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Venezia 72, premi e riflessioni finali: l'occasione sprecata

© la Biennale di Venezia - Foto ASACUn palmares deludente e miope chiude la 72esima Mostra del Cinema di Venezia: un’edizione che ha mostrato più ombre che luci, ma in cui non sono mancati sprazzi di grande cinema. A cominciare da Francofonia di Aleksandr Sokurov e soprattutto Behemoth di Zhao Liang, due film unici ed ‘epocali’ che avrebbero restituito alla Mostra la sua antica vocazione di scoperta e autorialità in grado di parlare a tutti

Un palmares (pre)meditato? È la domanda che sorge spontanea insieme agli altri compagni della spedizione Venezia 72 (Davide e Massimo sempre al fianco, oltre a Simone, Fabio e Caterina, grazie a tutti) con cui abbiamo condiviso avventure dello sguardo sugli schermi del Lido, scorribande notturne ai limiti del felliniano e sguardi indiscreti su un campionario umano a volte da brividi altre volte da ridere intorno alla visione dei film.

© la Biennale di Venezia - Foto ASACI dubbi sulle scelte di Cuarón. Scriviamo (pre)meditato perché prima la scelta come presidente di giuria di Alfonso Cuarón (uno dei cosiddetti ‘tres amigos’, ovvero lui, Alejandro Gonzales Inarritu e Guillermo del Toro, i tre messicani che hanno conquistato Hollywood), poi alcune affermazioni da parte del direttore della Mostra Alberto Barbera alla vigilia del festival (“Personalmente credo che il ruolo di locomotiva che ha avuto per una decina di anni il cinema dell’Estremo Oriente ora ce l’abbia il Sudamerica”), infine il palmares con due dei premi più importanti andati al venezuelano Desde allá dell’esordiente Lorenzo Vigas (Leone d’oro) e all'argentino El Clan di Pablo Trapero (Leone d’argento per la miglior regia), fanno sorgere più di un sospetto sul fatto che ci sia stata la volontà da parte della giuria e soprattutto del suo presidente di assecondare la linea tracciata dal programma della kermesse lidense. Qualcosa di simile successe con Bernardo Bertolucci nel 2013, quando si scelse di premiare Sacro GRA (il peggior lavoro di Gianfranco Rosi), scontentando tutti, nell’anno in cui la Mostra puntò molto sul cinema documentaristico, rappresentato da ben tre film in concorso. Sappiamo bene che Venezia 72 era nata all’insegna di un azzardo, come scrivevamo il giorno in cui venne rivelato il cartellone della kermesse: cioè quello di scommettere su un mix di grandi cineasti, star hollywoodiane, registi emergenti con l’obiettivo dichiarato di sorprendere, di imporre all’attenzione un nuovo modo di fare cinema e nuovi autori. Barbera lo ha sottolineato anche ieri, in occasione dell’incontro con la stampa per trarre un bilancio del festival appena concluso: “C’è una linea precisa della Mostra di Venezia - ha affermato il direttore - che è la scoperta di nuovi autori, tanto più in un momento in cui tutta una generazione di vecchi maestri sta venendo a mancare o è in crisi di ispirazione. Ci sono due modelli possibili di festival: la vetrina dell’esistente, con il passaggio di ciò che sta per uscire in sala, o quello del lavoro di ricerca e valorizzazione di ciò che ancora non è noto, il che non vuol dire non poter poi invitare i grandi film hollywoodiani”.

