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Venezia 73: la nostra guida ai film

Mostra Venezia 73 - Guida ai film - GiudiziI giudizi a tutti i film visionati dai nostri inviati nelle varie sezioni della Mostra del Cinema di Venezia 2016. Appunti critici di un'avventura dello sguardo lunga 11 giorni. A cura di Davide Parpinel, Simone Tricarico, Fabio Canessa, Francesco Siciliano, Massimo Volpe

 

 

In concorso

La La Land, di Damien Chazelle (USA)


La nuova pellicola dell'enfant prodige di Hollywood apre la Mostra 2016 con musiche, balli, attori che volano sospinti dal peso dell'amore. E' una commedia musicale girata con colori brillanti, inquadrature perfette nelle simmetrie e piani sequenza che conducono lo spettatore all'interno delle emozioni dei protagonisti. Innanzitutto c'è la storia d'amore tra il personaggio di Emma Stone, Mia, attrice in cerca di successo a Los Angeles di oggi, e Seb, Ryan Gosling, pianista jazz che per vivere si adatta ai piano bar. Improvvisamente tra i due sboccia l'amore e dopo l'entusiasmo iniziale le decisioni prese come coppia rischiano di incrinare i rispettivi sogni. I due infatti, sono incastrati nelle dinamiche della Hollywood di oggi in cui l'arte scenica è più di forma che di sostanza. Il tutto è narrato da Chazelle con poca originalità e in maniera abbastanza prevedibile, soprattutto nella parte finale. Malgrado ciò, La La Land si propone divertente e d'effetto, sostenuto dai balli di gruppo e dalla musica come tessuto connettivo del film. Un film d'apertura di grande impatto per Venezia 73. (D.P.)
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The Light Between Oceans, di Derek Cianfrance (USA-Nuova Zelanda-Regno Unito)



Un dramma come davvero non si vedeva da un pezzo. Una storia d'amore tra un ex reduce inglese della Prima Guerra Mondiale (Michael Fassbender) e una bella ragazza (Alicia Vikander) che si ritrovano a crescere un figlio non loro all'ombra di un faro. Lacrime, abbracci struggenti e sorrisi copiosi tra immense e infinite scene madri tenute insieme dalla musica iper-emotiva composta da Alexandre Desplat. Non c'è molto da dire su questo film se non che la storia è praticamente inesistente e la macchina da presa di Cianfrance sembra più interessata a raccontare il paesaggio che le psicologie dei due protagonisti. (D.P.)
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El cristo ciegoEl cristo ciego (The Blind Christ), di Christopher Murray (Cile-Francia)



Il problema non è credere, ma in cosa credere. Questo è l'interrogativo che si è posto il giovane regista cileno alla sua opera seconda. Un ragazzo che si crede investito da un potere divino, viaggia nell'intento di raggiungere un uomo da miracolare, incontrando diffidenza e a volte comprensione. C'è da dire che concettualmente il film regge perché mostra come l'idea di fede sia diversa di persona in persona e come, forse, l'uomo ha più bisogno del suo prossimo che di un'entità metafisica. El cristo ciego, però, non convince come stile. Non bastano inquadrature lente per raccontare un processo di scoperta e di riflessione. (D.P.)
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Frantz, di François Ozon (Francia-Germania)



François Ozon porta al Lido un dramma storico girato con grande raffinatezza formale, ambientato al termine della prima guerra mondiale. In un piccolo villaggio tedesco, la giovane Anna (Paula Beer) incontra il misterioso Adrien (Pierre Niney), un soldato francese che dice di conoscere il suo ex fidanzato Frantz, morto durante il conflitto. Fra i due nasce subito una profonda intesa, che porterà entrambi a confrontarsi con la forza dei sentimenti tragici legati alle loro vite. Ozon adatta una pièce di Maurice Rostand, affidandosi alla potenza dei personaggi e a un’impostazione narrativa classica ma robusta. Girato prevalentemente in bianco e nero, con inserti a colore che sottolineano i momenti emotivi più intensi o la dimensione quasi eterea filtrata dai ricordi, la pellicola sfrutta la fotografia elegante di Pascal Marti per dar vita a un’opera toccante, priva di patetismi e assai vibrante. (S.T.)

Spira Mirabilis - Film - 2016Spira mirabilis, di Massimo D’Anolfi, Martina Parenti (Italia-Svizzera)



Massimo D'Anolfi e Martina Parenti scelgono il tema dell’immortalità come filo conduttore di Spira mirabilis, un mosaico visivo tanto affascinante quanto imperfetto. A differenza dei lavori precedenti, infatti, manca una coerenza nella struttura narrativa in grado di dare forza e vitalità alle immagini di grande suggestione della pellicola. Siamo lontani dalla potenza emotiva di Materia Oscura, oppure dalla ricchezza frammentaria de Il Castello. La bellezza della composizione estetica non si tramuta mai in una reale fascinazione evocativa, e la giustapposizione delle evanescenti storie che si intrecciano (legate simbolicamente alla forza degli elementi) diventa alla lunga iterativa e ridondante. (S.T.)

Nocturnal Animals - Film - 2016Nocturnal Animals, di Tom Ford (Stati Uniti)



Sette anni dopo A Single Man, Tom Ford torna alla Mostra di Venezia con un elegante adattamento del romanzo Tony and Susan di Austin Wright. Una pellicola di grande ricchezza formale, che incrocia i piani narrativi affidandosi all’espediente del metaracconto. Pur soffrendo alcune ingenuità, la sceneggiatura riesce ad alternare i registri passando efficacemente dal dramma al thriller. Nonostante un approccio spesso fin troppo didascalico e compiaciuto, Ford confeziona un film solido che indaga il tema della vendetta e la complessità dei rapporti affettivi, anche grazie alla prova convincente del ricchissimo cast. (S.T.)

