplici, di tempo che scorre, al centro del quale c'è una esistenza che nella sua semplicità fatta di stenti nasconde l'animo profondo e ribelle dell'individuo.