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Festival di Roma 2014: considerazioni finali

Bilancio della nona edizione del Festival del Film di Roma: cosa ha funzionato e cosa no, quali film ci hanno convinto di più, il ruolo di Marco Muller e il futuro della rassegna

Cala il sipario sul 9° Festival del Film di Roma che ci porta una certezza inconfutabile: Marco Muller, dopo tre anni, non sarà più il direttore della manifestazione. Quello che da un po’ covava sotto le ceneri attraverso mezze parole, ammissioni e timide prese di posizione è divenuto praticamente ufficiale con le dichiarazione di addio con cui Muller ha chiuso la Cerimonia di Premiazione.
Oltre a questa certezza, il sipario che cala lascia dietro di sé invece una messe di incertezze preoccupanti sul futuro di un festival sempre più ostaggio, come ogni attività italica, e a Roma in particolare, delle beghe da cortile della politica e delle lotte di potere.
Per tutta la rassegna, a partire dalla conferenza stampa di presentazione, abbiamo udito la stucchevole, noiosa e paradossale diatriba semantica sulla dicotomia Festival-Festa che è stata sicuramente la motivazione principale che ha portato al mancato rinnovo del contratto per Marco Muller. Ma questa polemica sterile è stata di fatto l’elemento che ha condizionato, già a partire dallo scorso anno, l’attività della rassegna romana: lo stesso Direttore ne dà conferma quando afferma che ogni volta la sua attività è potuta cominciare solo a giugno, in evidente ritardo coi tempi necessari per la buona riuscita di una kermesse cinematografica che passa necessariamente attraverso il lavoro di selezione delle pellicole.
Tre anni fa Muller, proveniente dalla straordinaria esperienza veneziana durata otto anni che ha rilanciato in maniera vigorosa la reputazione della Mostra del Cinema, veniva chiamato, si badi bene da altri amministratori locali di colore diametralmente opposto a quelli in sella ora, per dare una identità ad un Festival giovane che cercava qualità, spazio e visibilità; di fatto però in nessuna delle tre rassegne dirette lo stesso Muller ha potuto lavorare come sa per tutta una serie di problemi, sebbene la sua mano, almeno in parte, si sia vista subito fin dal primo anno. Ora però che l’ideologia populista qualunquista domina incontrastata, l’esperienza e la competenza di Muller diventano di impaccio e lo stesso Muller probabilmente non era in grado di assicurare ai potentati politici quello che gli si chiedeva e cioè il ritorno ad una Festa popolare, quasi si stesse parlando di sagre paesane.La fine del rapporto non poteva essere evitata dunque. Rimane il rimpianto di avere avuto per tre anni un fuoriclasse alla guida del Festival al quale non è stato permesso di esprimersi secondo le sue ben note ed apprezzate qualità.
Il futuro è grigio e fra poco inizierà il balletto sulla nomina del nuovo Direttore che sarà un’inequivocabile e formidabile cartina di tornasole sulle scelte programmatiche che verranno in seguito. Varrà la pena vigilare perché temo ne vedremo delle belle tra proposte avanzate da figure istituzionali che si auspicano una unificazione con il Roma Fiction Festival e deliranti progetti di festival itinerante.
Passando all’aspetto artistico che, si badi bene, è stretta conseguenza di quanto detto finora, la qualità ha lasciato alquanto a desiderare (e questo in un Festival ci può stare): quello che sconcerta è la scelta dei film di apertura e chiusura che non troverebbero spazio in alcun festival degno di tal nome, oltre alla pletora di film italiani, di qualità mediamente scadente e alla decisione di presentare svariati lavori che dopo pochi giorni sarebbero usciti nelle sale.
Quanto di buono si è visto è quasi tutta farina del sacco di Muller e del suo team, grazie alla stima che gode nel panorama cinematografico mondiale: Angels of Revolution di Aleksey Fedorchenko, Os Maias di Joao Botelho e As the Gods Will di Takashi Miike, sono risultati i lavori più validi, ma degni di menzione, in un cartellone piuttosto deludente, sono stati anche 12 Citizens di Xu Ang, Phoenix di Christian Petzold e We Are Young. We Are Strong. di Burhan Qurbani, oltre all’evento che ha visto Walter Salles presentare il work in progress Jia, un gars de Fenyang, con il grande regista cinese Jia Zhang-ke ospite del Festival.
Ultimo accenno all’aspetto organizzativo: il programma è risultato ostico per quanto riguarda la pianificazione delle visioni con spesso anche tre o quattro proiezioni per la stampa in contemporanea, inoltre la pletora di film presentati nel week end è sembrata incomprensibile e l’interminabile spazio morto che andava tra la fine delle proiezioni del mattino e l’inizio di quelle pomeridiane è sembrato francamente eccessivo.
Discorso a parte meriterebbe la decisione di demandare al voto del pubblico l’assegnazione dei premi: per esperienza diretta posso dire che non più del 20% delle persone che uscivano dalle sale si è prestata al sistema di voto che era sì informatizzato, ma alquanto farraginoso e con poche postazioni presenti: su questo gli organizzatori si sono ben guardati dal comunicare il dato dei votanti, ma il fondato sospetto che possano aver vinto film che sono stati votati da 30-40 persone al massimo aleggia prepotentemente.
Annotazione finale che è specchio della ancora scarsa considerazione che detiene il Festival di Roma: assenza quasi totale dei media stranieri (in netto calo rispetto all’anno scorso), copertura della stampa generalista italiana dei grandi quotidiani molto discontinua, delegazioni dei vari film spesso assenti.

Ma non disperiamo, l’anno prossimo sarà una Festa, tutto sarà più bello, e Marco Muller, unico baluardo fino a ieri di un cinema di qualità, se ne starà comodamente ad osservare sulle sponde elvetiche del Lago Maggiore.

Massimo Volpe

"Ma tu sei un critico cinematografico?" "No, io metto solo nero su bianco i miei sproloqui cinematografici, per non dimenticarli".

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