El Ciudadano Ilustre - The Distinguished Citizen - Film - 2016El ciudadano ilustre (The Distinguished Citizen), di Mariano Cohn e Gastòn Duprat (Argentina-Spagna)



Serve ironia nella vita. Quando si supera la misura, però, è meglio lasciar perdere l'ironia e sfogarsi. Questo fa Daniel Mantovani, scrittore argentino Premio Nobel che vive a Barcellona e un giorno decide di tornare a Sales, suo paese d'origine, per ricevere un'onorificenza. L'indagine dei due registi si incanala sul confronto tra i sentimenti e la realtà e su come il luogo d'origine plasmi gli uomini. Il film, infatti, per questo si muove tra tinte documentaristiche e finzione su un sottile crinale che più che mostrare, esplicita, evidenzia, pone in luce. Un uomo può davvero abbandonare fino in fondo la mentalità in cui è cresciuto anche quando questa gli punta una pistola contro? (D.P.)
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Piuma - Film - 2016Piuma, di Roan Johnson (Italia)




La commedia di Roan Johnson racconta con ironia e leggerezza (più esibita che riuscita) il tema della maternità inaspettata, innestando all’interno della realtà romana le dinamiche e i conflitti generazionali di oggi. Peccato che il tentativo di dipingere uno spaccato trasversale sulle moderne famiglie allargate sia immaturo come i suoi protagonisti, con scelte narrative poco autentiche, scaltre e costruite con ammiccante simpatia verso il pubblico. La comicità si basa su meccanismi collaudati ormai logori, anche per via di un cast non all’altezza che tende ad appesantire i dialoghi con i consueti stereotipi linguistici. Rimane un mistero come una pellicola di questo tipo possa essere presentata in concorso a una mostra di 'arte' cinematografica. (S.T.)

Brimstone - Film - 2016Brimstone, di Martin Koolhoven (Paesi Bassi-Germania-Belgio-Francia-Gran Bretagna-Svezia)



Martin Koolhoven tenta una rivisitazione moderna del western, declinando gli stilemi di genere in chiave sadica e violenta. Il tema della vendetta e del fervore religioso fanno da costante all’interno di una struttura divisa in capitoli, che tenta di frammentare il costrutto narrativo spostando i piani temporali. Tuttavia la segmentazione non fornisce respiro epico al racconto, e non riesce a trasformare la storia in un’epopea di ampio respiro, nonostante un’impostazione stilistica fin troppo accademica. La sceneggiatura soffre di alcuni limiti e i ruoli sembrano quasi non esaurire il ricchissimo cast, in cui emerge (non senza eccessi) il personaggio di Guy Pearce. Una pellicola che scaltramente stempera solo in parte i toni cupi di fondo attraverso la figura dell’eroina interpretata da Dakota Fanning. (S.T.)

Une Vie - Film - 2016Une Vie, di Stéphane Brizé (Francia-Belgio)



Perché raccontare una storia in costume ambientata nell'Ottocento? Forse perché lì si possono trovare i presupposti per comprendere l'oggi. Raccontare, mettere in scena, proporre l'immagine però non basta. Bisogna trovare anche il modo per farlo. Ecco quindi che Brizé restringe lo schermo in 4:3 e si muove con i protagonisti, ne studia le psicologie fissando in quadri statici e incastonati nel tempo le loro gesta e azioni. Al termine il pubblico ha visto un film in costume ottocentesco, ma ha osservato anche una donna che cerca di combattere tra illusioni, speranze e tristi realtà, proprio grazie alla macchina da presa che conduce lo sguardo dello spettatore là dove lo schermo del 4:3 finisce. (D.P.)
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Voyage of Time - Film - 2016Voyage of Time: Life’s Journey, di Terrence Malick (Stati Uniti-Germania)



Ci sono le immagini, ci sono le riprese, c'è una precisa struttura narrativa e poi ci sono i significati che sono profondi e riguardano l'esistenza e la vita sulla terra. I livelli di articolazione e sviluppo dei film di Malick sono noti, ma in questo documentario l'analisi tocca i principi fondamentali della creazione, gli intimi processi che hanno portato alla formazione degli archetipi da cui tutto è nato. È impressionante come il regista comunichi tutto questo apparato di pensiero senza usare la parola, bensì solo con la macchina presa, con il cinema e il suo primario linguaggio di incatenare immagini. La settima arte in questo documentario diviene così, fonte di sapere e di educazione, macchina produttrice di immagini affascinanti e sontuose. Questo è Voyage of Time. (D.P.)
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The Bad Batch - Film - 2016The Bad Batch, di Ana Lily Amirpour (Stati Uniti)



Dopo l’esordio folgorante con il suo A Girl Walks Home Alone at Night, Ana Lily Amirpour tenta la strada del racconto distopico che gioca con i generi mescolandoli. Un tentativo interessante che cerca di trarre forza dallo stile anarchico della giovane regista, ma che spesso si abbandona a eccessi di autocompiacimento e pretese di critica sociale talmente evidenti da risultare superficiali. Nonostante uno stile visivo che prova ad essere eversivo e allucinato (supportato dalla discreta fotografia e dalla riuscita colonna sonora), The Bad Batch non riesce a portare uno sguardo nuovo e originale su temi sostanzialmente abusati. (S.T.)

