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Far East Film Festival 2014: il diario della seconda giornata

I registi di Hong Kong Dante Lam e Fruit Chan protagonisti del Day 2 alla kermesse dedicata al cinema popolare asiatico. Sugli schermi di Udine spazio anche a horror, classici restaurati dalla Corea del Sud e giovani della 'generazione MTV'

La seconda giornata del Far East Film Festival 16 parte sulla scia della precedente con un film che, in Cina, ha meritato anche un paio di sequel: Tiny Times 1, la storia di quattro amichette alla prese coi problemi della vita lavorativa e amorosa. Ben girato, interpreti 'giuste' (compresa la deliziosa anoressica Mi Yang) e una grande noia. Solo per adolescenti e massaie alle prese col ferro da stiro.
Si prosegue in peggio con The Road to Fame, documentario, sempre made in China, su degli studenti dell'accademia teatrale cinese che stanno allestendo la versione locale del celebre musical riportato nel titolo. La vita è dura per tutti, anche per le aspiranti star dagli occhi a mandorla. Tra una puntata di Amici e un casto Geordie Shore. Un chissenefega è quasi d'obbligo.
Svestiti gli abiti di casalinga minorenne, il restaurato Flame in the Valley (1967), del coreano Kim Soo-yong, riconduce brevemente al mondo adulto, seppur remoto nel tempo. La pellicola narra la dura vita di un villaggio, durante la guerra di Corea, nel quale gli uomini sono stati tutti uccisi o sono in guerra. L'arrivo di un disertore causerà il risveglio di passioni e gelosie. Notevole il villaggio coreano con capanne dai tetti di paglia e vita rurale più simile a quella degli aborigeni amazzonici che non a quella dei coevi europei. Sorprendente.
La breve parentesi storica, si dilegua come in un sogno. Tornano gli adolescenti di MTV nella commedia Be My Baby, del giapponese One Hitoshi, al suo primo lungometraggio. Letteralmente: 138 minuti. Un gruppo di adolescenti alle prese con relazioni, amicizie, tradimenti e bugie. Pregi: una buona caratterizzazione dei personaggi. Difetti: oltre due ore di stanzette e dialoghi poco divertenti e interessanti. Un cilicio.
Con Soul del taiwanese Chung Mong-honk, inizia la serie positiva della giornata: un horror atipico e obliquo, in cui i mostri sono demoni o malattie e la violenza è stupida anche quando ragionata. Un padre, per cercare di difendere il corpo del figlio, apparentemente abbandonato e riempito da un demone assassino, ucciderà a sua volta e si sacrificherà in sua vece. Curatissimi gli ambienti, la fotografia e gli omicidi. Intrigante la vicenda nel suo lento incedere, mai banale, anche se con qualche momento telefonato.
La prima star della serata, premiata per la peggior performance canora del FEFF, è Fruit Chan. Nel presentare il suo divertentissimo The Midnight After, a un certo punto si esibisce in uno stonatissimo karaoke di Space Oddity di David Bowie che, scopriremo poi, è il perno centrale del film. Con lui, sul palco, ad aiutarlo nel naufragio, pure Marco Muller, direttore del Festival del Film di Roma. Performance orrenda per uno sci-fi horror pazzo e pop, come il suo regista. Lui dice di non volere spiegare il film. Io non lo racconto. Cinema puro che si nutre di sé.
Chiusura pirotecnica, è il caso di dirlo, con That Demon Within di Dante Lam. Un action dai risvolti psicologici e storti che cita Hitchcock e tutta la devianza visiva e violenta della storia del cinema. Due ore di emozione e adrenalina. Impossibile da superare, nel genere. Peccato per lo spieghino nei titoli di coda a ricordarci che la violenza è parte della natura di tutti.

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