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Far East Film Festival 2014: il diario della quarta giornata

Il Woody Allen indonesiano di Brontosaurus Love, Chapman To alle prese con il porno in 3D Naked Ambition e l’attesissimo Black Coal, Thin Ice di Diao Yinan, Orso d'oro a Berlino: il resoconto della quarta giornata di visioni fareastsiane!

Quarto giorno al Far East Film Festival 16.
Con gli occhi ormai arrossati in modo perenne, saltando il film delle nove e quindici per ragioni di sopravvivenza, viaggio a Manila con If Only di Jerrold Tarog. Un giovane cameraman deve filmare un matrimonio ma presto si scopre che la futura sposa è l’ex grande amore del fratello, morto da poco. Il film parte bene nel comporre la vicenda, tra dubbi prematrimoniali, ricordi e attori belli, con un incedere quasi da ‘giallo’, ma poi si arena in inutili prolissità e s’innamora di sé ritardando la fine con inutili aggiunte. Credo si debba prendere in seria considerazione, nell’era digitale, l’istituzione dell’editor come figura professionale di riferimento per qualsiasi produzione.
Nobody’s Child di Bu Wancang è presentato come un film per bambini. Girato negli Anni ‘60 e restaurato grazie anche all’ottimo lavoro dei bolognesi de L’immagine ritrovata, racconta invece le drammatiche e tristi vicende di un’orfana che scopre di essere stata adottata quando il marito della madre adottiva torna a casa dopo anni di lavoro all’estero e la vende a un vecchio artista di strada. Tra brutti incontri, tormente e tormenti, la piccola crescerà forte e retta. Solo per gli insonni che, verso le 4 e 30 del mattino, guardano Fuori Orario.
Sweet Alibis del taiwanese Lien Yi-Chi dovrebbe essere stata una commedia brillante: dopo averne persa più di metà dormendo ci ho rinunciato.
Raditya Dika si crede il Woody Allen indonesiano. Scrive e interpreta Brontosaurus Love, storia di uno scrittore che pubblica un libro sui propri fallimenti amorosi, omaggiando il comico americano con poster, foto e occhiali DOC. Insegue l’umorismo del maestro, parlando con autoironia della relazione uomo-donna ma senza, purtroppo, quella capacità di graffiare e quel cinismo fondamentali per generare delle gag che strappino la risata. La porta dei buoni sentimenti è sempre spalancata e zucchera all’eccesso il racconto, fino all’happy end scontato. Dirige Fajar Nugros limitandosi ad assecondare le smorfie del protagonista.

L’attesissimo Black Coal, Thin Ice di Diao Yinan è forse la delusione più grande vissuta finora in questa edizione del FEFF. La storia inizia nel 1999 con un cadavere smembrato le cui parti vengono ritrovate sparse in diverse zone del Paese. Un poliziotto indaga ma viene ferito in uno scontro a fuoco. Sette anni dopo, l’ubriacone e, ormai, ex poliziotto s’imbatte in un caso analogo. Indaga e scopre che tutto fa capo a una lavanderia e alla sua giovane commessa. Finale a sorpresa. Il film è indubbiamente molto ben fatto. La costruzione narrativa originale. Gli ambienti così freddi, poveri e quasi neorealisti sono cornice e personaggio a tempo stesso. La storia sembra uscita dalla penna di Simenon. Eppure non scalda, non avvince.  Si resta freddi come il ghiaccio del titolo e il godimento è puramente cerebrale, quindi giustamente premiato a Berlino.
Finale mirabile con il pirotecnico 3D Naked Ambition di Lee Kung-lok, presente in sala con sceneggiatrice, produttore ma soprattutto, con il simpaticissimo Chapman To nel ruolo del protagonista. Uno scrittore di racconti erotici si trova da un giorno all’altro disoccupato causa crisi del settore generata dal proliferare dei porno su Internet. Decide allora di produrne uno in proprio in Giappone ma si trova, recalcitrante, a interpretarlo nel ruolo succube che di solito è riservato alle donne. Immediato è il successo e i problemi che questo genera con la fidanzata e, in seguito, con i rivali. Il film è una serie ininterrotta di gag, su sesso, pornografia, ruoli sociali, in un crescendo che sfocia nell’iperbole più folle e sfrontata sia di contenuti, sia visiva. Stupendi Louis Koo e la chicken Sandra Ng in due piccoli e autoironici camei. Quasi commovente, anche in un film come questo, l’incitazione della gang cinematografica hongkonghese a ‘tenere duro’ contro quel senso di perdita d’identità che, evidentemente, tutti gli abitanti dell’isola sentono arrivare dall’invasione dell’onnivoro continente.

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