Extra festival ed eventi: speciali, interviste e approfondimenti

Ti trovi qui:HomeFestival ed eventiExtra festivalAsian Film Festival 2014: l'inizio

Asian Film Festival 2014: l'inizio

Dall'atteso film di apertura Shield of Straw di Takashi Miike allo sperimentale Distant di Yang Zhengfan: il nostro resoconto sui primi titoli presentati alla rassegna di Reggio Emilia

Dopo attese, conferme, smentite, rinvii, è partita finalmente la XII edizione dell’Asian Film Festival di Reggio Emilia.
All’inaugurazione, tenuta dalla Presidente di Palazzo Magnani Avde Iris Giglioli, in sostituzione del direttore del festival Antonio Termenini, assente per motivi personali, oltre a un agguerrito pubblico di affezionati, presenziava il vero motore di questa edizione, l’infaticabile Graziano Montanini ben coadiuvato da un nutrito gruppo di volenterose e sane ragazze reggiane.
Nell’esprimere soddisfazione per essere riusciti, anche in un periodo economicamente buio come questo, a far decollare la rassegna, la Presidente Giglioli ha ricordato l’importanza di mantenere vivo un piccolo ma significativo festival come questo, specialmente in una regione quasi priva di concorsi cinematografici, come l’Emilia Romagna.
Applausi, aperitivo, breve concerto di musica ispirata alla tradizione Birmana e via con il film d’apertura Fuori Concorso: Shield of Straw dell’inesauribile Takashi Miike. La mano del Maestro si rivela fin dalle prime sequenze: una sessione di tiro a segno in un bunker della Polizia. Il montaggio, il fumo onirico dalle armi, i diversi rumori degli spari in soggettiva e in presa diretta, dimostrano come, quando dietro la macchina da presa c’è invenzione e tecnica, la differenza si nota. La storia è promettente: un maniaco omicida e stupratore di bambine si consegna alla Polizia per sottrarsi a una morte che la taglia di un milione di yen, messa sulla sua testa dal nonno di una delle vittime, ha reso appetitosa per chiunque. Un manipolo di poliziotti scelti lo deve scortare fino a Tokyo. Riusciranno i nostri eroi a portare a termine la missione contro una folla di potenziali assassini? Peccato che alle belle premesse corrisponda poi una sceneggiatura non troppo brillante, con diversi momenti inutili che appesantiscono ancor più un ritmo già latente. La sicura mano di Miike, poi, si limiti alla… sicurezza, appunto, riservando solo in pochi momenti quei guizzi di originalità che per fortuna non mancano quasi mai, anche nelle sue opere minori. Buon intrattenimento, alla fine, in un’opera che si può scaffalare tranquillamente tra le meno personali del geniale e 'maniaco' regista nipponico.
Qualsiasi confronto col seguente taiwanese 100 Days sarebbe immorale. Il regista americano Henry Chan dirige una commedia che ha la naïveté zuccherosa e leziosa di una soap per educande. Per uno che ha diretto anche episodi di Scrubs, una tale nefandezza noiosa e inconsistente è qualcosa d’inspiegabile, se non con una lieve ischemia non rilevata o un ingaggio molto ben remunerato. Ho resistito fino alla fine solo perché era il primo giorno del festival.

Il secondo giorno sarebbe stato da consigliare a tutti coloro che avessero voluto provare i ritmi delle Mostre del Cinema più famose: cinque film in programma, a partire dalle 14 e 30.
Step Back to Glory dell’esordiente Chang Po-Jui è un classico sport movie, con tutto l’armamentario di storie parallele degli sportivi, numi avversi, desiderio di riscatto e immancabile trionfo finale. Ben girato e con interpreti eccellenti (alcune vere atlete della disciplina) si segnala soprattutto per la scelta dello sport, bizzarro e assai poco noto: il tiro alla fune femminile. Mi sono sorpreso leggendo che il film è ispirato a una storia vera e che le finali, in cui il team di Taipei vinse i mondiali, si svolsero… in Italia! Chi mai ne aveva sentito parlare?
Il successivo Sunshine Love del coreano Jo Eun-sung è un’altra commedia, 'love budget', sul genere ‘t’amo, ti mollo e ti riprendo’, con qualche trovata divertente e una bella prova dei due protagonisti. Purtroppo anche qui lo zucchero si spreca e, anche se un po’ più adulto, il pubblico di riferimento resta abbondantemente sotto i trenta (anni).
Decisamente maturo è il target di Bends della regista hongkonghese Flora Lau. Vite parallele e intersecate di una ricca borghese, il cui marito sparisce misteriosamente da un giorno all’altro lasciandola in guai economici, e del suo autista che ha il problema di non poter pagare la tassa per il secondo figlio impostagli dalla Cina continentale. Molto ben diretto e ben fotografato, non riesce comunque a coinvolgere più di tanto, forse a causa di una certa superficialità nel ritrarre il mondo interiore dei personaggi.
Il film delle 20 e 30 è il pezzo forte della giornata: Stray Dogs dell’eminente Tsai Ming-liang. Vi si racconta la vita di strada di un padre con i suoi due figli e del loro incontro con l’impiegata di un supermercato in cui i ragazzi bivaccano e si nutrono di assaggi promozionali. Poetica e stile del regista taiwanese ci sono tutti: solitudini, miseria dell’esistenza, pazzie vuote, grande senso per le inquadrature e laconicità espressiva. C’è pure, purtroppo, l’insistenza temporale della camera fissa su soggetti statici per minutaggi che arrivano a superare anche i 15 minuti: l’uomo che mangia una grossa ala di pollo, che piscia in un canneto, i volti in primo piano di lui e lei che fissano di una parete dipinta. Qualcuno dirà che questo ritmo è elemento fondante e necessario. Più praticamente mi sento di consigliarne la visione in contemporanea con una corposa sessione di stiraggio. Durante le interminabili inquadrature fisse, colli e polsi delle camicie possono ricevere tutte le attenzioni che servono senza timore di perdere particolari importanti della storia. Da sperimentare.
Interessante e originale è l’ultimo lavoro della giornata: Distant, del giovane regista cinese Yang Zhengfan. Tredici scene. Occhio fisso, quasi da videosorveglianza, su soggetti che si muovono nel suo campo d’azione, catturando le ‘normali’ attività che potremmo fare o vedere quotidianamente. La distanza del titolo è data dalla posizione della macchina da presa ed è l’idea vincente del film. Da lontano, il nostro vissuto acquista una dimensione spiazzante e irreparabilmente assurda. Gli uomini-formiche si agitano in un mondo indifferente e lo spettatore non può fare a meno di sentirsi a sua volta ripreso, spettatore cosmico e protagonista effimero, com’è intrinseco nell’umana natura. Peccato che la proiezione, con i suoi quadri fissi, segua impietosamente a quella di Stray Dogs, con le altrettanto rigide sequenze. Una più oculata valutazione degli oggettivi limiti di attenzione presenti nello spettatore medio avrebbe decretato, a quest’opera bizzarra, sicuramente miglior successo.

Vai alla scheda dell'evento




Lascia un commento

Assicurati di inserire (*) le informazioni necessarie ove indicato.
Codice HTML non è permesso.

Questo sito utilizza cookie per il suo funzionamento. Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie. Se vuoi avere maggiori informazioni, leggi la Cookies policy.