La region salvaje - The Untamed - Film - 2016La regiòn salvaje (The Untamed), di Amat Escalante (Messico-Danimarca-Francia-Svizzera-Germania-Norvegia)



Disorienta il nuovo film del regista messicano. Forse a una seconda visione potrebbe essere tutto un po’ più chiaro. E il giudizio diventare più favorevole. Capita con certi film, magari rivisti in condizioni psicofisiche migliori di quelle a cui ti riducono le maratone festivaliere. Intanto all’uscita della sala resta la sensazione di un mezzo passo falso di un autore che aveva ben impressionato con i precedenti film. Il tentativo di combinare l’interesse verso i temi sociali con elementi del cinema thriller, horror e di fantascienza non appare abbastanza calibrato. E così il film manca della giusta osmosi tra i generi nei quali spazia e le riflessioni che sembra portare avanti. (F.C.)
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Paradise - Film - 2016Paradise, di Andrei Konchalovsky (Russia-Germania)



Dopo il Leone d’Argento nel 2014 per Le notti bianche di un postino, Andrei Konchalovsky torna al Lido con un dramma didascalico ambientato durante la Seconda Guerra mondiale. Il cineasta russo affronta ancora una volta il tema dei destini incrociati e il ruolo delle singole esistenze all’interno della Storia, costruendo un triangolo fra un collaborazionista francese, un gerarca delle SS e un’aristocratica russa membro della resistenza. L’impianto visivo di impostazione classica si sorregge sul rigore formale della messa in scena, fotografata con un bianco e nero elegante. L’immane tragedia dell’Olocausto emerge senza patetismi, evitando quasi sempre la facile retorica (se si esclude il finale), ma cedendo spesso a una narrazione calligrafica che emoziona principalmente grazie alla buona prova del cast. (S.T.)
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Jackie - Film - 2016Jackie, di Pablo Larrain (Cile-Stati Uniti)



Serviva probabilmente un regista non statunitense per raccontare con originalità e personalità una storia prettamente americana. Pablo Larrain spoglia di patetismi e lacrime facili il dolore di una persona fragile, Jacqueline Kennedy, nei giorni successivi alla morte del marito. La macchina da presa si incolla al volto di Natalie Portman, segnato in una smorfia autentica che nasconde paure e desiderio di confronto. Ciò perché la donna si trova da sola a organizzare l'ultimo istante in terra del marito, prima della sepoltura, con l'intento di far prevalere l'umanità sul mito. (D.P.)
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The Woman Who Left - Film - 2016Ang Babaeng Humayo (The Woman Who Left), di Lav Diaz (Filippine)



Il cinema di Lav Diaz non ha mai concesso molto allo spettatore, rivendicando con maniacale perseveranza e tenacia la sua poetica. The Woman Who Left continua in questa direzione, pur aumentando (paradossalmente) l’accessibilità attraverso una storia che indaga sentimenti universali. Lo fa con una intensità e una potenza talmente grandi da andare oltre la normale narrazione, oltrepassando come sempre il concetto di durata per concentrarsi sul dare forma e sostanza alle emozioni. Il tutto con una bellezza formale abbacinante, sostenuta da un bianco e nero iperdettagliato e sontuoso in cui ogni inquadratura sembra rubata, pur mostrando uno studio impeccabile. Una pellicola preziosa e stratificata di un grande autore moderno. (S.T.)
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Leggi l'intervista al regista: qui.

On the Milky Road - Film - 2016Na mlijecnom putu (On the Milky Road), di Emir Kusturica (Serbia-Gran Bretagna-Stati Uniti)



Se cercate lo stile di Kusturica, c'è tutto. Se cercate lo sporco, il sudicio, il folklore che ha caratterizzato i suoi lavori, li trovate in parte. Se cercate il graffio del Leone, del Maestro in grado di sconvolgere il Concorso di Venezia 73, forse rimarrete delusi. Il regista serbo costruisce una storia d'amore semplicissima, interpretata da lui e da Monica Bellucci, in cui gli effetti visivi, naturalistici, le esplosioni di bombe e i colpi di fucile dominano la scena. Intorno a loro ettari di campi devastati dalla guerra e una fantasia che in alcuni momenti non convince. (D.P.)
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Fuori Concorso

Safari - 2016 - Ulrich SeidlSafari, di Ulrich Seidl (Austria-Danimarca)



L'effetto è sempre quello simile allo stridio delle unghie su una lavagna. Fastidioso. Meravigliosamente fastidioso perché il graffio di Seidl è come al solito accompagnato da uno stile affascinante nella composizione delle inquadrature. Le scene disturbanti non mancano, ma più che le riprese di zebre e giraffe uccise e macellate (difficile non distogliere lo sguardo in certi momenti) fanno venire i brividi gli animali umani protagonisti del film con il quale il regista austriaco osserva il fenomeno del turismo della caccia grossa in Africa. Mostrando la violenza senza filtri, il razzismo latente della classe media occidentale. Tutto addolcito con un umorismo che strappa anche qualche risata, ma non per questo fa risultare meno amara la riflessione sull'essere umano. (F.C.)
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The Age of Shadows - Miljeong - Film - 2016The Age of Shadows (Miljeong), di Kim Jee-woon (Corea del Sud)