Due assi rimasti nella manica. Il modello di Venezia sembra quindi in antitesi a quello di Cannes, un festival che sembra sempre più appiattito sul già noto. Tutto bene, anzi benissimo direttore. Peccato però che alcune scelte in fase di selezione non si siano rivelate all’altezza delle intenzioni iniziali e che, cosa ancora più grave, la giuria non sia stata in grado di intercettare quelle opere capaci veramente di esaltare la natura di un festival antico e moderno come vuole essere Venezia. Appare incomprensibile e sciagurata la miopia con cui la giuria non si è dimostrata nelle condizioni di riconoscere la struggente bellezza e modernità di due film che riscrivono le coordinate del cinema: ci riferiamo a Francofonia di Aleksandr Sokurov e all’inaspettato Behemoth di Zhao Liang, quest’ultimo un non-documentario che smentisce la tesi secondo cui il cinema asiatico non sia più foriero di nuovi bradisismi. SokurovZhao hanno regalato al festival due film che portano le immagini in una nuova forma di racconto in cui finzione, documentario e videoarte si fondono per raccontare l’uomo e il suo presente come poche volte ci è capitato di vedere sullo schermo. Due di quei film che oseremmo definire ‘epocali’, che segnano un prima e un dopo nel cinema come solo le grandi opere (i capolavori?) possono fare. Difficile per qualsiasi cinefestival avere la fortuna di trovarsi tra le mani due ‘scoperte’ così prepotenti in una sola annata. Per dirla in altre parole, erano gli unici film in grado di restituire alla Mostra la sua antica vocazione di scoperta e autorialità, come peraltro era nelle intenzioni di Barbera, quella che la rende unica nel panorama festivaliero.

Palmares deludente. Ma le cose sono andate diversamente, e Cuarón e soci hanno preferito dare il massimo riconoscimento ad un film, quello di Vigas (finito quintultimo nel pagellino della critica italiana e internazionale…), che sì, mostra un talento registico inusuale ma che non aggiunge nulla di nuovo al nostro bagaglio di spettatori con le sue geometrie visive e narrative che ricordano quelle di Pablo Larrain, mentre El Clan di Trapero meritava tutto tranne che il premio per la miglior regia, essendo un film che funziona benissimo soprattutto a livello narrativo. Per fortuna che i giurati si sono almeno ricordati di Anomalisa (Gran Premio della Giuria), altro film moderno che trascina l’animazione fuori dai confini tradizionali in cui è stata rinchiusa per troppo tempo. Generosa la (seconda) Coppa Volpi - la terza di fila a un’attrice italiana: ormai sembra quasi diventato un ‘premio consolazione al cinema italiano’ - a Valeria Golino per l’interpretazione di Per amor vostro di Giuseppe M. Gaudino (Catherine Frot meritava il riconoscimento per Marguerite), giusta quella a Fabrice Luchini per la prova in L’hermine di Christian Vincent (che porta a casa anche il premio come miglior sceneggiatura). Con il Premio Speciale della Giuria a Frenzy di Emin AlperCuarón e la sua giuria sono riusciti nell’impresa di ribaltare i giudizi della stampa, premiando un altro film finito in fondo alle preferenze dei critici.

© la Biennale di Venezia - Foto ASACCosa resta di Venezia 72? L’impressione finale è di un’occasione sprecata, tra alcune cose buone ed altre meno. Tra le prime, la voglia di puntare su una selezione che voleva prendersi i suoi rischi, mescolando cinema di ricerca e film più convenzionali di stampo hollywoodiano. Bisogna poi lodare due iniziative: Il Cinema nel Giardino (nato quest'anno con l'intenzione di aprire il festival a tutti con film e incontri gratuiti) e la Biennale College, che continua a sfornare opere dietro cui si celano talenti (quest’anno ci ha colpito positivamente un piccolo-grande film, Blanka di Kohki Hasei). Quello che non abbiamo digerito è stato il nome scelto come Presidente di Giuria che poi ha prodotto il disastro sotto gli occhi di tutti: per quanto Cuarón sia un discreto regista, magari anche cinefilo come alcuni raccontano, crediamo che un festival come Venezia abbia bisogno di una guida autorevole, come lo è stato Michael Mann alcuni anni fa, una guida a cui possibilmente fornire delle indicazioni su cosa deve essere un palmares in stile Venezia. Se proprio si vuole scegliere un regista di estrazione hollywoodiana per non intimorire le grandi produzioni USA, meglio puntare su nomi come Martin Scorsese, Brian De Palma, Francis Ford Coppola, che prima di diventare registi sono stati spettatori onnivori e grandi conoscitori del cinema. Quanto alle scelte fatte per il programma, ci sono state più ombre che luci: troppi sedici registi per la prima volta in concorso a Venezia. Molti registi emergenti hanno deluso (inutile fare l’elenco, il nostro pagellino parla chiaro): siamo proprio sicuri che sia giusta la filosofia del “meglio un film brutto diretto da un regista poco noto ma con grandi potenzialità piuttosto che un’opera minore di un autore già affermato”? La risposta è no: un errore lasciare ad altri festival autori come Terence Davies, Johnnie ToHong Sang-soo e Andrzej Zulawski.

