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Far East Film Festival 2016: bilancio finale

Shuichi Okita e Ryuhei Matsuda - FEFF 18 - ConclusioniL’edizione numero 18 ha confermato la forza e la magia di un festival che è la mecca di chi ama il cinema, la città dei balocchi dell’appassionato di cinematografie bellissime e sorprendenti, il convergere di passione e di genuini interessi, il sogno di chiunque vorrebbe vivere la sua vita davanti ad uno schermo in attesa di qualcosa che meravigli e stupisca

Nel tripudio riservato a Sammo Hung, personaggio leggendario del cinema di Hong Kong e della arti marziali, si è chiusa la 18° edizione del Far East Film Festival che ha degnamente festeggiato la sua maggiore età con una rassegna che ha visto una partecipazione notevole di appassionati da tutto il mondo. Il riconoscimento (era ora…) da parte del Ministero dei Beni Culturali, per la prima volta partner istituzionale del festival, ha finalmente sancito il valore culturale della rassegna di Udine, sempre più principale polo di riferimento in Occidente per il cinema dell’Estremo Oriente.

Sammo HungParliamo di premi. Accenniamo brevemente ai premi, visto che l’importanza del Festival ormai va ben oltre, direi ,anzi, prescinde, dal podio decretato dagli spettatori.
Il film vincitore, A Melody to Remember, dimostra che anche quest’anno al Festival ha fatto breccia il film dai forti sentimenti: le analogie col vincitore dello scorso anno, Ode to My Father, sono evidenti e lasciano chiaramente intendere il gusto del pubblico. Come spesso succede per i vincitori, il lavoro coreano non è certo il migliore film visto, ma di fronte al suffragio universale bisogna alzare le braccia ed accettare il responso. Ancora più stupore, al limite dello sconcerto, provoca la scelta del film giunto sul secondo gradino: Sori: Voice from the Heart è una favola moderna che miscela tecnologia e sentimenti in maniera anche un po’ furbetta e che è il classico film da famigliola al cinema, indubbiamente ben fatto ma dai contenuti piuttosto deboli. Il giapponese Shuichi Okita con Mohican Comes Home impedisce alla Corea di ripetere il tris dello scorso anno, giungendo terzo e ricevendo tra l’altro il premio da parte degli accreditati Black Dragon quale miglior film: tra i tre è sicuramente il lavoro migliore, grazie allo stile personale del regista giapponese.
Detto che il giapponese Bakuman di Hitoshi One vince il premio dei lettori di MyMovies, possiamo archiviare il palmares, con un piccolo e onesto consiglio: forse è il caso di riesaminare il sistema di assegnazione dei voti, cercando di ponderare meglio la media.

La magia del FEFF. Cosa rimane quindi del FEFF una volta lasciata una Udine che quest’anno nel volgere di nove giorni ci ha offerto un clima che spaziava dall’estate piena all’inverno profondo?
Dicevamo che il FEFF ha raggiunto ormai un tale livello di partecipazione che il suo aspetto puramente artistico legato ai film selezionati è nettamente secondario a quello dell’happening: se ipoteticamente per un qualsiasi motivo le 70 pellicole in programma fossero tutte nefandezze, Udine varrebbe sempre e comunque il viaggio, perché il FEFF è la mecca di chi ama il cinema, è la città dei balocchi dell’appassionato di quelle cinematografie bellissime e sorprendenti, è il convergere di passione e di genuini interessi, è il sogno di chiunque vorrebbe vivere la sua vita davanti ad uno schermo in attesa di qualcosa che meravigli e stupisca.
Ed ecco allora che al FEFF è quasi più importante chi puoi incontrare piuttosto cosa vedere, perché quel magico legame che salda persone che si vedono per soli 10 giorni l’anno diventa sempre più indissolubile.
Il FEFF è la passione che vince sul divismo e che ti consente di sederti accanto al regista o all’attore, di toccare con mano leggende viventi. È il cinema che sa vivere senza i freddi Red Carpet. È un teatro splendido dove anche il posto in piccionaia ha il suo segreto fascino. Il FEFF è insomma il meeting che vive di cinema, di passione e basta e che sa regalare film che altrimenti non vedresti mai, belli o brutti che siano.

Film e ospiti. La qualità della rassegna di quest’anno è stata in linea con le aspettative, presentandoci lavori attraverso i quali sembrano scorgersi tematiche sempre più consolidate nel cinema orientale (la nostalgia per il passato e per l’adolescenza ad esempio, oppure la difficoltà dei rapporti personali in un ambiente globale che tende ad allontanare).
Tra gli ospiti, come sempre numerosi, ha brillato la presenza del grande Johnnie To e di Sammo Hung, ma abbiamo scoperto anche nuovi e vecchi personaggi come Nobuhiro Obayashi o l’ex Bad Guy di Kim Ki-duk, in veste di regista, Cho Jae-hyun, che con la sua presenza ha fatto scorrere dei brividi sulla schiena di molti al solo ricordo di quel personaggio, il simpaticissimo cast filippino di Apocalypse Child e la magnifica Lang Yueting, star nascente del cinema cinese.

I magnifici tre. Concludo costruendo il mio personalissimo ed inutile podio, tanto per esporsi: The Dead End di Cao Baoping (tra i registi più interessanti cinesi, film cupo e anche difficile), Mohicans Comes Home di Shuichi Okita e Destiny di Zhang Wei sono stati i tre lavori che maggiormente ho apprezzato.
Il FEFF è appena finito, ma già comincia il countdown per l’anno prossimo: è la forza e la magia di questa rassegna in una città che ormai tutti consideriamo per un piccolo pezzo anche nostra.




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Massimo Volpe

"Ma tu sei un critico cinematografico?" "No, io metto solo nero su bianco i miei sproloqui cinematografici, per non dimenticarli".

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