Un film di quelli che si vedono spesso al Far East Film Festival di Udine dove il programma è costruito con almeno un occhio ai blockbuster asiatici. Tanti come questo dalla Corea. Film dall'anima hollywoodiana, realizzato con grandi mezzi, scenografie importanti (sicuramente meritevole la ricostruzione anni Venti) con abilità tecnica invidiabile anche perché a dirigere il tutto c'è un regista di talento come Kim Jee-woon. Ritrova ancora una volta Song Kang-ho che mette in secondo piano il resto del cast formato da altre stelle del cinema coreano. Il film si snoda in due ore abbondanti tra intrighi, inganni, tradimenti, amicizia, grandi ideali (la resistenza nel periodo dell'occupazione giapponese). Con un paio di sparatorie magistralmente orchestrate e un momento di grande suspense nella parte centrale quando la scena si sposta su un treno. Elementi che non bastano a farne un grande film, ma risultano abbastanza per promuovere la visione. (F.C.)
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Monte - Film - 2016Monte, di Amir Naderi (Italia-Stati Uniti-Francia)



Siamo in una sorta di tardo medioevo. Una famiglia vive di stenti all’ombra di una colossale montagna, che sembra aver privato anche le loro vite di luce e speranza. Agostino (Andrea Sartoretti) tenta di resistere sfidando la natura ostile e la società arcaica che li ha isolati. Naderi torna a indagare il tema a lui caro dell’ossessione, attraverso una pellicola che cristallizza quasi tutto il suo cinema fatto di resistenza e caparbia tenacia. Un film che diventa allegoria del possibile, un grido disperato alla lotta e al riscatto e contro le miserie della vita. Nonostante la bella fotografia e momenti di grande potenza visiva, Monte paga alcune debolezze di sceneggiatura e interpretazioni non pienamente convincenti, unite a un andamento discontinuo e ripetitivo della narrazione, che sembra consolidarsi solo nella parte finale. Un crescendo emotivo sicuramente non pienamente riuscito, ma che non lascia indifferenti. (S.T.)

Tommaso - Film - 2016Tommaso, di Kim Rossi Stuart (Italia)



Dieci anni sono serviti a Kim Rossi Stuart per tornare dietro la macchina da presa dopo Anche libero va bene, ma l’attesa ci restituisce un regista che compie un passo indietro rispetto alla sua opera prima. Storia di un attore con aspirazioni da regista in crisi esistenziale, erotomane dilaniato da nevrosi, sensi di colpa e incubi ricorrenti, alle prese con una libidine sfrenata che lo fa fantasticare su rapporti sessuali con ragazze avvenenti con cui incrocia lo sguardo per strada. Un po’ Shame condito con un personaggio che ricorda la spigolosità di Nanni Moretti e l’ironia di Woody Allen, Tommaso (il titolo è il nome del protagonista, lo stesso ma in versione adulta che avevamo conosciuto nel film precedente) è un lavoro schizofrenico ripiegato su se stesso, ombellicale perché uno di quei casi in cui il regista crede che il suo film possa essere una seduta di psicanalisi a proprio uso e consumo per esorcizzare tormenti e ossessioni. Respingente. (F.S.)
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Austerlitz - Film - 2016Austerlitz, di Sergei Loznitsa (Germania)



Il concetto di ricordo ha in qualche modo segnato il cinema di Sergei Loznitsa, che ha esplorato il ruolo del mezzo cinematografico nel conferire corpo e persistenza al tempo. Austerlitz è un esempio di questa ricerca radicale: un documento che testimonia il turismo di massa in un luogo simbolo della memoria come Auschwitz. Poche inquadrature statiche che riprendono l’emergere del contrasto fra i visitatori inconsapevoli (spesso sguaiati, passivi e irrispettosi) e l’eco delle vicende che ancora segnano la storia recente. Una rinuncia a qualsiasi costruzione narrativa in favore di un messaggio assoluto che arriva diretto e potente allo spettatore. (S.T.)

Planetarium - Film - 2016Planetarium, di Rebecca Zlotowski (Francia-Belgio)



È un film sul cinema e su come rilanciarlo in tempi di crisi. Questa definizione potrebbe andare bene anche oggi, in realtà Planetarium si colloca nel contesto parigino di fine anni Trenta in cui il cinema ha urgenza di reinventarsi, prima di essere schiacciato dagli eventi. Natalie Portman e Lily-Rose Depp in grande sintonia tra spiritualismi, intese di sguardi e la necessaria volontà, dei rispettivi personaggi, di creare una famiglia. Funziona molto bene all'inizio, poi la storia, esattamente quando deve racchiudersi per giungere al finale, si sfilaccia sotto il peso di troppe cose da dire. Un film intelligente che forse avrebbe potuto trovare un degno posto in Concorso. (D.P.)
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Gantz:O, di Yasushi Kawamura (Giappone)



Se cercate alieni deformi, pistole iper tecnologiche, combattimenti rumorosissimi con esplosioni di corpi, atmosfere cupe, città in fiamme e i poveri umani destinati a soccombere, forse avete sbagliato film. Il capitolo Osaka del manga Gantz si segnale per essere un fantasy fantascientifico in cui oltre alla lotta c'è una storia, una narrazione, mai smaccata, che conquista e rende gli spargimenti di sangue quasi affascinanti. Consigliato a chiunque non abbia mai visto un film d'animazione tratto da un manga. (D.P.)
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Orizzonti

The Eremites - Die Einsiedler - Film - 2016The Eremites (Die Einsiedler), di Ronny Trocker (Germania-Austria)



