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Far East Film Festival 2015: diario, foto e video del primo week-end

Prime visioni, immagini e video della 17esima edizione della rassegna di Udine: dalle arti marziali a storie di sesso e amore, presentati tra gli altri La La La at Rock Bottom di Nobuhiro Yamashita, Women Who Flirt di Pang Ho-Cheung, Kabukicho Love Hotel di Ryuichi Hiroki, Kung Fu Jungle di Teddy Chen

25/4
Si arriva ad Udine che è ancora freschissima la eco dei due eventi che segneranno la storia del Far East Film Festival 17, il concerto di Joe Hisaishi e la presenza del grande Jackie Chan alla proiezione di Dragon Blade.
In sala si comincia con il lavoro del giapponese Nobuhiro Yamashita (presente alla proiezione), La La La at Rock Bottom, film sulla redenzione che passa attraverso la musica per un fallito cui una botta in testa ha causato un’amnesia retrograda totale. Solo la musica sembra poter scacciare i fantasmi del passato che, nonostante tutto, riaffiorano alla mente del protagonista.
In prima serata con il pubblico delle grandi occasioni viene proiettato Women Who Flirt dell'ormai di casa ad Udine Pang Ho-Cheung, stavolta però non presente al Festival: commedia brillante con un bel pizzico di istrionica ironia che se la prende con le donne che fanno le civette e con i maschi un po' ‘tardi’. È soprattutto la prova di Zhou Xun e Huang Xiaoming, bene spalleggiati da bei personaggi di contorno, che colora di tinte vivaci il film di Pang, che magari non punge più come qualche anno fa ma riesce comunque a dirigere un lavoro divertente e piacevole.
Segue il coreano Confession di Lee Do-yun, il racconto di un’amicizia che nasce ai tempi della scuola e che si trascina fino ad oggi: i tre protagonisti vedono le loro vite cambiare quando un progetto fraudolento finisce male e mette inevitabilmente a repentaglio decenni di rapporti fraterni. Come opera prima il film sorprende per la maturità (forse anche troppa) sebbene il regista troppo spesso si adagi su canoni molto convenzionali lasciando da parte un po' di coraggio che avrebbe giovato.
Come sempre il primo giorno è il più duro tra viaggio e sistemazioni varie, quindi a mezzanotte bella e scoccata si va a casa, rinunciando al primo dei lavori non asiatici, provenienti dal Festival di Sitges, l'ucraino The Tribe, forte delle sue due ore e un quarto.

26/4
I dieci minuti della camminata mattutina per raggiungere il Teatro Nuovo è uno dei momenti più belli dell'intero Festival, in una città che ben si gode i tre giorni di festa e che alle 9 è quindi praticamente deserta: anche il rito della colazione consumata tra i simpatici udinesi che sorseggiano Prosecco è resa difficile dalla chiusura di molti negozi. Ad ogni modo, per l'inizio della proiezione mattutina le batterie sono cariche e pronte all'uso in una delle quelle giornate che fa tradizionalmente registrare il pienone di presenze.
Si comincia con il taiwanese Second Chance di Kung Wen-Yen, un film che richiama alla mente vecchie pellicole dei tempi andati in cui un ex campione di biliardo, ora ubriacone e sfigato, ritorna in pista dapprima come coach per la nipote e poi in prima persona per salvare la casa ed il locale da gioco di biliardo che il fratello morto ha lasciato ai due.
Rivalsa e legami famigliari, rinascita morale e affermazione personale permeano un lavoro ben diretto, con begli scorci taiwanesi, sebbene piuttosto convenzionale.
Va quindi in scena il drammone Ode to My Father del coreano JK Youn, un racconto sciorinato lungo lo scorcio di sessanta anni a partire dalla guerra di Corea fino ai giorni nostri, di fatto sotto forma di flashback lunghissimi alternati a brevi parentesi contemporanee: film in bilico perennemente tra storia e sociale, ha anche buone premesse ma poi sembra voler perdersi fino ad annegarsi un eccesso di lacrimosità che appare, a tratti, addirittura eccessivo e ricercato. Di sicuro si pone, sulla scorta del film vincitore l'anno scorso (The Eternal Zero), da subito come uno dei favoriti alla vittoria finale.
Il pomeriggio è aperto dal lavoro di Ryuichi Hiroki Kabukicho Love Hotel che, è bene dirlo subito, rispetto agli ultimi lavori dello stesso regista è quasi un capolavoro, pur risultando in assoluto non certo da tramandare ai posteri. Tutta la storia è ambientata in un Love Hotel di Tokyo dove sprazzi di umanità, descritta con la solita tendenza alla incomunicabilità e con un po' di ironia, lampeggiano come le luci al neon del quartiere a luci rosse. Tutto concepito all'interno dello stesso spazio, appunto l'albergo, il film ha dei buoni momenti ed una durata però eccessiva che non trova spiegazione se non nei tempi fin troppo dilatati: come ha detto la direttrice Sabrina Baracetti alla presentazione in compagnia del regista, "film di sesso e di amore", e mai definizione fu più azzeccata.
Dopo il trionfo di due anni fa, torna a Udine il regista coreano Lee Won-suk: l'altra volta con la fresca commedia demenziale, quest'anno con un lavoro di tutt'altro spessore: film storico in costume ad alto budget e con buoni attori, The Royal Tailor racconta del sarto incaricato ufficialmente di preparare gli abiti per il re e del suo stravagante collega tutt'altro che regale che introduce il suo stile sfrontato nella moda coreana di corte e non solo. Inizio quasi da commedia brillante per un film che ben presto si poggia più pesantemente su toni più drammatici con un sottile sottointeso di critica verso il conformismo.
È quindi la volta di Teddy Chen e del suo Kung Fu Jungle, film di arti marziali moderno, forse tra i più classici degli ultimi anni, che ci tiene a sottolineare questo suo riferimento nei titoli di coda in cui omaggia numerosi personaggi che nel cinema delle arti marziali di Hong Kong hanno lavorato per anni.
La storia è il duello a distanza tra Donnie Yen, ex maestro marziale, e un serial killer che utilizza varie tecniche di combattimento per uccidere: può essere il kung fu un mezzo per uccidere? Oppure è come dicono da sempre i maestri anzitutto un percorso interiore? La chiave del film sta tutta qui, tra scene ben costruite e aspetti tecnici pregevoli.
Si termina con film di Singapore Rubbers di Han Yew Kwang. Chi si aspetta qualcosa che richiami alla mente l'immancabile Cat III hongkonghese - che ogni anno fa capolino sugli schermi del FEFF - rimarrà deluso: tante chiacchiere, tante situazioni demenzialmente piccanti e poco mordente, in un film che sembra foraggiato dalle azienda produttrici di profilattici che sono i veri protagonisti del film tra vibratori, MILF arrapate, pornostar e , ovviamente, preservativi parlanti.
Il primo week-end è andato, è arrivata anche la pioggia e domani è un altro giorno.

Vai allo Speciale FEFF 17: tutti gli aggiornamenti da Udine.




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Massimo Volpe

"Ma tu sei un critico cinematografico?" "No, io metto solo nero su bianco i miei sproloqui cinematografici, per non dimenticarli".

1 commento

  • OtakuOn
    OtakuOn Lunedì, 27 Aprile 2015 17:29 Link al commento Rapporto

    Questi primi giorni sono stati entusiasmanti, sia a livello di ospiti che di qualità dei film (forse mi ha un po' deluso Yamashita che adoro fin dai tempi del mitico Linda Linda Linda, ma pazienza...). Speriamo che il festival continui così! :)

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