© la Biennale di Venezia - Foto ASACGli errori da non commettere con il Barbera ‘tris’. Se Barbera verrà riconfermato per un altro anno come ha anticipato nelle ultime ore il Presidente della Biennale Paolo Baratta, ci aspettiamo un cambio di rotta. Va bene la rappresentazione del nuovo, ma urge migliorare il lavoro di diplomazia e soprattutto di scouting, magari cambiando alcuni componenti del comitato di selezione che in questi primi quattro anni della seconda era Barbera hanno lasciato molto a desiderare su alcune scelte e che sono sembrati espressione di un vecchio modo di intendere i festival. Inoltre bisognerebbe cercare di riequilibrare un po’ il baricentro della Mostra tra la spinta alla scoperta (tipica di festival più di nicchia come Rotterdam) e lo spazio dato ai grandi autori, riportando al Lido alcuni registi affermati che hanno scelto altre sponde in questi ultimi anni, ad esempio Locarno, Toronto e Cannes, dove addirittura ci sono registi che pur di essere selezionati preferiscono andare nelle sezioni collaterali. Possibile non si riesca a convincere un Miguel Gomes a venire a Venezia piuttosto che metterlo nelle condizioni di accettare persino la Quinzaine des Réalisateurs cannense?
Ecco caro direttore, è arrivato il momento di tirare fuori gli artigli di quel leone d’oro che aspetta di essere conteso sempre e solo da registi degni di competere a Venezia.

I premi di Venezia 72

Leone d'Oro miglior film:
Desde Allá / From Afar di Lorenzo Vigas

Leone d'Argento miglior Regia: Pablo Trapero per El Clan

Gran Premio della Giuria: Anomalisa di Charlie Kaufman e Duke Johnson

Coppa Volpi migliore attore: Fabrice Luchini per L'Hermine

Coppa Volpi migliore attrice: Valeria Golino per Per amor vostro

Premio Marcello Mastroianni miglior attore emergente: Abraham Attah per Beasts of No Nation

Premio per la miglior sceneggiatura: Christian Vincent per L'Hermine

Premio Speciale della Giuria: Abluka di Emin Alper

Leone del Futuro, Premio Luigi De Laurentiis per un'Opera Prima: The Childhood of a Leader di Brady Corbett

Premio Orizzonti per il miglior film: Free In Deed di Jake Mahaffy

Premio Orizzonti miglior regia: Brady Corbett per The Childhood of a Leader

Premio Speciale della giuria Orizzonti: Boi Neon di Gabriel Mascaro

Premio Speciale Orizzonti per il migliore attore: Dominque Leborne per Tempête

Premio Orizzonti miglior cortometraggio: Belladonna di Dubravka Turic

Premio Venezia Classici per il miglior documentario sul cinema: The 1000 Eyes of Dr. Maddin, di Yves Montmayeur

Premio Venezia Classici per il miglior film restaurato sul cinema: Salò o le 120 giornate di Sodoma, di Pier Paolo Pasolini


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