Primo lungometraggio del regista Ronny Trocker, bolzanino di nascita formatosi però in giro per il mondo, The Eremites è un cupo racconto antropologico sulla fine di una civiltà, quella montana, abbarbicata nei masi degli alpeggi montani. Albert lavora in una cava di marmo dividendosi tra il suo lavoro e le visite agli anziani genitori che vivono in montagna allevando capre e mucche e strappando le poche ricchezze di una terra ostile e meravigliosa. Alla morte del padre avvenuta per un banale incidente, la madre cerca di nascondere al figlio l’evento temendo il suo ritorno nel maso per riprendere la vita contadina. La storia è dominata dalla figura quasi epica di una madre che è la prima a riconoscere la sconfitta e la fine di una cultura che ha portato ad un isolamento e ad un gelo nei rapporti umani. Il film, che mai indugia in trucchetti facili, sa essere spietato e duro come lo è la vita di montagna, isolati dal mondo, anche se in qualche frangente raggiunge livelli di pericolosa lentezza. Da ovazione la prova di Ingrid Burkhard nel ruolo della matriarcale Marianne, personaggio che sembra forgiato in un olimpo pagano da un dio appassionato di tragedie. (M.V.)
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Through the Wall - Film - 2016Through the Wall (Laavor Et Hakir), di Rama Burshtein (Israele)



Ancora un matrimonio, una sposa, al centro di un film di Rama Burshtein. Certo una sposa diversa da quella raccontata in un altro film presentato a Venezia, allora nel concorso principale, qualche anno fa. Qua la regista israeliana vira sulla commedia, una wedding comedy. Decisamente riuscita. Merito di una scrittura vivace, con dialoghi originali, conditi da quel tipico umorismo ebraico, e di un personaggio femminile lunatico, folle, amabile al quale dà molto l'ottima interpretazione di Noa Koler. Nei panni di una donna che lasciata dal fidanzato a poche settimane dal giorno fissato per le nozze, decide di andare avanti con i preparativi del matrimonio convinta che Dio la aiuterà a trovare in tempo un altro uomo. Quello giusto. In questo senso il racconto abbraccia anche un discorso sulla Fede, insieme a quello sul matrimonio che la società sembra spingere a trovare per forza. Ma al di là del sottotesto, sul quale ragionare o meno, ci si può accontentare del piacere lasciato dalla visione di una gradevole commedia. (F.C.)

King of the Belgians, di Peter Brosens, Jessica Woodworth (Belgio-Paesi Bassi-Bulgaria)



Quattro anni dopo la spiazzante parabola rurale de La quinta stagione, il duo belga Peter Brosens e Jessica Woodworth torna a Venezia, passando dal Concorso alla sezione più sperimentale di Orizzonti. Non proprio un declassamento, ma quasi, perché la loro ultima fatica non brilla come il lavoro precedente. King of the Belgians è la surreale odissea di Nicola III, il re del Belgio, un sovrano fantoccio che si ritrova bloccato in Turchia a causa di una tempesta solare (ebbene sì) mentre il suo Paese è imploso in seguito alla secessione della Vallonia. Impossibilitato a prendere un aereo, decide di attraversare l’Europa con mezzi di fortuna e in anonimato nella speranza di arrivare in tempo per scongiurare il peggio. La forma è quella del mockumentary, l’anima è quella dell’allegoria a sfondo politico: i registi imbastiscono un film di pensiero ricco di umorismo, che vorrebbe far ridere a denti stretti attraverso situazioni, personaggi e dialoghi surreali in cui è possibile scorgere un chiaro riferimento all’attuale crisi di leadership in Europa. In realtà il tutto si traduce più meramente in una interessante ma a lungo andare evanescente commistione di generi. (F.S.)

Home - Film - 2016Home, di Fien Troch (Belgio)



Dalla profonda provincia delle Fiandre, dove le scuole, le abitazioni e le strade luccicano di nuovo ma i rapporti interpersonali sono al grado zero, una storia corale che conduce a un matricidio per mano di un ragazzo stanco del rapporto incestuoso con la madre ossessivo-compulsiva. Ispirandosi a fatti realmente accaduti, la regista Fien Troch, qui al suo quarto lungometraggio, vorrebbe delineare la radiografia del solco dell’incomunicabilità che separa genitori e figli: i primi presi da se stessi e incuranti delle vite dei giovani, i secondo dediti allo sballo per cancellare la noia che li tormenta. Il film non ci risparmia il solito repertorio della gioventù bruciata 2.0, fatto di chat su Facebook, sessioni di Fifa alla Playstation, filmini su cellulari di fanciulle che shakerano il loro sedere per la gioia dei loro coetanei maschi, spinelli, sesso occasionale, scazzottate a caso e via discorrendo, il tutto girato con immagini asettiche in formato 4:3 che escono da una macchina a mano incollata ai volti per dare un tocco di realismo in stile documentario. Tutto già visto e rivisto altre volte: Home è un film di genere sul disagio giovanile, un compitino ben fatto senza particolari slanci. (F.S.)
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Gukoroku - Traces of Sin - Film - 2016Gukoroku (Gukoroku - Traces of Sin), Kei Ishikawa (Giappone)



Se il suo primo film è così, Kei Ishikawa, regista giapponese, classe 1977, ha di fronte a sé una carriera straordinaria. Non è la storia, non è l'intreccio narrativo, sono le invenzioni della sua regia che conquistano e affascinano. 120 minuti di un thriller che sprofonda nell'immondo con delicatezza e rigore. Non è un viaggio infernale, è un lento avvicinarsi con circospezione in un luogo maledetto utilizzando slow motion, musiche improvvise che salgono e scendono e una macchina da presa che sfiora le esistenze dei protagonisti. Infine quel lento carrello utilizzato all'inizio e alla fine che inquadra la vita borghese e di facciata del Giappone di oggi. Uno dei migliori film visti alla Mostra 2016. (D.P.)
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Maudite Poutine - Film - 2016Maudite Poutine, di Karl Lemieux (Canada)



Per il suo primo film, il canadese Karl Limieux sceglie di guardare al suo passato raccontando vite e luoghi di una gioventù ai margini di una piccola comunità del Quebec in cui è cresciuto. Il suo protagonista Vincent, un ragazzo di 27 anni, operaio in un'industria locale ma anche batterista di un gruppo heavy metal che sogna di registrare un disco, deve trovare le forze per risarcire 10.000 dollari a un gruppo di criminali come pegno per uno sgarbo (un furto di droga), altrimenti rischia di finire in guai seri. Le aspirazioni artistiche che si scontrano con una realtà in cui la violenza pervade i rapporti umani: tema che al cinema si traduce spesso nella banale retorica dell'apologo di una condizione di emarginazione, e che qui il regista non riesce a declinare senza luoghi comuni, pur facendo ampio sfoggio di una padronanza stilistica notevole, figlia di un'estetica da certo cinema sperimentale anni '70. Immagini in b/n, sovrapposizioni dei piani visivi, geometrie deformate, piani sequenza: insomma un cinema ricercato, generoso come spesso gli esordienti sanno essere, cui però manca la sostanza. (F.S.)
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Dark Night - Film - 2016Dark Night, di Tim Sutton (Stati Uniti)



Tim Sutton rievoca, senza mai citarlo direttamente, il massacro di Aurora nel 2012, quando un ex dottorando di neuroscienze uccise 12 persone in un cinema che proiettava la prima de Il cavaliere oscuro – Il ritorno. Il regista mette in scena uno strano film borderline, dove i confini tra realtà e finzione sono molto sottili, in cui propone sei ritratti di persone attraverso cui ricostruire gli attimi precedenti che hanno portato al terribile evento. Né documentario, né cinema puramente di finzione, Dark Night mette in mostra il culto della violenza, delle armi, del corpo di una società che nasconde un cuore di tenebra dietro il benessere esibito delle villette a schiera e dei centri commerciali. Un’America votata all’autodistruzione che Sutton scandaglia privandosi di qualsiasi narrazione e affidandosi esclusivamente alla suggestione immaginifica. Ed è questo il maggior pregio e allo stesso tempo il maggior limite di un’opera bella ma un po' vuota che era uno degli eventi più attesi al Lido. (F.S.)
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Kékszakállú - Film - 2016Kékszakállú, di Gastón Solnicki (Argentina)



Il film argentino Kékszakállú diretto da Gastón Solnicki, pomposamente introdotto da un rimando ispirato all’opera di Béla Bartók Il castello di Barbablù, è uno di quei lavori che con molta magnanimità potremmo catalogare nel gruppo “film rimasti nella testa del regista”, perché l’unica cosa che emerge dalla visione è una cripticità ostentata vicina alla vacuità assoluta. Il lavoro è un susseguirsi di quadri statici dalla forte componente prospettica intervallati dal confuso muoversi di personaggi che entrano ed escono dalla scena, fino a focalizzarsi un minimo nel finale su una giovane donna. Il tema potrebbe essere quello dell’affacciarsi alle difficoltà della vita di un gruppo di giovani donne appartenenti alla borghesia argentina sullo sfondo, forse, di un periodo pregno di difficoltà sociali ed economiche. Unico aspetto positivo la durata del film: solo 71 minuti (per fortuna). (M.V.)

Koca Dunya - Big Big World - Film - 2016Koca Dünya (Big Big World), di Reha Erdem (Turchia)



Di nuovo una pellicola che indaga il mondo dell’infanzia per il regista turco Reha Erdem. Due adolescenti si rifugiano in un bosco per nascondersi dopo un terribile crimine, il loro affetto reciproco sembra sublimare nella natura che li circonda, che racchiude un piccolo mondo (volutamente in contrasto col titolo) in cui le brutture esterne appaiono escluse. Carico di un simbolismo e di un lirismo toccanti ma eccessivi, la pellicola di Erdem riprende l’approccio panico di Jin (a partire dalla giovane protagonista) pagando alcune debolezze di sceneggiatura. Manca in effetti l’essenzialità di lavori come My Only Sunshine e Times and Winds, nonostante una fotografia evocativa e la regia ispirata. (S.T.)
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Ku Qian - Bitter Money - Film - 2016Ku qian (Bitter Money), di Wang Bing (Hong Kong-Francia)



Ancora una storia di esistenze al margine della società per Wang Bing, che racconta le vite dei lavoratori del settore tessile nelle province industriali della Cina. Girata dal 2014 al 2016 con uno stile asettico ma sempre attento alla potenza visiva delle immagini, la pellicola accompagna i suoi protagonisti senza eclissare la figura dell’autore (che interagisce in scena), descrivendo le drammatiche condizioni lavorative dei personaggi, alla ricerca di quel denaro che si fa presto amaro. Una testimonianza che declina la narrazione al servizio delle argomentazioni, spesso sacrificando anche l’immediatezza della componente emotiva. Un cinema non sempre facile, ma potente e necessario. (S.T.)
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Cinema nel Giardino

The Net (Geumul), di Kim Ki-duk (Corea del Sud)



Ritorna a Venezia il grande regista coreano già insignito del Leone d'oro nel 2012 con Pietà. Protagonista un pescatore nordcoreano che per un guasto (apparente) alla sua imbarcazione è costretto a superare il confine con la Corea del Sud. Qui viene subito arrestato e indiziato come spia, salvo poi essere rispedito nella parte Nord. Il popolo lo accoglie come un trionfatore, mentre il regime nordcoreano ha qualche sospetto. C'è poca poesia e lirismo nella macchina da presa di Kim e anche la violenza, caratteristica delle sue pellicole, in The Net è ridotta al minimo. È un film sull'ideologia e sulla stupidità umana, sui soldi e sul loro potere di corruzione. Nient'altro da segnalare se non un finale buonista e una filosofia perbenista che poco soddisfa gli amanti del cinema di Kim. (D.P.)
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In Dubious Battle - Film - 2016In Dubious Battle, di James Franco (Stati Uniti)



Dopo William Faulkner, James Franco porta sul grande schermo un altro autore classico americano adattando un romanzo di John Steinbeck che come il suo capolavoro Furore mette al centro la lotta di classe. La vicenda di alcuni braccianti, raccoglitori di mele, che vengono sfruttati da un proprietario terriero. Sottopagati, prendono coscienza dei propri diritti con l'inserimento nelle loro vite di un gruppetto di radicali capeggiati dal carismatico Mac che guida i lavoratori allo sciopero. Personaggio interpretato dallo stesso Franco che confeziona con questo lungometraggio il suo miglior film. Un cast di grande livello (peccato solo che Bryan Cranston abbia solo una scena) per l'opera della maturità dell'eclettico James Franco come autore-regista. Ormai una delle voci più appassionate, politiche, coerenti nella proposta filmica, del cinema americano di oggi. (F.C.)
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My Art - Film - 2016My Art, di Laurie Simmons (Stati Uniti)



La fortuna artistica della Simmons è che non sa prendersi sul serio. Per raccontare la crisi di un'artista, costruisce una storia, a metà tra finzione e documentario, che diverte e intrattiene con note di humour e di pathos, soprattutto quando il cane della protagonista non è più capace di camminare a causa di una malattia. Questo miscuglio di battute e scene più serie, intervallate dalla reinterpretazione delle più famose sequenze del cinema da parte della protagonista in una sorta di tableau vivant, rendono la visione del film sempre viva e attenta. La Simmons, infine, nei panni della protagonista Ellie intenta a fumare uno spinello, vale l'intera visione. (D.P.)

 

Venezia Classici

David Lynch: The Art Life - Film - 2016David Lynch: The Art Life, di Jon Nguyen, Olivia Neergaard-Holm e Rick Barnes (Stati Uniti-Danimarca)




L’immenso David Lynch si racconta davanti la macchina da presa nel suo laboratorio di pittura e scultura a Los Angeles: dall’infanzia spensierata in una famiglia felice all’approdo nel mondo del cinema a Los Angeles, aprendo lo scrigno dei ricordi biografici e confessando le suggestioni di un mondo interiore che ritorna a galla dal passato e dietro cui si celano le scaturigini di un artista unico. Tra immagini delle creazioni pittoriche del regista, album di famiglia, filmati privati, il documentario mette a fuoco un ritratto intimo di Lynch agli inizi della sua carriera, in una forma lineare e divulgativa. Tutto bene se non fosse che di cinema lynchiano non c’è traccia: un breve accenno a Eraserhead e nulla più. Una mancanza non da poco per chi considera Lynch un motivo di interesse sotto il profilo di un artista che sarà ricordato soprattutto come un genio della settima arte. Propedeutico ma incompleto. (F.S.)
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Biennale College

Una Hermana - One Sister - Film - 2016Una Hermana (One Sister), di Sofìa Brokenshire e Verena Kuri (Argentina)



La sensazione è di un'occasione mancata. Narrando una storia poco originale - la ricerca di una ragazza della sorella scomparsa misteriosamente - le due registe avrebbero potuto proporre un punto di vista che catturasse l'attenzione dello spettatore. La narrazione, invece, si svolge lenta e prevedibile e gli unici momenti di interesse arrivano quando la macchina da presa cerca il presunto colpevole della scomparsa della ragazza. Questi, però, sono frammenti poco sviluppati, persi nel dubbio che la ricerca possa essere una metafora di rapporti familiari mancati e non sia mai realmente accaduta. Da segnalare l'ottimo senso dell'inquadratura delle registe che si evince nel loro cercare sempre un punto di osservazione visivo nuovo per ogni scena. (D.P.)
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Orecchie - Film - 2016Orecchie, di Alessandro Aronadio (Italia)



Nella prima parte facile e virato verso siparietti comici che suscitano ben più di una risata. Nella seconda parte, invece, volutamente drammatico. Uno squilibrio narrativo netto e poco motivato che incrina una storia nata da un interessante spunto narrativo, un dolore alle orecchie da parte del protagonista che nasconde un malessere più generale. Nell'ottica della maturazione il regista italiano ha grosso potenziale, perché si nota una chiara cifra registica. Ha bisogno di una produzione alle spalle e altro non potrebbe essere considerando che è un film della Biennale College - Cinema. (D.P.)

Mukti Bhawan (Hotel Salvation), di Shubhashish Bhutiani (India)



I personaggi principali del film potrebbero essere il nonno e il padre. Il giovane regista indiano per questo suo lungometraggio d’esordio porta in scena il rapporto tra un uomo ormai anziano, che sente l’arrivo della morte, e il figlio che lo accompagna (controvoglia) nella città santa di Varanasi. Generazioni a confronto, diverse dalla sua, delineate con credibilità e un tocco lieve, delicato che emoziona nella sua semplicità. Con la capacità, senza forzare emotivamente lo spettatore, di raccontare i sentimenti. Amplificati silenziosamente, grazie anche a una bella fotografia, dall’atmosfera spirituale che emana il Gange. (F.C.)

 

Giornate degli Autori – Venice Days

Caffè - Film - 2016Caffè, di Cristiano Bortone (Italia-Belgio-Cina)



È come un filo di cotone che viaggia attraverso l'Italia, la Cina e il Belgio e intesse storie e dinamiche di vita in apparenza senza alcun collegamento tra loro se non fosse per il caffè. La pellicola di Bortone, infatti, è un ritratto di questo mondo e allo stesso tempo una soluzione per riuscire a capirci qualcosa. Tra rapimenti, decisioni da prendere in poco tempo, lotte, discussioni e vite appese a un filo il caffè, espresso sia come valore che come riferimento, si intreccia alla violenza, alla prevaricazione, al gioco del più forte. Un film delicato e profondo, riflessivo e spietato, montato saggiamente in modo da porre le tre storie a confronto. (D.P.)

Pariente - Film - 2016Pariente, di Iván D. Gaona (Colombia)



Il cinema sudamericano conferma ancora una volta la sua interessante vitalità con Pariente, opera prima di Iván D. Gaona. Il regista recupera atmosfere da western, ambientando un dramma violento in un villaggio rurale della Colombia, incrociando un triangolo amoroso con la realtà della criminalità che si sviluppa nella piccola collettività. Nonostante l'approccio essenziale che include elementi della recente storia del Paese (come la presenza dei gruppi paramilitari) con una certa efficacia, la pellicola accusa una lenta involuzione narrativa che la accompagna fino al finale, soprattutto a causa della sceneggiatura che evidenzia diverse ingenuità e una regia non sempre sicura. (S.T.)

The Road to Mandalay, di Midi Z (Taiwan-Francia-Germania-Myanmar)



A volte per raccontare un dramma, basta la semplicità. In questa ottica ragiona il regista birmano, trasferitosi a Taiwan, che fissa la sua macchina da presa, priva i rapporti umani dei dialoghi e lascia in piccoli segni, piccoli gesti di cura l'amore tra i due protagonisti. Intorno l'inferno di una vita di transizione di fabbriche sporche e roventi, poliziotti corrotti e spostamenti infiniti tra autobus e viaggi in auto. Si sente l'odore della strada, si percepisce sulla pelle il sudore della disperazione, si sente il cuore in gola per l'attesa di un cambiamento. E poi la disperazione ritratta in volti senza emozioni. Questo perché la semplicità a volte è lo strumento più efficace. (D.P.)

Sameblood - Sami Blood - Film - 2016Sameblod (Sámi Blood), di Amanda Kernell (Svezia-Danimarca-Norvegia)



L’adolescente Elle-Marje (Lene Cecilia Sparrok) fa parte di una comunità lappone di allevatori di renne, oggetto di discriminazione e politiche razziali nella Svezia Anni ’30. Nonostante l’orgoglio della piccola minoranza a cui appartiene, la giovane sogna un futuro di integrazione per cui è disposta a sacrificare anche i propri affetti. Alla sua opera prima Amanda Kernell dirige un dramma intenso e coraggioso, privo di retorica e facili sentimentalismi. Anche se l’impostazione classica risulta in parte prevedibile nello sviluppo narrativo, la regista riesce a creare un’atmosfera di grande emotività attraverso un approccio minimalista ma visivamente solido, supportato anche dalla pregevole fotografia. Quello che però colpisce è senza dubbio l’interpretazione della piccola protagonista, che conferisce al personaggio autenticità e spessore, rendendo il suo ruolo uno dei punti di forza del film. (S.T.)

Pamilya ordinaryo - Ordinary People - Film - 2016Pamilya ordinaryo (Ordinary People), di Eduardo Roy Jr. (Filippine)



Giunto al suo terzo lungometraggio, il filippino Eduardo Roy Jr. racconta ancora una volta una storia di emarginazione e povertà nei sobborghi della sua Manila. Una coppia di adolescenti squattrinati perde il figlio concepito in clandestinità, inizia quindi un'odissea di disperazione fra le vie di una città ostile e indifferente alla ricerca del bambino. Partendo da una storia vera (il fenomeno dei rapimenti e della vendita dei neonati è particolarmente radicato nella zona), il regista confeziona un dramma dal taglio antropologico di grande impatto, che tratta il tema dell'infanzia negata con doloroso realismo, senza cedere quasi mai a facili eccessi emotivi. Attraverso l'ambiente urbano della metropoli, ripreso con distacco quasi entomologico, la pellicola restituisce un ritratto sincero e doloroso di esistenze anonime e ignorate, a cui l'autore cerca di dar voce. (S.T.)

 

Settimana della Critica

Prank - Film - 2016Prank, di Vincent Biron (Canada)



Tre adolescenti annoiati e senza stimoli realizzano scherzi e bravate filmandosi con i propri cellulari. Il giovane e solitario Stefie (Étienne Galloy) entra casualmente in contatto con lo squinternato gruppo, affascinato dall'irrequietezza delle loro vite e dall'attrazione verso la bella Léa (Constance Massicotte). L'esordiente Vincent Biron (al debutto dopo aver curato la fotografia di molti lavori) realizza un insolito coming of age con influenze punk, che alterna tristezza e divertimento con sfrontata anarchia. Pur rifacendosi a un filone ampiamente sfruttato, il regista canadese imprime un'energia e una vitalità apprezzabili, nonostante alcune ingenuità narrative che rendono la storia a tratti prevedibile. Si avverte però un grande amore per il cinema (come emerge dai simpatici inserti che richiamano pellicole iconiche della cultura pop), unito a uno sguardo tagliente sui giovani. Un'opera prima interessante che, fedele al suo titolo, non risparmia momenti di dissacrante ironia. (S.T.)


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